Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

IL CONTESTO appare questo: i mammiferi adulti - secondo Regan - sono esseri coscienti e senzienti, come noi, e i loro diritti sono assoluti, cioè non derivano tanto da decisioni prese da parte di noi uomini, cioè da orientamenti che noi assumiamo in base a· fattori storici o culturali, quanto invece dalla loro stessa essenza. Ciò significa, ad esempio, che i diritti di un topolino sono elevati a principio universale, tanto che la tutela di questo roditore è un obbligo morale primario. Secondo questa stessa logica, i diritti di un pappagallo o di un corvo sono invece inesistenti, trattandosi di uccelli e non di mammiferi. (Sembra che il signor Regan salvi però, chissà perché, l'aquila, v. a pag. 24, forse per la tradizionale nobiltà di immagine di questo volatile. Ma il corvo è forse meno cosciente e più stupido di un topolino? In realtà si potrebbe, volendo, e ammesso che queste graduatorie abbiano un senso, sostenere esattamente il contrario.) Ma poi, come mai un criceto o un puledro di dieci mesi non hanno diritti, anzi, non hanno nessun diritto, e li acquistano nel momento in cui compiono un anno di vita? Anche questo non viene mai spiegato. Il problema, si noti bene, va posto proprio in questi termini, cioè in termini categoriali e rigidi, perché questa rigidità è centrale nel modo di ragionare di Regan . Questo autore infatti rifugge da ogni discorso di misura e di buon senso e da qualsiasi parametro che possa apparire convenzionale, ma punta invece con decisione a stabilire, una volta per tutti, i diritti animali come principi etici autoevidenti, netti e assoluti, principi dai quali tutti gli uomini, secondo lui, dovranno d'ora in poi derivare condotte obbligatorie. Gli animali (purché di più di 12 mesi e cioè adulti secondo l'ingenua identificazione di Regan) hanno diritti perché sono come noi, e sono come noi perché sono coscienti. Ma, anche qui, viene ~ubito da chiedersi, cosa si deve intendere per cosciente? I capitoli che questo autore dedica al problema sono di una straordinaria concettosità, e la loro astrattezza maschera male una pessima conoscenza del problema. Oggi fra gli studiosi si parla molto di coscienza animale, e già se ne parlava quando Regan scriveva il suo libro, e non è più ammissibile essere ingenui in materia. Basta un banale esame dell'uso comune della parola, in italiano come in inglese, per accorgersi di ciò che a Regan fa comodo non vedere, e cioè che "cosciente" ha due accezioni molto diverse. In primo luogo significa sveglio, attivamente presente all'ambiente, e in questo senso si dice che uno che sviene ha perso coscienza; qui anche un passero o un pesciolino sono coscienti, beninteso se non stanno dormendo. In secondo luogo significa invece "autocosciente", cio~ in grado di prendere· in esame riflessivamente le proprie azioni e i propri progetti, e quindi di rendersene responsabile: è questo il fondamento e la definizione stessa del concetto psicologico e giuridico di persona. In questo secondo significato si dice dunque a un giovanotto che va in moto come un pazzo "sei un incosciente", oppure, se picchia la mamma, "sei senza coscienza". Per via di ricerche e precisazioni di metodo che sarebbe lungo qui descrivere, possiamo dire che un cane è cosciente, ma non è autocosciente, mentre noi umani, e a quanto pare in qualche modo anche gli scimpanzé, siamo autocoscienti, o meglio possiamo esserlo, dato che non lo siamo sempre né in maniera completa. Così, analogamente, ma qui entriamo già in una tematica psicologica più sofisticata, l'enunciato "Fido si presenta dal padrone con il guinzaglio in bocca perché vuole essere portato a spasso" designa una situazione che, contrariamente all'apparenza ingenua (e al credo dei più dedicati cinofili), non è affatto simile alla situazione designata con l'enunciato, solo apparentemente parallelo, "Lisa vuole che Gianni la sposi". Questo perché Fido ha 16 i suoi limiti : egli pensa ma non sa di pensare, e-contrariamente all'apparenza - in-ogni caso probabilmente non pensa affatto che il padrone vedendo il gunzaglio penserà di portarlo a spasso, ma agisce per meccanismi associativi molto più elementari. La brava Lisa invece, a differenza di Fido, ha ben in mente cosa vuole, e sa di saperlo. Ora, è falso e non serve a nulla assimilare gli animali alle persone, e al contrario è molto utile, e giusto per tutti, sapere che un cane non è una persona (ma non lo è neppure un bambino di sei mesi) e che ha - come del resto il bambino - le sue particolarissime esigenze, le quali sono appunto le sue, e non le nostre. Così, è bene sapere che - poniamo - un fringuello percepisce il mondo in modo molto diverso da un topo, e un topo in modo diverso da un neonato. (Fra parentesi: il fringuello probabilmente percepisce la realtà secondo analizzatori visivi e uditivi che sono più simili a quelli umani di quelli del topo, il quale, come il cane, si muove in un mondo di odori). Il rispetto per gli animali, dunque, non dovrebbe passare attraverso una loro artificiosa assimilazione agli esseri umani, bensì attraverso il riconoscimento delle loro singolarità: e quindi dovrebbe passare attraverso lo studio e il rispetto dei loro bisogni, i quali non sono necessariamente simili ai bisogni umani, e anzi spesso sono del tutto particolari. Però dovrebbe essere evidente che i riconoscimenti delle differenze fra gli uomini e gli animali, e fra i vari animali, non sono affatto buoni motivi per maltrattare i cani, né per sparare ai fringuelli, e forse neppure per schiacciare i topolini in cucina con il manico della scopa. Soprattutto, parlare di differenze fra le specie non significa affatto distinguere le più varie bestie e bestioline in "superiori" (cioè "nobili", perché pii.icarine, o più simili a noi) e in "inferiori" (cioè "più indietro" nella scala della natura, cioè più distanti da noi), secondo un :Uododi ragionare che era tipico del secolo scorso, e che i naturalisti di oggi inclinano a ritenere privo di senso. Il signor Regan però, il quale non è un naturalista ma un filosofo, e per la precisione un cattivo filosofo, ha evidentement_e bisogno di pensare che il suo cane ragiona come lui per potergli voler bene. Inoltre egli non sembra ritenere che una buona difesa degli animali possa stare in piedi senza il supporto poderoso un'etica sistematizzante di tipo dogmatico. Ma questa etica dogmatica, che vuole essere neutrale e obbiettiva, è un'etica di tipo antropocentrico, cioè si fonda sul vecchio principio implicito secondo cui siccome noi esseri umani siamo il compimento della scala della natura, anche gli animali possono essere considerati belli, nobili e rispettabili purché ci somiglin_o.Di fatto tutto il libro è fondato su un antropocentrismo proiettivo non pienamente consapevole. (Eppure l'autore, certo senza mai rendersi conto della portata di ciò che afferma, sembra talora addirittura farsene un vanto: si veda ad esempio a pag. 57 e 117-118 , dove fra l'altro sostiene in modo del tutto esplicito che noi tutti dobbiamo assolutamente fidarci del nostro intuito quando ci pare che certi animali abbiano tanto più vita mentale quanto più ci somigliano). In definitiva, in queste sue faticose elucubrazioni, dietro lo schermo di uno spirito pedante (e molto spesso pedestre) il cui rigore è solo apparente, il signor Regan riesce solo a essere moralistico verso i suoi lettori e, naturalmente, paternalistico verso l'immagine degli animali. Ciò significa c:heva imputata a Rygan anche l'aggravante di pretendere di imporre le sue tesi mediante un tipo di esposizione che non è una vera argomentazione dimostrativa, ma è solo un esercizio di retorica, e anzi di una retorica intimidativa e autoritaria. Come si suol dire, se gli amanti della natura avranno molti "amici" come questo campione dei diritti animali, forse non avranno più tanto bisogno di nemici.

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