. debba seguire l'evoluzione dei "primi" (è quel che pensava anche Marx, e forse uno dei suoi pochi grandi errori: altra cosa è pensare che tutti saranno condizionati, e pesantemente, dal modo di evolversi dei "primi"). Ma questa convinzione non dovrebbe impedire di comprendere ciò che accade altrove, perlomeno con la stessa coerenza e rigore con cui si analizzano i fatti interni all'occidente. . Quello che si proclama essere il bene dell'Urss, allora, è solo il bene dell'occidente. Che esso si realizzi "contro" la volontà di gran parte dei popoli sovietici, come hanno dimostrato i risultati del referendum (analizzati in modo sommario e superficiale: dove sono finite le sapienti elaborazioni che vengono fatte dopo ogni insignificantissimo voto italiano?), sembra un problema secondario. Come è secondario - ma qui, banalmente, perché è lontano - che lì, pur non morendo di fame, la gente debba impostare l'intera sua esistenza quotidiana per la sopravvivenza e per la propria riproduzione. È più importante criticare la "demagogia" dei radicali (ci si dimentica quanta demagogia si è nascosta per decenni dietro l'opposizione fatta dalla sinistra al sistema capitalistico o dietro la critica all'Urss fatta dai difensori del capitalismo), l'incapacità del popolo russo di organizzarsi in partiti e "corpi" intermedi, il suo "bisogno" di un capo, di ~imboli, di icone, l'"astrattezza" dei piani economici alternativi (come se da noi non fosse questa astrattezza la legge suprema della politica). Per questo motivo il peso di quel che accade all'interno dell'Urss è assolutamente secondario rispetto al suo ruolo internazionale. Sul piano internazionale (che comprende anche l'inILCONTESTO tegrità territoriale e istituzionale dell'Unione) l'Urss può pesare "negativamente" sull'occidente, mentre i negozi vuoti o la sospensione del diritto di sciopero no. Questi ultimi, allora, sono prezzi che ben si possono mettere a tacere nel conto di un leader che appare invece come il partner ideale per la nuova epoca di distensione (il cui successo non può che avvenire sulla base di · una ridistribuzione del potere a favore dell'occidente). Il problema, naturalmente, non è di opporsi a questa logica: il "Manifesto", l'unico tra questi giornali che vuole contrastare questo ulteriore passo nell'occidentalizzazione del mondo, lo fa immaginandosi un Gorbaciov ancora in parte socialista, o maledicendo la storia perché dai paesi socialisti si è usciti con regimi decisamente conservatori. Il problema principale è quello di cercare le nuove coordinate, concettuali e storiche, per comprendere quello che accade (soprattutto fuori dall'occidente) senza autocensure, mentalità da propagandisti, bisogno di legittimare le proprie posizioni, logica funzionalistica, strumentalismi da politici, approcci integralisti. Gorbaciov, insomma, può anche ricevere il plauso per (parte de) la sua attività diplomatica e per la trasformazione impressa ai rapporti internazionali e ai paesi dell'Europa centroorientale; ma nulla legittima la sacralità con cui si giudica - o si giustifica, secondo meccanismi mai abbandonati - il suo operato interno all'Unione Sovietica. Tocqueville e Marx erano anch'essi pienamente occidentali, critici differenti e forse inconciliabili di quella che era la realtà a loro contemporanea. Ma dei "potenti" della loro epoca (di tutti i potenti), parlavano con una libertà che oggi sembra scomparsa. 11 Piombati nel caos'' Impressioni di un viaggiatore in Etiopia Alessandro Triulzi Mi avevano consigliato di non andare. Avevo firmato una dichiarazione in cui mi assumevo ogni responsabilità del viaggio e dichiaravo di essere a conoscenza della situazione di pericolo in atto nel paese, ma avevo, io ed altri, deciso di partecipare lo stesso al Convegno di studi di Addis Abeba oggetto del viaggio, in parte per quell'inatteso senso di avventura che riscoprivo essere alla base dei miei peregrinari africani, in parte per quella sicurezza che mi suggeriva un'antica conoscenza del paese e della sua storia. Febbrili telefonate con amici locali alla vigilia della partenza mi avevano rassicurato: Addis Abeba era tranquilla e la "sindrome di Mogadiscio", che aveva consigliato un inizio di evacuazione da parte dei familiari del personale di ambasciate, cooperazione e scuole europee ('è solo un'anticipazione delle vacanze pasquali' era stato detto), era dovuta a un eccesso di zelo da parte di qualche addetto alla sicurezza ancora sotto choc per la caduta della capitale somala. Così mi trovavo là, all'aeroporto di Addis Abeba, in una umida giornata dall'inconfondibile appiccicosità tipica delle cosiddette "piccole piogge" (quelle "grandi", torrenziali, sarebbero venute l'estate e avrebbero come sempre'segnato la fine di ogni conflitto armato per l'assoluta impraticabilità delle vie di comunicazione e per permettere ai contadini in armi di tornare ai lavori dei campi), accolto come sempre da amici e colleghi in attesa di messaggi e di pacchi da casa, come sempre coinvolto. da colori odori grida e gesti di parenti, curiosi, questuanti, sfaccendati che quotidianamente assediano, qui come altrove, gli aeroporti di ogni capitale africana. Benvenuto a Addis Abeba, mi sono subito detto, riecheggiando le scritte aeroportuali. Senso di struggimento dentro, ritorno a immagini, sensazioni del passato, senso di casa. Ben tornato a casa, dunque. In· Africa, la mia Africa. Lungo la strada del Gojjam, la città alle spalle, la Land Rover sterza bruscamente a destra con un cig_olìodi freni. Un fascio di luce illumina un cancello verde di latta ondulata, anonimo come tutti i cancelli delle vecchie case di Addis Abeba senza numero civico, strade senza nome e senza indicazione, contraddistinte solo dalla direzione di partenza o di arrivo, appartenenti a un sistema di segni riconoscibili unicamente dall'interno. Dal motore acceso esce un lamento soffocato che si trasforma poi, a seguito di energici colpi di acceleratore, in un flebile suono di clacson. Intorno i cani abbaiano dalle case vicine, i loro latrati si ripercuotono tra gli alberi, il silenzio della notte è lacerato da altri lamenti ora soffocati dai bruschi ruggiti del motore. Il cancello ondeggia in avanti, prima piano, poi più minaccioso tra secchi rumori di lamiera e sorde imprecazioni miste a richiami per zittire i cani. Poi, improvvisamente, dopo un ultimo inchino in avanti quasi a toccare la macchina impaziente, la lamiera ondulata si spalanca di colpo e sull'ombra del giardino si staglia 11
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==