Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

STORIE/ ARENAS entrano e mi dicono "non muoverti, sei in arresto", mentre iniziano la perquisizione, non so, realmente, se sta accadendo in questo istante o è già acèaduto o accade sempre. Siccome lo spazio è minuscolo, la perquisizione non dura molto. Due buttano tutto all'aria nello stanzino, uno resta fuori con me a sorvegliarmi; gli altri frugano sotto i cuscini, il falso tetto, nel cesso improvvisato. Sono lì, infatti,i pneumatici, il telo e perfino una bussola che nemmeno sapevo fossi riuscito a procurarti. La minuziosa perquisizione si conclude rapidamente in mia presenza, ma è come se non ci fossi. Fogli, carte, le gomme, il telo e naturalmente la · bussola, tutto diventa ora motivo di sospetto, corpo del delitto. Una fotografia, un pullover straniero si trasformano in indizi convalidanti, in "prove collaterali". Mi ordinano alla fine di togliermi le scarpe, mi perquisiscono le piante dei piedi e m'ingiungono di vestirmi. "Andiamo", mi dice uno di loro afferrandomi per la collottola. Così, usciamo. Il ballatoio è completamente deserto, anche se so che dietro le porte socchiuse ci sono tutti, impauriti, a osservare ... Una donna a cui hanno tolto un occhio con una pietrata, un uomo che ha un braccio mutilato da un proiettile; un altro con le gambe. piagate dalle varici; quella che si fascia stretta la pancia per evitare di partorire nel timore che la buttino fuori di qui, il giovane che cammina tentoni perché ha perso le lenti a contatto. "Silenzio, silenzio, vediamo se si riesce a sentire la 'Voce dell'America"'. Grida ripetute che invocano silenzio, ma nessuno la smette, tutti hanno qualcosa da dire, da proporre, una soluzione, una richiesta, un messaggio urgente. "Fate parlare l'ambasciatore, l' ambasciatore". Ma nessuno ascolta, ognuno cerca di imporre la propria voce, "Moriremo di fame. Questi figli di puttana vogliono farci morire di fame!" Le grida si accavallano e grido anch'io, ti chiamo forte scostando la gente sempre più infuriata, facendomi largo a calci, tra gli escrementi, l'orina, i corpi mutilati e il frastuono (fuori sono ripresi gli spari) cercandoti ... È notte, ma è notte? Chi può sapere l'ora ... Sì, è notte, notte inoltrata. È sempre notte ne) centro di questo tunnel medievale, con un'enorme lampadina accesa sulla testa, non può che essere notte perenne. Tutti ridotti a una stessa divisa, a uno stesso cranio rapato, a uno stesso grido per l'appello tre volte al giorno. Ma è di giorno o di notte che lo fanno? Se almeno si potesse arrivare fino alla finestra con la tripla inferriata si riuscirebbe a sapere se è davvero notte o giorno, ma per passarci davanti bisogna appartenere al· gruppo dei "duri" che dettano legge qua dentro. E a poco a poco il tempo passa, o passo io. Non è che mi abitui, mi adatti o mi rassegni, ma riesco a sopravvivere. Per fortuna, durante l'ultima visita hai potuto portarmi dei libri. La luce non manca. Il silenzio, il silenzio sì, non riesco più a ricordarmelo. Ma il problema, mi dici, è resistere, non avvilirsi, sapere aspettare. Grazie al cielo non mi hanno beccato con te nella stanza, così almeno posso portarti qualcosa. Nel pacco c'è un po' di zucchero, biscotti e altri libri. Il tempo passa, dici, vedrai che passa. Il tempo passa? dico ... Passa, quando sai che fuori ci sono strade, alberi, abiti colorati e il mare? La visita è finita. Ci salutiamo. Rientrare in cella è il momento peggiore. Quando la fila blu di teste rapate imbocca tra le guardie il budello di pietra che ci riconduce nella tana circolare incrostata di muffa e di cimici, con quel tanfo sedimentato di escrementi e quel chiasso, 56 quello strepito incessante dei prigionieri, quei colpi contro le brande e le pareti, quell'impotenza, quella violenza in gabbia che inqualche modo deve sfogarsi, manifestarsi, esplodere. Se almeno, penso, rifugiato sulla brandina in alto, si ammazzassero in silenzio. Ma questo vociferare ininterrotto, questo chiacchiericcio, questo gergo al quale volente o nolente deve adattarti per non crepare. Ah, se aqualcuno stesse acuore lamia anima, e volesse prendersela per sempre, in cambio magari ... Ma è assolutamente impossibile continuare a pensare in questo frastuono assordante che ora sta crescendo e dilaga ... Come colpiti da uno strano flagello, gli alberi hanno perso di colpo tutte le foglie, una ad una, alla velocità di un fulmine sono state strappate e masticate. Ora çon le unghie, con . pezzetti di fil di ferro, coi tacchi, tutti cominciano a scorticare i tronchi; anche le radici e l'erba scompaiono. "Chi nasconde un pezzo di pane rischia la pelle", sento dire da qualcuno. Perciò t'inseguo, nari importa più dove. Sei la mia meta, la mia salvezza, la mia consolazione, il mio amore, il mio vero, grande, unico amore. E ora hai di nuovo creato scompiglio infilandoti nella gamba dei pantaloni del poveretto che dorme in piedi addossato al mucchio. "Una lucertola sporcacciona", gridano, perché malgrado tutto, riescono ancora a scherzare. "E frocia, per giunta", ribatte l'interessato, "mi si stava intrufolando nella patta". "Ci prova pure con le donne perché mi è entrata sotto la gonna". "Acchiappala, acchiappala, è carne". E tutti si lanciano su di te. Io con un grido, li scavalco. Non lo permetterò. Non permetterò agli altri di acchiapparti, a costo di rimetterci la pelle (vedo già le loro facce fameliche, stravolte, fissarmi con rabbia) e continuo a spintonarli e a inseguirti. "Il mangiare, il mangiare". Risuona l'avviso. Si scatenano le urla. Ora tutti, dimenticandosi di te, cercano di raggiungere il reticolato dove, a quantò dicono, i poliziotti stanno cominciando a.deporre delle scatole di cartone con razioni di cibo. Il trambusto si intensifica, per quanto alcuni si sforzino di imporre ordine. Si sa che verranno distribuiti soltanto ottocento pasti per più di diecimila persone asserragliate qui dentro. Si picchiano e riscoppiano i tafferugli, le grida. Finalmente mi hanno liberato, ci hanno liberati, tutti e due, e quindi ora, fuori-dalle loro grinfie, con maggiore ostinazione ti vengo dietro. Arrivo, ce l'ho fatta-ad arrivare nel luogo che tanto odio e che pure ho rimpianto: la stanza improvvisata. Adesso tutto mi sembra splendido. Le pareti scrostate sono luminose, il muro dell'edificio accanto mi sembra di marmo. Tocco questi sedili improvvisati, la scaletta: questi quattro oggetti raccolti in giro che ho intorno mi paiono nuovi e li guardo, li palpo quasi, direi, con amore. Cinque anni in quella tana, mi dici. Per forza ti sembra tutto nuovo, splendente. E mi parli dei guai che anche tu hai passato: accertamenti, persecuzioni, meglio lasciar perdere, ora bisogna metterci una pietra sopra e andare avanti, mi dici. Ora dobbiamo stare più attenti, dicq. Perciò, dici tu, è meglio dimenticarsi per un po' della fuga. Fa' finta di adattarti e non dire a nessuno quel che pensi. Se devi sfogarti, parla solo con me. Sì, dico, ma non avevo mai parlato con nessuno della faccenda. Cosa credi, sono molto astuti, dici, assai più di quanto immagini. Non saranno riusciti a organizzare la produzione di scarpe, di cibo, i trasporti, ma come poliziotti sono imbattibili. Non dimenticarlo. Non lo dimentico, non lo dimentico, come vuoi che lo dimentichi ... Stanno là fuori, alcuni in divisa, altri in

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