STORIE/ ARENAS a urlare il nome di chi non c'era, o era sordo, o non voleva rispondere, o era morto, i suoi vicini, insomma, i suoi simili, gli avevano fatto dimenticare quello che, come una breve raffica, gli aveva trapassato l'immaginazione, aveva tentato di concepire~ cos'era, cos'era mai. E udendo quella specie di bolgia inarrestabile, fu invaso da una grande calma, una sensazione di totale rinuncia, di impotenza che lo fece sprofondare come sempre, da anni, in una sorta di torpore, di inerzia, di assoluto abbandono, di scoramento (o conforto) mortale, la sensazione di aver varcato il limite di ogni resistenza, di ogni capacità, di ogni impulso vitale, una sicurezza (riposo, affanno) di morte assoluta, di morte definitiva e basta, se, se non fosse stato per il fatto che, malgrado tutto, aveva un amico ' e, quindi, respirava ... Ma con difficoltà, con abbastanza difficoltà, · sollevando la testa, le narici, spalancando la bocca verso l'alto, alzando anche le mani per farsi largo, solo così riusciva a ingurgitare una boccata di quell'aria ammorbante e continuare, rituffandosi cioè nella ressa dei corpi sudati, ricominciare a strisciare sullo spiazzo, scostando gambe, caviglie, piedi, per arrivare dov'era lui, perché era certo che ci fosse, proprio lì, in quel tumulto, in qualche punto di quel tumulto, che ne facesse parte, perciò spingeva, sollevava. la testa, respirava, si guardava intorno ricominciava a scostare corpi, fagotti, senza chiedere permesso, chi mai poteva chiedere permesso in quella situazione, e proseguiva, chiamandolo ogni tanto a gran voce, cercando ,di farsi in mezzo a quella baraonda. La cosa terribile era che stava diventando sempre più difficile proseguire. Ne arrivavano altri, continuavano ad arrivarne altri, sempre più gente che saltava il reticolato (il cancello l'avevano già chiuso) ed entrava. Che scandalo, che scandalo ..Tra la gazzarra, la polvere, gli spari, continuavano a farsi avanti, ad arrampicarsi sul reticolato e a saltare: vecchi, donne con la pa,ncia, bambini, ragazzi, giovani, soprattutto giovani, tutti che volevano raggiungere il recinto, mentre il gruppo dei militari si ingrossava. E seguitavano ad arrivare poliziotti, miliziani, gente in divisa o travestita, travestita in abiti borghesi, per impedire agli altri - alla folla -:-- di avvicinarsi alla recinzione. Non si trattava più di un cordone, ma di un triplo cordone, completamente armato. SI udivano ora raffiche di mitragliatrice e urla: "Figlio di puttana, fermati!", e di nuovo il frastuono e le grida di quelli che lì, davanti ai tuoi occhi, cadevano mitragliati, senza essere riusciti a scavalcare il reticolato, senza averlo neppure potuto raggiungere, sfiorare. Immediatamente gruppi di uomini (militari, civili) si precipitavano fuori dalle loro alfa romeo, trascinavano i cadaveri fino alle vetture e ripartivano veloci lungo la Quinta Avenida. Ora però non solo correva pericolo la folla sempre più scatenata che da fuori, con ogni mezzo, cercava di eludere il cordone (anzi, i cordoni) e saltare, ma anche quelli che erano già dentro venivano mitragliati. Qualcuno, un pezzo grosso, un boss, un capo, ftenò violentemente di fronte ai recinto e, fuori di sé, cominciò a spara.re verso di loro. Tra grida infernali, la massa indietreggiava senza averne lo spazio, si asserragliavano ancora più stretti, nasconden~ do le teste l'una contro l'altra, ripiegavano come se tentassero di ficcarsi all'interno di se stessi, e chi cadeva raggiunto da un proiettile o perché, semplicemente, era scivolato, non poteva più rialzarsi, la sua ultima visione erano le migliaia e migliaia di piedi che in moto circola.re calpestavano e ricalpestavano il suo corpo. 54 "L'inno, l'inno", gridò qualcuno. E all'improvviso uscì dall'immensa folla assediata un'unica, unanime e stentorea voce, un solo canto, alto, a squarciagola, 'stonato, insolito, che oltrepassò il reticolato e invase la notte. Ridicolo, ridicolo, si diceva, però piangeva ... Orribile, orribile, perché tutto era orribile, spaventoso, ancora, un'altra volta, sempre; ma peggio, molto peggio ora, perché non poteva più permettersi il lusso di sprecare il tempo, il suo tempo. Così, curvo, in quello stretto e basso rifugio, evocava e rievocava tutti gli anni vissuti, tutti gli anni perduti ed era di nuovo lì, immobile, tra la scaletta improvvisata e insostituibile, e il tavolino insostituibile e improvvisato (un portello di carro armato su un barile), improvvisato, improvvisato, improvvisato, e del resto lui stesso, tutti improvvisavano e accettavano. Ascoltavano discorsi improvvisati e ininterrotti, vivevano in una miseria improvvisata dove perfino il terrore oggi sofferto sarebbe stato l'indomani, ali' improvviso, sostituito da un altro terrore rafforzato, rinnovato, accresciuto: alla mercé di leggi improvvisate che fomentavano subito altri crimini anziché scoraggiarli, bersagli di collere improvvise che si abbattevano naturalmente su di lui, su chi, come lui, viveva ai margini, nelle nuvole, in un altro mondo, in quello spazio. cioè di tre metri per quattro, in quella sopraelevazione improvvisata, solo ... Uscire, scendere le scale piene di . rifiuti (l'ascensore non funzionava mai), raggiungere la strada, a che scopo? Uscire era constatare per l'ennesim.a volta di non .avere via di scampo: Uscire significava rischiare che gli chiedessero i documenti, verifiche e, sebbene avesse in tasca (come sempre) tutte le calamità del sistema: carta d'identità, tessere del sindacato, tessera del lavoro, del servizio militare obbligatorio, del ·CDR, sebbene insomma circolasse come un nobile e mansueto animale munito di tutti i marchi impressi dal proprietario, uscire voleva dire comunque correre il rischio di "essere fermato", di "non andare a genio" a un poliziotto che poteva schedarlo (per convinzione morale) come "persona sospetta", "tiepida", "non di fiducia" e, senza ulteriori accertamenti, finire in cella, come gli era già accaduto in varie occasioni. Lo sapeva fin troppo bene cosa significasse. D'altra parte, che spettacolo avrebbe visto, tutt'al più l'anatomia della propria tristezza, lo spettacolo desolante di una città in rovina, le figure taciturne, elusive o aggressive, affamate e disperate, anche, naturalmente, braccate. Figure ormai avvt.rse a un dialogo, a un gesto intimo, a una possibilità di comunica.re, pronte, semplicemente (vitalmente) a scippargli la borsa, a sfilargli dal polso l'orologio, a strappargli gli occhiali da sole, se mai avesse commesso l'imprudenza di uscire in strada come loro a correre avanti e indietro, senza scopo, in quello scena.rio degradato. D'altronde lui, ed era quella la sua vittoria, la sua ancora di salvataggio, la sua consolazione, non era del tutto certo di essere (di sentirsi)_completamente solo. E grazie a quella fortuna, a quella consolazione, se ne stava lì, con un piede sulla scaletta improvvisata, il viso ri:filessonello specchio sbilenco, a testa china per non urtare contro la tettoia, sereno, quieto, aspettando, perché era sicuro che da un momento all'altro, come tutte le mattine, sì, poteva giurarlo, sarebbe arrivato il suo amico. Ma che giri stava facendo, dove s'era cacciato, devi però insistere, andare avanti, lo troverai da qualche parte, sul tetto, su un albero, non può essere sparito, deve stare in questa bolgia, in questa immensa calca che ora si stringe minacciosa, più isterica, ed ecco
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