ST~RIE/ ARENA$ e tento senza scansarmi di tornare indietro per scovarti, devo raggiungerti, arrivare fino a te. In mezzo a qùesta folla terrorizzata, senza riuscire quasi a spostarmi, nel buio quasi totale, devo trovarti, farti sapere che sono venuto anch'io, che ho avuto il coraggio di muovermi, che non sono rimasto paralizzato, che non cè l'hanno fatta a distruggermi, a distruggerci, completamente, che sono qui, siamo insieme, per tentare un'altra volta, tutti e due. Vivi, ancora vivi ... Perciò calpesto senza scrupoli questo ammasso inerte di corpi che sembrano dormire all'entrata dell'edificio, forse, anzi lo so, sei lì dentro. Non mi rimane che controllare l'interno dell'ambasciata, quindi è per forza lì che stai, tra i malati. Quelli del servizio d'ordine tentano di trattenermi, ma io li scosto ed entro. Gente sdraiata sul pavimento, vecchi, donne con le doglie, bambini di pochi mesi, malati: quelli a cui è permesso stare al riparo. E continuo, nella ricerca, ad aprire stanze, sale, padiglioni o quel diavolo che è questa caienna. "Ragazzo", mi dice ora una donna mezza nuda, •~vattene di qui, l'ambasciatore è una furia perché gli hanno divorato perfino il pappagallo". Ma io continuo a ispezionàre ogni .angolo. Sospingo la porta e mi avvicino a due corpi che lottano avvinghiati e d'impulso li separo, vedo le loro facce guardarmi sconcertate ed esco. "Incredibile", mi dice un vecc_hiocon le gambe avvolte in bende di fortuna, "aver voglia di fottere, dopo quindici giorni qui dentro senza mangiare". Sono fuori, attraverso di nuovo la marea di persone che ormai non riesce più a stare. in piedi, pencolano, si appoggiano ai corpi accanto, ma anche quando svengono non cadono al suolo perché non esiste più. È tutto coperto da migliaia di piedi accavallati l'uno sull'altro, a volte i corpi si reggono su un solo piede. E tra questa immensa selva di piedi che tentano di muoversi, mi trascino. Continuo a darti la caccia. Non mi sfuggirai. Ora meno che mai. Ora che nessuno ti fa più caso perché a stento riescono a guardarsi intorno, ora sì che non riuscirai a sfuggirmi, e seguito a rincorrerla, ·mala furba corre verso il reticolato, per svignarsela dal recinto. lo però continuo imperterrito a scrutare le facce intorno a me. Potrebbe essere questo. Sei tu? La fame fa mutare espressione. La fame rende incapaci di riconoscere il proprio fratello. Forse anche tu stai cercandomi e non mi riconosci. Chissà quante volte ci saremo incrociati. Sarà meglio gridare forte il tuo nome, più forte di quei maledetti altoparlanti, più forte che posso. Ma se grido, come riuscirò a sentire la tua voce? Grido, faccio una pausa aspettando la tua risposta, e ricomincio a gridare. Se non riusciamo a vederci, le voci almeno le riconosceremo. I nostri nomi, il richiamo ... E continuo a procedere nel tumulto che di nuovo diventa spasmodico. "I viveri, i viveri, stanno distribuendo i viveri", gridano. E la folla, ritrovando non si sa come l'energia, avanza verso il reticolato. Lo stesso rito, gli stessi tafferugli. "Così fate crollare il reticolato", grida qualcuno. Se cade non saremo più in territorio peruviano. Ma la ressa è davvero incontenibile. Chi può farcela ad avanzare in mezzo a quella bolgia? Tento lo stesso, adoperando calci e pugni, di arrivare fino al muretto. Ora sono certo che ti troverò, devi essere lì, accanto al recinto, com'è logico che faccia una persona della tua prontezza, sempre il primo nel ritirare le razioni, ascoltare i 60 messaggi, retrocedere di fronte al pericolo. Avrei dovuto pensarci: sicuramente sei lì. E così, trascinandomi a pugni e a morsi nel groviglio di corpi, raggiungo il reticolato e mi ci aggrappo. Nessuno mi staccherà di qui nemmeno morto, grido, e comincio .a fissare le facce di quelli che riescono a raggiungermi. Ma non sei nemmeno tra le persone che, giocandosi la pelle, sono arrivate in prima fila. Scruto uno a uno questi volti disperati, ma nessuno, lo so, è il tuo, queste mani sanguinanti, abbarbicate alla rete di fil di ferrò che non sono però le tue. Avvilito, smetto di perlustrare il recinto-e rivolgo lo sguardo, attraverso le maglie verso l'interno, dove stanno loro, ben nutriti, lavati, armati, in divisa o in borghese, pronti a "servirci" le razioni. E ti scopro, finalmente ti scopro. Sei lì fra loro, in divisa e armato. Parli, gesticoli, ridi con uno giovane come te, anche lui armato e in divisa. Continuo a contemplarti mentre cominciano a distribuire le scatole coi viveri. Ora loro (e anche tu) si avvicinano piazzandosi lungo il perimetro del muretto. L'arma in una mano, la scatola nell'altra. Inizia la distribuzione. Le urla e le gomitate di quelli che mi stanno a fianco raggiungono il parossismo. Mi schiacciano, vogliono schiacciarmi, salirmi addosso per afferrare una di quelle schifose scatole che stanno distribuendo. Imbecille, mi dico mentre mi coprono di calci, si arrampicano su di me, mi usano come un trampolino, una pedana, per essere più in alto e protendere disperatamente le mani fuori dal reticolato. Imbecille, imbecille, mi dico, e mentre tutti continuano ad arrampicarsi, a camminarmi, a saltarmi addosso, comincio a ridere, sempre più forte, come se tutti questi piedi e gambe sporchi di fango e merda mi facessero il solletico. "L'antisociale è impazzito", dice qualcuno, "lasciatelo stare, può essere pericoloso", aggiunge un altro. E si scostano, scendono dal mio corpo. Fuori, anche loro ridehdo, depongono in terra le razioni lungo il recinto. Vi si piazzano accanto e aspettano che qualcuno tenda la mano per calpestargliela ... Potrei ora stesso allungare il braccio e afferrare la scatola. Anche se mi beccassi la pestata o il calcio in petto, eviterei comunque di morir di fame. Ma se lo scordino, mai gliela darò questa soddisfazione. Non pensare che te la darò vinta, non credano, non crederti che mi mangerò questa merda, questa schifezza, questi rifiuti. Figurati poi se sono disposto a farmi calpestare una mano in cambio di un uovo sodo. Perciò, pet non dargli la soddisfazione, resto così, senza batter ciglio, a fissare negli occhi con aria di trionfo loro e te che là fuori vi date da fare con quella schifezza. Li guardo e rido, mentre una selva di braccia si agita disperatamente sulla mia testa. In quel mentre ti scopro, per la prima volta noto anche te, là fuori, che sfuggi a uno stivale e, strisciando con cautela sull'asfalto, t'infili qui dentro nella ressa, dove siamo noi. Eccola, eccola, ormai esausta, quasi priva di forze per continu_arela fuga, e che pure · riesce a muoversi sotto i corpi, su mani e facce che al .suo passaggio a stento reagiscono. Non ce la facci<;>più. Nemmeno lei ce la fa più dopo tante ore di inseguimento. E ora si ferma come intontita, con la bocca aperta, sulla schiena di qualcuno che è in terra, nel tentativo disperato di trovare uno spazio per il salto... Finalmente ti acchiappo, maledetta, ora sì, anche se sei coperta di merda, non hai più scampo.
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