una sconfitta per potersi rialzare, guadagnare tempo e prosegui- . re, ma che era sconfitto per sempre, liquidato. Fu allora - in quel momento - che bussarono alla porta. Era lui, il suo amico che bussava, come faceva sempre prima di. entrare, perché naturalinente aveva le chiavi dei catenacci. Chiuse la porta e gli si avvicinò parlandogli all'orecchio. Nçml'hai saputo? gli disse. Cosa? La gente sta entrando nell'ambasciata del Perù. Da ieri hanno ritirato le sentinelle. Dicono che è già zeppa. Vado a vedere. Andiamo, gli dissi. No, dicesti. Aspetta. Sei troppo bruciato. Vado prima io a vedere che aria tira, e se è vero che non ci sono controlli', torno a cercarti. Aspettami qui. E uscì. Ma lui non rimase lì in piedi sulla scala improvvisata. Doveva fare qualcosa, vestirsi nell'attesa. E aspettò l'intera mattinata, tutto il pomeriggio, fino al tramonto. Sul ballatoio si udiva uno scalpiècìo frettoloso, la gente se la svignava cercando di non far rumore, preoccupazione che non aveva mai avuto prima, perfino le radio erano spente. Apro la porta, scendo le scale. In strada nessuno parla, ma tutti sembrano comunicare.per tacita intesa. Mi affretto a salire su un autobus diretto verso l'ambasciata. L'autobus è più affollato del solito, un vero record. Sono quasi tutti giovani. Alcuni parlano apertamente del loro proposito: affrettarsi ad entrare nell'ambasciata, prima che la chiudano. Sicuramente la chiuderanno da un momento all'altro, dice uno · accanto a me. Il problema è entrarci, dico. Poi vedremo cosa succede. Sì, entrare, mi risponde, e rimanerci, perché chi esce non solo viene schedato, ma lo sbattono dentro· a pedate. E seguitano a parlare. Ora so perché non sei tornato. Sono stato un idiota. Avrei dovuto capirlo prima che se non tornavi è perché ti era impossibile. Avrai pensato che se non ti vedevo non sarei stato così fesso da restarmene nella stanza. Presto, ora il problema è far presto. E trovarti subito, prima che ti venga in mente di uscire per venirmi a cercare e finire dentro, se già non ti hanno preso. E tutto per colpa della mia idiozia. Presto, presto, sono sicuro che sei lì ad aspettarmi, che avrai pensato, è logico, che non vedendoti comparire sarei venuto .a vedere cosa stava succedendo. Entrano, entriamo, a frotte, tra le sassaiole, la polvere, gli spari. Gente di ogni tipo. Alcuni sono conoscenti o facce appena intraviste, ma ora ci salutiamo euforici, con una cordialità sincera, mai prima manifestata, come se fossimo vecchi amici. Sempre più gente, di Santo Suarez, dell'Avana vecchia, del Vedado, di tutti i quartieri, una folla, soprattutto di giovani, che salta il reticolato, schivando bastonate, correndo tra gli spari, il frastuono degli altoparlanti e le sirene delle autopattuglie; un corteo impaurito si rovescia dentro tra calci, manganellate, spari, corpi che rotolano,. si abbat no',un vecchio che tenta di farsi largo col bastone. Una mandria disordinata che scavalcà il cancello, il reticolato e invade i giardini, gli alberi, perfino il tetto dell'ambasciata. Così nell'immenso polverone, tra mani che spingono e trascinano, strilli, minacce, detonazioni, stretti in una compagine quasi impenetrabile riusciamo ad aver la meglio sul cordone di poliziotti che ora sta diventando sempre più folto, e saltiamo cadendo in mezzo a una folla·che a stento riesce a muoversi, qui dall'altro lato del recinto, circondati da un cerchio sempre più fitto di autopattuglie e di macchine ministe- , riali, alfa romeo, yugoli, volga, tutta la classe dirigente, gli alti funzionari, i comandanti delle forze armate sono accorsi sulle STORIE/ ARENAS loro automobili fiammanti a vedere, a contenere, a reprimere, a tentare con qualsiasi mezzo di far cessare qu-esto spettacolo. E come se non bastasse, hanno bloccato con auto e sbarramenti le strade che conducono all'ambasciata e hanno disseminato, lo sanno tutti, migliaia di militari in borghese per impedire ad altri di raggiungerci. Ora un poliziotto in motocicletta frena con violenza davanti al cordone che circonda l'ambasciata. "Figli di puttana!", ci grida. E tira fuori la pistola. Tutti nel recinto tentiamo di retrocedere per allonta.narci dal reticolato. Il poliziotto con la pistola in mano lo raggiunge e con un salto piomba tra di noi. Con grande rapidità si spoglia della divisa, l'arrotola avvolgendovi dentro la pistola, e lancia il fagotto dall'altro lato, dove stanno loro. Nel recinto si odono applausi di evviva. Il cordone è diventato un triplo cerchio. Comincia a diventare buio. Tra noi il frastuono ha raggiunto tali dimensioni che a tratti copre le grida e gli spari al di là del reticolato. "Ci mitragliano, ci mitragliano", urla all'improvviso una donna. E in massa tentiamo nuovamente di indietreggiare. Gli alberi scompaiono, il tetto della ambasciata scompare. Lo spazio intorno è diventato un formicaio brulicante di persone che si arrampicano, si abbarbicano, si aggrappano l'una all'altra. Voci urlanti. Alcuni scivolano feriti. Il panico adesso è generale perché qualcuno sta davvero spai:,andoin direzione del recinto. Ma non ci faccio caso Foto Bartoli/Rea/Contrasto. 59
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