Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

EMARGINATI, ASSASSINI, MISTERI••• Incontro con Don De Lillo a cura di Anthony De Curtis traduzione di Alberto Cristofori L'assassinio di Kennedy sembra perfettamente in linea con i temi della tua narrativa. Credi che avresti potuto inventarlo, se non fosse avvenuto? Forse è stato lui a inventare me. Sicuramente quando avvenne io non ero uno scrittore pienamente formato; avevo pubblicato solo alcuni racconti in piccoli trimestrali. Mentre lavoravo a Libra, mi sono accorto che molti fili dei miei primi otto romanzi sembravano radunarsi intorno al centro oscuro dell'assassinio. È possibile perciò che io non sarei diventato il tipo di scrittore che sono, se non fosse stato per l'assassinio. Sicuramente quando avvenne non sapevo che avrebbe fatto parte del piccolo universo della mia opera, perché la mia opera, come dico, in quel momento era tutta di là da venire. · Come influì su di te l'assassinio? Influì molto, come su tutti, naturalmente. Con il passare degli anni, tutti siamo arrivati a capire, credo, che ciò che è venuto meno in questi ultimi venticinque anni è il senso di una realtà governabile. Gran parte di questa sensazione può essere fatta risalire a quel giorno a Dallas. Sembra che siamo molto più consapevoli di elementi come l'ambiguità e il caos, da allora. Un personaggio del libro descrive l'assassinio come "un' aberrazione nel cuore della realtà''. Non abbiamo ancora raggiunto alcuna certezza sui caratteri del delitto: i1numero degli esecutori, il numero dei colpi, il luogo da cui sono partiti i colpi, il numero di ferite sul corpo del Presidente - e la lista potrebbe continuare. A parte questa confusione di dati, la gente ha sviluppato l'impressione che la stoda sia stata segretamente manipolata. Documentazione persa e distrutta. Documenti ufficiali sigillati per cinquanta o settantacinque anni. Una quantità di omicidi strani e di suicidi che hanno coinvolto persone implicate nei fatti del 22 novembre. Così, a partire dallo shock iniziale, istintivo, credo che abbiamo sviluppato un sentimento molto più profondo di inquietudine per la nostra mancanza di controllo sulla realtà. Tu ti sei interessato a lungo dei media, che sicuramente giocarono un ruolo di primaria importanza nel/' esperienza nazionale dell'assassinio. La televisione aveva appena fatto la sua comparsa nella politica, durante le elezioni del 1960, e nella settimana successiva all'omicidio sembrò che tutti stessero guardando la televisione, vedessero Jack Ruby che assassinava Lee Harvey Oswald e poi ilfunerale di Kennedy. È come se.fino a quel momento il potere dei media nella nostra cultura non fosse stato pienamente compreso. È strano che il potere della televisione sia stato utilizzato· pienamente, forse per la prima volta, in relazione a un fatto violento. Non solo violento, naturalmente, ma di importanza straordinaria. Questo è entrato a far parte della nostra coscienza. Abbiamo sviluppato quasi un senso di spettacolarità relativo agli eventi trasmessi per televisione. E credo èhe alcune delle persone che giocano un ruolo essenziale in questi fatti - in particolare i fatti violenti, e in particolare persone come Arthur Bremer e John Hinckley - non facciano altro che portare alla luce, come su un palcoscenico, il proprio io teatrale. Questi giovani hanno la capacità 36 Foto di Thomas Victor (Archivio Pironti) di capire come saranno viste dagli altri le loro azioni, anche mentre le compiono. Per cui c'è nella nostra vita un elemento di profonda auto-referenzialità che non c'era in passato. Una domanda inevitabile: dov'eri tu quando fohn Kennedy fu colpito? ., Stavo pranzando con due amici in un ristorante del West Side di Manhattan e sentii la notizia del1' attentato in una banca, poco dopo. Sentii che un impiegato della banca diceva a un cliente che avevano sparato al Presidente a . Dallas. E la mia prima reazione, curiosamente, fu: "Non sapevo neppure che fosse a Dallas". Ovviamente era una reazione del tutto sproporzionata. Ma la piccola sorpresa di allora, naturalmente, lasciò il posto all'enorme shock causato dal senso di quelle parole. Non guardai molta televisione quel weekend. Non vidi molto del funerale. Credo di avere un'antipatia istintiva per quel tipo di cerimonie formali. Ma certo un senso di morte sembrò permeare tutto nei quattro e cinque giorni successivi. Tu fai riferimento all'assassinio in vari punti dei romanzi precedettti a Libra, e hai scritto un saggio sull'assassinio, per "Rolling Stone ", nel 1983. Che cosa ti ha spinto alla.fine a sentire che dovevi farne il soggetto.di un romanzo? Ho cominciato a pensarci come a un soggetto importante solo all'inizio di questo decennio. Quando scrissi il pezzo dell'83 per "Rolling Stone", cominciai a capire quanto era coinvolgente il materiale e quanto più profondamente avrei dovuto cominciare a studiarlo per rendergli giustizia. Siccome sono un romanziere, la mia idea di "giustizia" implicava un'opera molto più ponderosa del saggio che avevo scritto, e quindi cominciai a pensare seriamente a un romanzo. Forse uno degli elementi che motivarono questa scelta fu il fatto che io e Oswald vivevamo a sei o sette isolati di distanza l'uno dall'altro, nel Bronx. Non lo sapevo, finché non feci le ricerche per il-pezzo per "Rolling Stone". Oswald e sua madre, Marguerite, arrivarono a New York nel '52 o all'inizio del '53, perché il suo primogenito era distaccato a Ellis lsltmd con la Guardia Costiera. Saltarono in macchina e andarono dritti verso New York e alla fine si stabilirono nel Bronx. Oswald viveva molto vicino allo Zoo. Credo che allora egli avesse tredici anni, e io sedici. Penso che questo elemento personale abbia contribuito a rendermi interessante quel materiale. Renderlo in termini narrativi ha portato alla luce una quantità

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