Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

insegnanti universitari americani oppressi e limitati nello svolgimento delle loro funzioni dalla politica reaganiana negli anni ottanta, o dai tedeschi spaventati dal proliferare di testate nucleari in Europa e nell'Est, per fare solo alcuni esempi. Naturalmente, invece, l'Australia è una nazione caratterizzata da vicende politiche di segno alterno, non più democratica, o libera, di tante altre, e il suo territorio, anche se diverso, pieno di fascino, di meraviglie naturali, è ormai tutt'altro che ignoto e inesplorato, resta terra d'avventura soltanto in quel che è sopravvissuto Australia delle origini (dal libro di Hughes, edizioni Adelphi). 22 CONFRONTI della sua immagine mitica. Robert Hughes, con il suo libro, toglie di mezzo questi residui e ci regala un quadro della fondazione della nazione australiana non meno fascinoso di miti e leggende. Lo fa attingendo alle. fonti ufficiali, ma anche _dandovoce, per la prima volta, alla massa di testimoni tutto sommato più attendibili delle vicende dell'epoca: i deportati stessi, che hanno lasciato ai loro discendenti documenti, lettere e diari in grande quantità, raccontando storie che hanno dell'incredibile, che superano, per pathos e drammaticità, quelle fantasiose ideate da romanzieri e sceneggiatori. Le citazioni da questi documenti di vita vissuta si alternano ai resoconti storici rigorosi e ai commenti equanimi di Hughes, che riesce in questo modo a trattenere l'attenzione del lettore per tutta la lunghezza del poderoso volume. La scrittura agile, spesso ironica, il punto di vista distaccato ma non indifferente, sereno ma non indulgente, fanrio da contrappunto necessario alla densità drammatica . della prosa dei deportati. Il volume sviscera ogni vicenda storica nei particolari, fornendo un'idea precisa delle difficoltà incontrate dai derelitti, e di quelle, non inferiori,· affrontate dai loro accompagnatori-carcerieri, per sopravvivere in un territorio reale totalmente diverso da quelli conosciuti e da quello immaginato. Non mancano gli episodi sensazionali, ma Hùghes non li enfatizza, non corre il rischio di mitizzare nuovamente luoghi, vicende e comportamenti: ad esempio, cheNorfolk.Island, il lembo di terra che nelle intenzioni del governo britannico avrebbe dovuto diventare fonte di materie prime utili alla costruzione di navi e vele, da esportare addirittura nella madre patria, finisse invece con il trasformarsi nella quintessenza del lager, nella prigione delle prigioni, nel luogo in cui venivano doppiamente esiliati i deportati più scomodi, tra cui parecchi politici, soprattutto irlandesi, è un fatto presentato come uno dei tanti, bizzarri e imprevisti, che vennero a crearsi nella nuova "terra del\e possibilità", senza coloriture superflue. Possibilità che si identificavano essenzialmente, per i deportati, con il ticket of leave, la concessione legale dello stato di libertà parziale prima, totale poi. È il miraggio della libertà trasformato in prospettiva concreta, a fornire alla massa degli esiliati la spinta e l'energia necessarie per superare le prove impossibili cui venivano sottoposti. Torture, efferatezze, ingiustizie, sadismi, spinsero spesso i deportati a progettare suicidi, individuali o addirittura colletti vi, ma raramente a praticarli, grazie al barlume, reale, di speranza, che veniva loro lasciato intravvedere. Tra storie di fughe, ribellioni, episodi di eroismo, o di abiezione, meticolosi resoconti di viaggi impossibili, imprese condotte con resistenza e tenacia inimmaginabili, Hughes riferisce anche dei rapporti tra funzionari coloniali, deportati, coloni e indigeni, culminati nella distruzione quasi totale di questi ultimi. Un particolare curioso, a questo proposito: nel raccontare lo sterminio degli aborigeni, avvenuto per gradi, Hughes riferisce a un certo punto che "il numero dei caduti di questa lunga guerra di frontiera è solo ipotetico; probabilmente 2.000-2.500 europei e più di 20.000 aborigeni." Le cifre, seppur ipotetiche, parlano chiaro, secondo Hughes: il rapporto l a l 000 dei caduti dalle due parti fa di quella contro i nativi australiani, non una guerra, ma u'n massacro. Che dire allora del rapporto tra caduti alleati e iracheni nella guerra più recente, quella del Gòlfo, messa in piedi senza gatti a nove code, o senza camere di tortura, senza lager di sorta, da nazioni "civili", a secoli di distanza? Secoli dall'alto dei quali è possibile guardare alla colonizzazione dell'Australia come a una vicenda remota, irrepetibile: negli sviluppi positivi, di certo, in quelli negativi, pur indiscriminatamente condannati pa tutti, pare proprio di no.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==