Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

CONFRONTI Anna Maria Ortese e Laura Lepetit fotografate da Martina Vergoni ( 1988). Hanno qualcosa di provvisorio, questi testi, come i tavolini sgangherati su cui vengono scritti. Sono fragili come l'animo dell'autrice, e spesso altrettanto laconici: "Desolazione e solitudine, sì, ma nulla, insomma, di nuovo." La botola verso l'impossibile Nel caldo torrido di Roma una signora americana porta a spasso un' iguana per Piazza di Spagna. Il rettile fugge, i giornali ne scrivono. Ancora una volta c'è lo zampino di un _animale capriccioso: nasce l'idea per il romanzo L'iguana. Un conte milanese si mette in viaggio per trovare una nuova opera letteraria per un editore, "qualcosa di primitario, magari d'anormale", per il_pubblico raffinato. Su un' isola al di là di Gibilterra trova una creatura miserevole, up' iguana mortalmente innamorata di •un poeta decaduto. Il cdnte vuole aiutarli, la bestiola e il poeta, ma sull'isola tutto è stregato. Si innamora dell'Iguana, questa lo respinge, e così egli muore, tortnentato, ma "cortesemente com'era vissuto". Anna Maria Ortese aveva l'intenzione di serivere un racconto ironico sull'editoria italiana (un' iguana diventa padrona della stampa milanese), che è poi diventato un libro spiritoso e poetico sull'orrore. È anche un libro triste sull'amore e le innumerevoli combinazioni dell'infelicità, una favola sul terrore della nostalgia per qualcosa che non esiste. In un labirinto di allusioni letterarie si raccontano le pene dell'Iguana: è verde e piccola come una bambina e vuole essere una donna e piacere all'uomo. Questi una volta l'ha amat~, ma poi si è ammalato e gli occhi gli sono diventati freddi. Ora lei è la sua serva, che di notte gioca nel pollaio, sogna la felicità e spera di trovare una botola verso l'impossibile. L'inferno è un luogo freddo dove si spera. Ci sono nell'opera di Anna Maria Ortese altri esseri simili, creazioni letterarie misteriose e strambe: una scimmietta serva; o un folletto, miscuglio fra "bambino, gatto e lepre", che muore pietosamente di disamore o forse di mal di denti. Sono messaggeri di un altro mondo, e ammoniscono invano di non mettersi a cercare quell'altro mondo. L'Iguana ama il poeta un po' ottuso; questi si strugge per una scimmietta morta e se ne va infine con un'americana paffuta. Il conte, nel suo candore, ama l'Iguana e si perde sempre di più nelle tenebre dell'animuccia raggrinzita della bestiola. Nel capitolo "La tempesta" succedono le cose più bizzarre - come sull'isola della Tempesta di Shakespeare. Per il conte si deformano tutte le coordinate della ragione e, morendo, egli non vuole 20 ancor credere che quell'esserino verde è un animale, un mostro, il Male. Così l'autrice ha definito una volta questa protagonista dalla boccuccia animalesca: maligna per le umiliazioni subity, per tanta attesa nell'ininterrotto circuito dell'infelicità. Ma anche il lettore stenta ad aspettarsi cattiverie dalle manine striminzite dell'Iguana. Il porto di Toledo "Qualcosa non va, nell'universo." C'è sempre qualche intralcio, e la vita dell'autrice inciampa nei tranelli della materialità, dei sentimenti o delle parole. Il sole si offusca, sopravviene il freddo. Per scampare a quésto piccolo finimondo della propria anima l'uomo erige altari coi fini più svariati, cerca rifugio sotto i tetti più sghembi. La giovane Ortese andava nella "chiesa dell'estetica" per crearsi nella poesia un mondo per i suoi gusti. Dopo alcuni decenni e molte sconfitte la scrittrice si ricorda di quel mondo, della sua gioventù napoletana, della letteratura, dei primi tentativi e successi. Nel romanzo Il porto di Toledo intreccia questi . ricordi con giocose varianti dei suoi primi racconti e poesie, in una sorta di ritratto dell'artista da ragazza triste. Teatro di quest'autobiografia in chiave (quasi inestricabile) è una Napoli fantastica, sempre coperta di nuvole e scossa dal vento; burlescamente ispanizzata, come tanti nomi del romanzo, diventa "Toledo" -anche in allusione al luogo più celebre della città, secondo Stendhal "la strada più popolosa dell'Universo". Con il lettore e forse anche con se stessa Anna Maria Ortese gioca a nascondino, con simboli e generi letterari. Impone alle proprie opere giovanili a volte la cadenza malinconica di Leopardi, a volte l'enfasi romantica di Manzoni, e ne fa un pastiche con i suoi commenti da signora provata e con parole inventate dal suono spagJlolo (una sfida all'acrobazia per i traduttori). Ciò che a uno sguardo impreciso può sembrare manierismo oppure una ermetica vanità è una semplicissima, terribile storia d'amore. E una sofisticata opera d'arte. La protagonista Damasa scrive i suoi primi, "rendiconti ritmici", li pubblica su una rivista, poi come libro. E come nella favola, per la ragazza della casa sconquassata sul porto. Potrebbe andar bene se non fosse per un uomo di nome Lemano, biondo, dagli occhi grigi e orecchie a sventola. Si innamora di lui così tanto· che tutto il cielo grida il suo nome. Insomma, deve finir male. Decine di personaggi sono in relazione fra loro in una nebbia di allusioni. Viaggi, lettere e sogni rendono ancora più complicate le 500 pagine del romanzo, ma la favola rimane semplice: Damasa ama Lemano, ma non lo avrà. Su una banchina nel porto lui le ha baciato la gamba, che da allora le duole tanto. Lei scrive soltanto per lui e spera che egli legga questi scritti nella sua città d'esilio. Lui ritorna perché ama un'altra, una bionda bambolina malaticcia. La bambolina non sa cosa volere. Vagamente il triangolo diventa poligono, ma lo strazio della solitudine e del disamore non svanisce. Rimane una ferita per la vita che può essere descritta come in uno specchio, solo dopo tanto silenzio e da lontano, dietro la superficie liscia del tempo e dell'ironia. Un'impresa poetica che nella narrativa contemporanea 'italiana è riuscita con questa intensità forse solo a Carlo Emilio Gadda. Damasa vive per anni con un sogno in testa e un dolore nella gamba; piange e sogna e scrive tutto il tempo; Toledo cade sotto le bombe dei turchi ma lei quasi non se ne accorge. Lemano non lo vede mai più. Ma Damasa sa che egli si reca ancora al porto, che passa per le strade "come un cane, contando i balconi".

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