IL CONTESTO che Gorbaciov non poteva che fare ciò che ha fatto e che la sua politica andava incoraggiata e appoggiata. Gli ultimi mesi hanno visto accentuarsi la critica a Gorbaciov dei democratici e dei radicali russi, infittirsi gli episodi di protesta sociale e il clima di distacco e di opposizione tra la gente e il leader del Cremlino, aumentare l'influsso della nomenklatura e del partito nella politica avallata dal presidente dell'Urss: per quella che ama definirsi l'opinione pubblica, comunque, è stato più facile trovare un bersaglio critico nella rozza, antipatica e spocchiosa demagogia di Eltsin che non nelle cautele normalizzatrici e nei distinguo autoritari di Gorbaciov. Fot? di R. Tonsirig (Saba/Rea/Contrasto). Infine, dopo la crisi della Lituania e le spinte indipendentistiche e autonomistiche espressesi nel referendum del 17marzo, gli attacchi alla glasnost' e alla libertà di manifestazione, gli aumenti dei prezzi e la contraddittoria manovra economica, è giunto il "capolavoro" del 24-25 aprile, salutato in modo univoco dai quattro moschettieri italiani di re Gorby: l'appoggio delle nove repubbliche a un discutibilissimo piano anticrisi (fatto ingoiare alla sinistra radicale) e la demagogica e ricattatoria riconferma a segretario del Pcus (fatta ingoiare al centro-destra del partito). Che Mikhail Gorbaciov meriti il rispetto degli storici e il riconoscimento dei politici per l'abilità con cui si destreggia in una situazione di crisi difficile e permanente è qualcosa che appartiene, per così dire, alla logica profonda di quelle. professioni; come del resto si può giustificare quella sorta di fanatismo · spettacolar-religioso che il presidente sovietico suscita a çmdate in occidente. Meno comprensibile è l'abdicazione a ogni funzione critica di quel quarto potere che dovrebbe formare l'opinione pubblica (poco importa se in modo benpensante, progressista, di opposizione), e che dovrebbe ricordare non solo di essere "potere", ma anche "quarto", separato e contrapposto, cioè, agli altri poteri esistenti: sia in Italia che nello scenario internazionale. Possibile allora che tante lodi abbia meritato il piano anticrisi di Pavlov (fatto proprio da Gorbaciov), che sospende il diritto di sciopero e giudica "intollerabili i tentativi di raggiungere obiettivi politici istigando alla disobbedienza civile e agli scioperi e ricorrendo ad appelli per sovvertire gli organi costituzionali"? La mancanza del diritto di sciopero è sempre apparsa, in passato, uno degli elementi di verifica più elementari della realtà politica e democratica di un paese. Come si è giunti a disinteressarsene così platealmente da parte di chi si è sempre augurato una "ribellione" sovietica o da parte di chi ha sempre rimproverato all'occidente di ricattare i movimenti sociali con la minaccia di sospendere quelle libertà oggi così tranquillamente messe 10 tra parentesi in Urss? E soprattutto da parte di una categoria che sta utilizzando ampiamente proprio in queste settimane il diritto di sciopero? Miopia, abbaglio, travisamento? Per diversi motivi e in diverse occasioni questi quattro quotidiani si sono fatti paladini dei "princìpi" contro il realpoliticismo dei pragmatici e dei cinici. Ma perché mai se a opporsi al diritto di sciopero è qualche industriale italiano. o qualche ministro cileno o qualche funzionario americano si grida alla lesa maestà del popolo e non quando è il saggio Mikhail Gorbaciov a decidere quale sia il bene dei "suoi" minatori? La sinistra, in Italia (sìa quella borghese, èonservatrice o progressista·, sia quella di opposizione, istituzionale o no), ha sempre usato i "princìpi"come mezzo di propaganda e di mobilitazione, per attaccare l'avversario e metterlo in difficoltà. Alla prova dei fatti, o quando in discussione sono coloro che si reputano degli alleati, la strada scelta è sempre stata quella dei politici di tutto il mondo. Con l' aggravànte che qui non si tratta di politici, ma di giornali che si illudono - ed è una illusione identica per tutti e quattro - di poter "contare" politicamente, di influenzare un mondo della politica di cui sono invece specchio o, nel migliore dei casi, sponda. Alla faccia dei bei discorsi sull'infomazione e sull'educazione dell'opinione pubblica. Non credo che abbiano cambiato opinione, in questi mesi o ·a confronto con gli avvenimenti sovietici, né "Repubblica" e · "Stampa", né "Unità" e "Manifesto". E infatti se si parla di Bush o di Kohl, di La Màlfa o di Martelli, di Ciarrapico o di Berlusconi, le antiche divisioni e contrapposizioni (di analisi, di giudizio, di schieramento, di valori) restano tranquillamente intatte. · Azzardiamo, allora, una spiegazione: questi quattro giornali (e gli altri dietro a loro) sono inequivocabilmente degli "occhi dell'occidente." Certo, sono tra loro diversi, come diverso è l'occidente che vogliono, criticano, amano, difen9ono, combattono (e lo si è visto durante la guerra del golfo). Ma quando si tratta di affrontare non più l'occidente come agente "attivo" (nel bene e nel male; tanto all'interno dei paesi europei-nordamericani che nella sua azione all'esterno del proprio territorio), ma l'occidente come spettatore "passivo", come sponda o specchio di un agire "altro", estraneo _elontano, allora sembra prevalere un atteggiamento omogeneo. Se si parla dell'Urss, di quale sia il bene dell 'Urss, il riflesso immediato di tutto l'occidente è: evitare la crisi, evitare la guerra civile, evitare lo smembramento dell'impero e i pericoli ad esso collegati, impedire lo scontro nazionalistico, ecc. Solo in seguito si dirà: favorire la transizione al mercato, alla democrazia, al pluralismo. Qualche voce isolata si permetterà di dire: aiutiamoli senza contropartite, lasciamo che facciano ciò che vogliono, accogliamo tutti i profughi che desiderano Venirein Italia, ma si tratterà di voci che non raggillllgono le pagine dei giornali, o comunque non ne fanno la "linea". L'occidente nasconde dentro di sé una grande paura: che i cambiamenti altrui - e quale più grande e pieno di effetti della trasformazione della più grande potenza non occidentale - possano avvenire con modalità non volute, non controllate, non comprese, con forme che possano davvero mettere in discussione la sua superiorità. Possono essere comprese, e quindi accettate e volute, forme di transizione oonservatrici o rivoluzionarie (e allora le prime piaceranno solo ad alcuni, le seconde solo ad altri), ma non .si può accettare che la storia percorra strade diverse da quelle imboccate dall'occidente negli ultimi due secoli: la strada liberale (conservatrice o democratica) o quella socia,lista (democratica o autoritariay E possibile che sia così, che inevitabilmente tutto il mondo
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