A TU PER TU CON JUAN RULFO Elena Poniatowska traduzione di Alberto Cristo/ori Per trarre vantaggio da Rulfo bisogna scavare molto, come quando si cerca la radice del chinchayÒte. Rulfo non cresce verso l'alto, m~ verso l'interno. Più che parlare, rumina il suo infinito . rrionologo a bassa voce, masticando bene le parole per impedire che escano. Ma a volte escono. E allora Rulfo rivive dentro di noi il procedimento di mettersi a dire ingenuamente cose atroci, come un bambino che ci ripetesse le storie di una nutrice malvagia. Tutto comincia con la canzone della pitahaya, verso cui Rulfo ha molta buona volontà e che gli scintilla negli occhi, verde, come l'avena che a volte spunta là nel burrone di Apulco dove è nato: ... Nel carcere di Celaya ero prigioniero e innocente per un'infelice pitaya che ha punto il mio uccellino; ma non gli ha fatto niente, aveva già il suo buchino. Dove fa luce Rulfo, chi fa luce? Nessuno. E dopo nessuno? Ancora nessuno. Perché così come lo vedete, tutto triste e ingrugnato, con lo sguardo sfuggente e sospettoso, Rulfo ha scritto due libri: La, pianura in fiamme e Pedro Pdramo. Queste trecentoventicinque pagine hanno illuminato una volta per tutte la letteratura messicana. Bel fiore di pitaya bianco fiore di garambuyo ... - Juan, perché canti così? - Per infelicità. - La pitaya è infelice, no? -Anch'io. - Pedro Paramo è infelice, no, Juan? - Lui sì che è stato disgraziato. Pedro Pdramo prim_asi intitolava I mormorii Del resto, Pedro Pdramo prima si intitolava /mormorii, poiché questo è c'iò che si sente in tutto il romanzo, un rumore di anime in pena che vagano per le strade del villaggio abbandonato. Rulfo assomiglia a quegli uomini temerari che accettano l'appuntamento del fantasma e si mettono a parlare con lui a mezzanotte: "In nome di Dio ti dico, se sei di questo mondo o dell'altro ..." e che al mattino sono quasi impazziti, con il corpo ancora tremante di paura e senza più voglia di parlare con i vivi. Rulfo stesso ha molto dell'anima in pena, e parla solo in certi momenti, e anche in quei momenti da scrittore serio e taciturno, così diverso da tutti quelli che non si lasciano sfuggire la minima occasione per essere intelligenti. A Rulfo non piace parlare di sé · perché si è dato interamente alle voci del suo popolo, ai mormorii di Comala che tutti i giorni si fanno strada in lui, con fatica e lentamente, perché Rulfo quasi nori li aiuta a esprimersi, li porta in mezzo alla strada per vederé se osano attraversarla, li getta in un setaccio e li fa impazzire di calore finché danno anche l'ultimo respiro. Tutte le terre di Rulfo sembrano luoghi di 70 disastri annientati dalla siccità. I personaggi esitano, trovano a poco a poco il loro linguaggio di contadini, le loro parole dure, di pietra e di fango, traducendo un'altra volta l'anima umana, continuando a girare insistentemente sull'idea fissa: cattivi e buoni nell'innocenza della loro indole nello stesso tempo cortigiana e selvaggia. Rulfo ha sempre un'aria da posseduto e à volte si intuisce in lui il sonno ipnotico dei medium: va in giro di giorno come un sonnambulo, compiendo di malavoglia i doveri volgari della vita diurna. Con l'orecchio attento, lascia passare tutti i rumori del mondo, in attesa del messaggio preciso, della parola che lo farà · scrivere ancora, come un telegrafista sempre in attesa del suo segnale. Nei suoi racconti hanno parlato molte anime individuali, ma in Pedro Pdramo tutto un popolo si è messo a parlare, le voci si aggrovigliano l'una con l'altra e non si sa a chi appartengono. Ma non importa. Le anime che comunicano ne hanno formata una . sola: vivi o morti, gli uomini di Rulfo entrano ed escono dalla nostra anima come Pedro ·da casa sua. I vivi e i morti - E Efrén Hernandez? - Lo sai bene, è già morto. -E Cleofas? -Anche lui. · - E Augustfn Yafiez? - È morto. Perché me lo chiedi, se lo sai gjà? - E Alì Chumacero? -È vivo. - E José Luis Martfnez? - È vivo anche lui. -È vivo come te o come me? - Come me e come te. - Come me e come te no, Juan, perché non siamo vivi nello stesso modo. - I-lai ragione, io sono un povero diavolo. - Mi riferisco al fatto che tu sei un grande scrittore. - Ma siccome io mi sento un povero diavolo, questo è quello che sento, sono molto solo e depresso. - No1,1sei così cupo, Juan. - È vero, ho anche le mie giornate buone. Ma quello che non mi piace è la gente, parlare in pubblico, non mi sento a mio agio, per niente. Mi prende il panico, mi deprimo molto, per questo ti dico che sono depresso, mi viene dentro la depressione bassa (e ho sempre la pressione bassa: allora mi viene dentro una depressione più bassa della depressione). Nel 1970, quando diedero a. Rulfo il Premio Nazionale di Letteratura, fece con la sua voce tormentata un discorso totalmente rulfiano: · "Non ricordo adesso chi ha detto che l'uomo era un puro nulla. Non qualcosa, né una cosa qualsiasi, ma un puro nulla. Io mi sento così in questo momento; forse perché conosco i miei grandi limiti, non ho mai elaborato un sentimento di fiducia in me stesso; non ho mai creduto nel rispetto di se stessi."
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