avevano attirato su di sé l'attenzione in quanto sistemi di conversione energetica tendenti a sfruttare in modo ottimale l'energia solare lungo le diverse fasi del ciclo del consumo. L'interesse gnoseologico consisteva nel fatto che il modello doveva mettere in luce le relazioni - all'interno di uno stagno o di un campo di grano - che definiscono il rapporto tra input e output energetico. Un analogo interrogativo sottende gli sforzi di estrarre dalla natura un minor quantitativo di biomassa, energia e materiali senza dover per questo risentirne in termini di capacità. La questione riguarda la possibilità di ottenere la stessa quantità di output, attraverso tutte le trasformazioni del sistema, con un minimo dispiego di input. Efficienza nel consumo delle risorsequesta è la formula con cui si inaugura una fase di crescita economica che non offre più un incremento di produttività grazie a un input maggiore, bensì tramite una maggior razionalità. Sono finiti i tempi in cui ingegneri ed esperti miravano semplicemente a spingere sempre più verso l'alto le cifre produttive; ora la loro ambizione è quella di raggiungere con un minimo di inpu~ un risultato ottimale, e non più massimale. Per questo passaggio da una società incentrata sull'energia a una incentrata sull'entropia occorre esaminare attentamente e regolare il consumo delle risorse in tutta l'ampiezza e la profondità delle fasi di conversione; a fornire la metafora epistemologica è la macchina efficiente da un punto di vista termodinamico. Politica energetica, amministrazione delle risorse e riciclaggio ne offrono molti esempi. Il modello della teoria degli ecosistemi è utile anche per acquisire il controllo degli svariati rifiuti della società industriale. Ricorderemo che la versione bioregolatrice di questo modello prendeva a campione la macchina autoregolantesi. In questo modello, le comunità viventi disponevano di meccanismi di reazione in modo tale che, entro certi limiti, le perturbazioni esterne potevano essere .assorbite. L'approccio in questione aspira a misurare il margine di tollerabilità agli impedimenti mediante una precisa conoscenza dei processi di autoregolazione. Ecco profilarsi qui proprio quel problema che deve affrontare una politica preoccupata di regolare la quantità di detriti che si abbatte sul mondezzaio natura. Le condizioni di un'economia in fase di crescita esigono d'altro canto di intervenire efficacemente nel processo economico, pilotandolo in modo da espellere solo quel quantitativo di rifiuti che la natura è in grado di sopportare senza pericolose ripercussioni sul piano del sistema produttivo e consumistico. Ben lungi dall'evitare gravami in assoluto, si tratta di ottimizzare i gravami sopportati dalla natura; ciò significa che occorre fissare i limiti della sua sopportabilità e optare di conseguenza per le strategie più efficienti di minimizzazione. A tale scopo bisogna simulare al computer processi naturali, determinare valori-limite per l' entità critica di influenza, mantenendo sotto costante osservazione tanto le condizioni naturali quanto la mole e la natura dei rifiuti eliminati. Dagli anni Cinquanta, quando fu progettato per valutare le conseguenze di eventuali radiazioni in relazione a incidenti e esplosioni nucleari, il modello bioregolatore serve per formulare previsioni circa le conseguenze di ingerenze umane. Esso evidenzia la logica con cui, per esempio, viene condotta l'aspra polemica intorno a motivi, effetti e valori-soglia delle piogge acide o dei gas responsabili dell'effetto-serra. Esso crea SCIENU/SACHS inoltre le basi cognitive per un manageineni eco-cratico che non vuole perdere il controllo della situazione. Il problema costituito dal sistema Il pensiero basato sugli ecosistemi sta prendendo piede nella coscienza contemporanea. A prescindere da diverse posizioni rispetto all'attualità politica, esso ha creato un criterio di percezione che determina il nostro modo di vedere la natura, di parlare di essa e di muoverci al suo interno. Esso esprime il concetto di natura tipico della nostra epoca. Tuttavia l'ascesa del pensiero degli ecosistemi da sapere d'opposizione a sapere dominante ha un suo prezzo: il concetto è stato emendato, col risultato che alcuni contenuti sono stati eliminati e determinate istanze sono state soffocate. Che conseguenze ha avuto, sul piano epistemologico, la cacciata degli spiriti romantici fuori dall'ecologia? Il pensiero impegnato si ritrova su una cattiva strada, quando coltiva un'immagine della natura in sintonia con l'ecosistema? Schizzerò quattro ipotesi che, rimaste celate nel pensiero degli ecosistemi, potrebbero indebolire l'impegno etico-politico. 1. L'essenza della natura è irraggiungibile ai nostri sensi. Sullo sfondo della crisi ambientale si era diffuso un rinnovato, talvolta entusiastico interesse per tutti i minimi aspetti della natura: calte palustri e querce, rane e· aironi cinerini, foreste tropicali e deserti di ghiaccio - con tutti i loro drammi, le loro sorprese e le loro infinite implicazioni. Tutto questo sembra essere svanito. Con l'ascesa del pensiero degli ecosistemi ci troviamo, per contro, circondati da tabelle di misurazione, coefficienti, grafici e diagrammi. La natura ci si presenta come un insieme confuso di ogni sorta di formule. Nell'immaginario collettivo le concrete comunità viventi di un luogo specifico non hanno più un grande peso, la natura è divent&.tauna rete di cicli, a prescindere da qualsiasi specie e luogo specifici. Si tramanda in questo modo un'eredità della concezione della realtà propria della scienza classica, secondo cui la natura ha poco a che fare con quanto possiamo vedere, udire o sentire; quel che conta si cela profondamente oltre i nostri sensi. Come conseguenza, rimangono escluse dalla comprensione collettiva altre forme di percezione, come per esempio quella di una natura che è viva, che parla a noi e che ha con noi un rapporto parentale. 2. Gli esseri viventi non hanno nessun diritto specifico. A ben vedere, nel modello dei cicli come pure in quello della conversione energetica l'essere vivente individuale non svolge nessun ruolo, né tantomeno, necessariamente, la specie. La singola creatura individuale rimane all'esterno della logica degli ecosistemi. La natura sembra essere popolata, piuttosto, di portatori di funzioni: gli individui hanno un senso qualora siano implicati in processi di autoregolazione o rientrino in una parte della catena alimentare. Il loro valore consiste nell'esplicare una funzione. Questa è una conseguenza inevitabile del pensiero basato sui sistemi, che rivela un mondo di relazioni anziché di individui. I singoli esseri viventi sono quindi sostituibili, tanto più che la maggior parte dei processi t1levanti ai fini del sistema si svolge su un piano sub-individuale. E difficile immaginare come, in una simile prospettiva, sia possibile motivare il diritto alla protezione di determinate specie, o addirittura la dignità di singole creature. "11ft
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