IL CONTESTO La lettera è datata Mogadiscio, 22 aprile 1991: " ... Siamo al quarto mese di guerra; è ·di oggi la notizia che l'USC (United Somali Congress: la formaziùne politi~a che ha formato il nuovo governo in Somalia) ha rotto le difese intorno a Kisimayo e ormai si combatte casa per casa. Siyaad Barre non è stato ancora catturato, ma il suo esercito è a pezzi e forse avrà fine questa lunga dittatura nata da una 'rivoluzione senza spargimento di sangue' e finita nel modo più orribile con migliaia di morti e tutto il paese distrutto e in macerie. Mogadiscio è senza acqua, luce, telefono, non funziona nessun Ministero, le poste neppure, gli ospedali sono senza luce e senza attrezzature, non c'è un'ambasciata aperta, i voli nazionali sono ridotti a un Fokker che collega la capitale con Gibuti, i mezzi pubblici solo ora che è arrivato un po'· di carburante cominciano a funzionare, l'agricoltura è paralizzata dalle continue incursioni e combattimenti, le città principali come Galkayo, Merca, Brava, Beidoa ecc. sono state liberate, rioccupate, di nuovo liberate e hanno subito bombardamenti di artiglieria pesante da ambo le parti. In particolare Mogadiscio è stata martellata dall'artiglieria di Siyaad Barre per circa un mese, quasi tutti i quartieri sono stati colpiti pesantemente e per molti giorni i cadaveri sono rimasti insepolti appestando la città. All'inizio di gennaio è cominciato il fenomeno dei profughi e degli sfollati. Centinaia di persone, per lo più donne, bambini, vecchi, cercavano di lasciare la città sotto i bombardamenti diretti verso Afgoi, Merca, Brava, Kisimayo, e da lì a migliaia cercavano di raggiungere con ogni mezzo il Kenya oppure l'Etiopia. Poi, a fine gennaio, quando Mogadiscio è· stata liberata e la guerra si è spostata nel Basso Giuba, è successo il fenomeno inverso: tutti a cercare un rifugio nella capitale dove, in mancanza di servizio d'ordine, ognuno cercava di arrangiarsi dandosi al sac·cheggio, che era l'attività più redditizia, e occupando le case degli sfollati e dei Marehan (il gruppo di Siyaad). Siamo piombati nel kaos, la gente rubava tutto, persino i fili della luce; non si è salvato niente. La nostra casa è stata saccheggiata dopo una violenta battaglia alla quale siamo riusciti a sfuggire per miracolo sotto una grandine di pallottole. Nessuno si aspettava una sommossa popolare che è esplosa come un vulcano, chiunque aveva armi ha comin- · ciato a combattere praticamente senza una direttiva ma·organizzandosi con gli amici o i vicini, chi non aveva armi seguiva i compagni e raccoglieva le armi dei caduti. Si coml:fattevasotto la sigla dell'Use; una formazione politica Hawiya, per cui tutti i Darood sono passati dalla parte di Siyaad Barre, anche i Majerteen e gli Ogaden. Questi ultimi inizialmente avevano dichiarato la loro alleanza con l'Use ma poi si sono schierati e hanno formato il blocco Darood. Questo voltafaccia ha cambiato l'aspetto della guerra che da lotta contro il regime di Siyaad si è trasformata purtroppo in una bieca guerra tribale con massacri di innocenti da ambo le parti e ha scatenato un odio che sarà fatale per il futuro del paese ..." Così a Mogadiscio. È di questi giorni la notizia che il paese si sta sezionando in tre regioni "etniche", una Darood a sud intorno a Kisimayo, un'altra Hawiya nella regione di Mogadiscio, una terza Ishaq al nord. La c.d. grande Somalia, la nazione somala che orgogliosamente fino a ieri si fregiava di una unità culturale e linguistica che andava fin oltre gli stessi confini dello stato nazionale, si sta così ricomponendo, o scomponendo, in una artificiale serie di repubbliche a sfondo tribale. Sarà così anche in Etiopia? In un paese dove i conflitti etnici e le incrostazioni sociali e politiche sono di più antica e aspra tradizione, sarà possibile rinnovare una forma stato senza arrivare agli eccessi di Mogadiscio? E sarà possibile individuare l'asse di crescita di una diversa società politica senza che questa si arrocchi in una spirale interna di violenza e di demagogia? Il dopo Menghistu è già iniziato. 14 Per un dibattito sugli animali a partire da un librodi TomRegan Giovanni Jervis L'emergenza drammaticissima dell'inquinamento ci spinge, o ci dovrebbe spingere, a nuove forme di mobilitazione. Una intera cultura sta cambiando: si fa strada - soprattutto fra i giovani - una sensibilità per la natura che è nuova per l'Italia, e affonda forse le sue radici storiche internazionali nel Romanticismo centroeuropeo e hella tradizionale passione della borghesia anglosassone per l'esplorazione naturalistica. Vediamo un nuovo - da noi - tipo di sensibilità verso le forme viventi, con un'attenzione appassionata e particolarissima verso alcune precise catègorie, e cioè gli uccelli, i cetacei e i mammiferi dei boschi e delle campagne. (Per motivi non evidenti gli animali urbani come i passeri e i piccioni, i pesci in generale, i bovini e gli ovini di allevamento, i maiali, i ratti, i rettili e gli insetti sono invece oggetto di sguardi distratti e di attenzioni molto meno benevole). Le scelte e gli impegni personali in questo campo ci appaiono molto stimabili, e non solo in sé stessi ma anche perché si accompagnano a un tipo di pensosità e a un senso di responsabile civiltà che distanziano nettamente, ponendola su un piano ben più elevato, l'immagine del giovane cultore della natura di oggi da quella, ben più rozza, di chi è appassionato di oggetti come supermoto e auto, megawatt acustici e armi. Da sempre assume valore, e suscita negli altri simpatia, il fatto che le scelte a favore degli animali siano presentate in modo - per lo più - discreto e tollerante. Qui l'assenza di fanatismo rafforza il messaggio; il rispetto per la natura è parte dello stesso atteggiamento nonviolento che impone il rispetto delle opinioni altrui. Ognuno ha in mente esempi concreti. Io ricordo che da giovane ero spesso ospite a pranzo di un'amata vecchia signora, la quale era vegetariana e pacifista; essa non mangiava carne, ma parlava di questo suo modesto impegno solo se ne veniva richiesta, e quasi con pudore; anzi, il suo rispetto per gli altri la spingeva a comprare per i suoi ospiti anche un po' di arrosto quando sapeva che ciò faceva loro piacere, e di offrirlo senza alcuna .ostentazione. (Mangiava berisì il pesce: e una volta mi chiese se non pensavo che i pesci fossero, in un certo senso, una specie di vegetale: naturalmente le risposi di sì.) In anni più recenti, ho incontrato Unecologista straniero che ha ridotto quasi a zero il proprio personale consumo di prodotti bovini e suini (scarpe di cuoio comprese) con la convinzione che se pian piano; con gli anni, molti e poi moltissimi facessero come lui, non solo si diffonderebbe l'idea di un rapporto meno predatorio verso gli animali, ma soprattutto, col diminuire degli allevamenti e della zootecnia in generale, si ridurrebbe una delle cause principali della sovrapproduzione di anidride carbonica, e quindi dell'effetto serra. Anche lui non ostentava né predicava, e proprio per quésto era convincente. Altre volte però le scelte sono più ostentate, o più vincolanti per gli altri, oppure sono predicate con eccessivo vigore e indisponente spirito di militanza: Il sentiero che va dalla testimonianza alla prevaricazione è, come tutti sanno, fra i più agevolmente percorribili: basta cominciare con poco. Dall'India mi
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