gente che ha combattuto e che combatte in casa, tra la propria gente, in nome di un ideale di autonomia che alcuni contestano ma che trova una sua base di consensi e di credibilità diffuse nella regione. Ma i woyane del Tigray sono altra cosa: è gente del nord, che ha conteso da sempre il potere al gruppo amhara e scioano, e che dalla primitiva lotta per l'autonomia regionale è passata in .questi ultimi tempi ad abbracciare un progetto di predominio sul paese malamente mascherato da un'aggregazione politica che si vuole panetiopica e rivoluzionaria. Il cambiamento di sigla da Fronte di liberazione tigrino a Movimento democratico etiopico ne è segno esteriore. Ma la sostanza non cambia. La lotta è per il predominio sul paese: la lunga marcia attraverso il nord e l'ovest etiopico con la caduta, e la ripresa, di importanti città (Gondar, Bahr Dar, Nekemte, Jimma, Ambo) ne sono testimonianza. La risposta governati va di arroccamento sembra preludere a ulteriori sanguinosi scontri. È una guerra non più di guerriglia ma convenzionale, questa, combattuta da truppe bene addestrate e armate su entrambi i fronti, che si equivalgono (tranne che per l'aviazione, ancora monopolio del governo centrale) in armamenti e terrore. È una guerra ignorata e senza testimoni esterni, tranne le vittime; una guerra che conferma il disinteresse occidentale, la sua riluttanza a farsi coinvolgere salvo a ripiegare, alla vigilia del1' olocausto, con una affrettata evacuazione e vuote condanne o appelli umanitari. È una guerra la cui sindrome conosciamo perché l'abbiamo già vista arrivare altre volte, distruggere tutto al suo passaggio, appiattire ogni tentativo di reale cambiamento, che aMogadiscio ha dimostrato tutta la sua incontenibile capacità Foto di Vincenzo Cottinelli. IL CONTESTO di violenza e di rivolta. È la rivolta estrema della società contro lo Stato, questo Stato che noi abbiamo favorito, condizionato, blandito e armato, e che ora, privato di qualsiasi supporto politico" ideologico, sembra tornare tragicamente a un sistema pre-politico che della società tradizionale non ha più, perché lo ha perso o glielo abbiamo Jevato noi, le caratteristiche di insieme e di equilibrio, sia pure di semplice sussistenza, che una volta possedeva. "Siamo piombati nel Kaos", così da Mogadiscio mi scrive un collega somalo sfuggito alla catastrofe. La sua lettera, arrivata a mano da un paese che non dispone più di un servizio postale, spiega meglio di qualunque mia parola che cosa può succedere in un paese in rivolta: A Addis Abeba, un giornalista della Reuter di passaggio per il Sudan mi aveva avvertito: "Mogadiscio non esiste più come città. È abitata da bande armate di soldati sbandati e di fuggiaschi. Tutto è stato saccheggiato: case, banche, uffici pubblici, ambasciate. Non c'è luce, non c'è acqua, non c'è elettricità, non c'è moneta ufficiale, non ci sono servizi pubblici essenziali. Tutti i ragazzi al di sopra dei dodici anni hanno un fucile, e lo usano. Fuori dell'unico albergo non saccheggiato, al centro di Mogadiscio, ho visto un ragazzino stendere su uno straccio bianco la sua insolita merce di scambio, anzi baratto, disposta su tre file ordinate: una striscia di proiettili di fucile mitragliatore, una striscia di passaporti nuovi fiammanti, una striscia di sigarette Marlboro. Per chi sa che cosa abbia voluto dire ottenere un passaporto in un paese come questo, vederne lì una dozzina inutilizzati, esposti a un pubblico indifferente tra pallottole di fucile e pacchetti di sigarette, dava il senso vero del dopo Siyaad." 13
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