nomia all'interno dell'Iraq. Non l'indipendenza. L'indipendenza non ci interessa. Vogliamo solo vivere in pace". Beviamo il tè zuccherato, portano pane e yogurt. Ora c'è caldo, luce, silenzio. E pace. Turchia, ·sul confine. "State indietro! Indietro!" Gli uomini dei reparti speciali dell'esercito turco addetti ali' ordine pubblico dentro al campo di lsikveren fanno roteare il bastone per tenere la gente lontano dai sentieri dove si arrampicano i camion e lejeep. Quando i profughi avanzano, nonostante le bastonate, per cercare di rag- . giungere un camion carico di pane, fanno tuonare i loro fucili mitragliatori e la folla si sbanda, rotola indietro, cade sui pendii, si sbriciola. Ogni giorno, oltre a chi muore di freddo, dissenteria, polmonite, infezioni, stenti, fame, disidratazione, inedia, e' è anche chi viene colpito e ucciso in queste rapide sparatorie, oppure finisce . sotto a un camion,· oppure sotto alle casse paracadutate dagli Hercules americani. I reparti schierati dal governo di Ozal a guardia dei campi profughi, -160 mila uomini, sono gli stessi che da una dozzina d'anni combattono in questa zona la guerriglia organizzata dal Pkk, il Partito del lavoro curdo, di ispirazione comunista. Lungo i confini con l'Iraq, vive almeno metà dei dieci milioni di curdi residenti in Turchia. Qui, nelle regioni d~Hakkari e Diyarbakyr vive il 90 per cento della popolazione, ma ha diritti aleatori, provvisori, revocabili. Sino a due anni fa queste regioni erano interdette ai turisti. Sino a sette mesi fa era proibito parlare curdo. Ancora oggi, a Diyarbakir, Cizre, Uludere, nessuno parla il curdo con uno sconosciuto e. se chiedi notizie sulla musica, sulla cucina, sulla cultura curda, ti dicono che non e' è, che non esiste, che ti stai sbagliando, che qui siamo in Turchia e, come dice lo slogan governativo dipinto su tutti i muri, è "Fortunato chi può dirsi turco". Appena fuori Diyarbakyr ci sono i e.ampi profughi dove nel 1988 si sono rifugiati i 24 mila curdi scampati ai gas di Saddam. Sono lì dentro da tre anni, controllati dall'esercito, a morire in mezzo alla polvere e alla pioggia. Chi si è mai commosso per loro? L'esercito di Ankara, che teme le spinte autonomiste dei curdi, ha trasformato le regioni di confine in un'unica grande caserma. Ogni quindici, venti minuti, viaggiando sulle strade semiasfaltate che conducono ai paesi di frontiera, incontri caserme,. posti di · blocco, check point, controlli. Incontri colonne corazzate che si spostano da un punto all'altro, autoblindo in formazione, carri armati in manovra, squadriglie di elicotteri a volo radente, camion carichi di truppe. Contro la guerriglia del Pkk, i commando · dell'esercito turco mettono a ferro e fuoco i paesi, organ~zzano rastrellamenti, si avvalgono - persino nei giorni della grande commozione per il popolo curdo in fuga - del protocollo firmato nel 1984 con Baghdad che cons~nte sconfinamenti in territorio iracheno per inseguire e colpire i clandestini del J>kk.I soldati dei reparti non amano i curdi e si vede da.come li picchiano e da come li tengono a distanza. Fino a un paio di settimane fa i curdi erano i loro nemici, ora il governo ordina di aiutarli, di distribuire cibo, acqua, coperte. Ma ordina anche di tenerli inflessibilmente dentro · ai campi e, per quanto possibile, sul limite della terra di nessuno tra i due confini per poterli rimandare indietro in fretta. Dice il presidente Ozal: "I curdi dovranno tornare nei lùro villaggi. Se resteranno nei campi, tra pochi anni avremo tutta la regione infestata dal terrorismo". Una donna che arriva da Zakho, in piedi davanti alla propria tenda, indica la pattuglia che gira nel campo e dice: "Ci siamo rifugiati in un posto dove non ci vogliono. Se torniamo Saddam ci ucciderà. Se restiamo moriremo. lo voglio vivere e anche i miei figli vogliono vivere. C'è qualcuno che potrà mai aiutarci?". Laquestione curda. Cennidi storia Pier Giovanni Donini IL CONTESTO Indifferenza intervallata da soprassalti di pericolosa attenzione: questo si possono aspettare i curdi dall'opinione pubblica occidentale, a giudicare dall'esperienza degli ultimi due secoli . La loro storia è, naturalmente, plurimillenaria (e ogni volta che la stampa se ne occupa, l'accademico di turno ci ricorda che era curdo Salah ad-Din, "il Saladi.no", e curda, molti secoli prima, la gente che diede fastidio a Senofonte durante l' Anabasi), ma i fattori che fanno della vicenda un elemento di crisi ricorrente nel Vicino e Medio Oriente si sono manifestati soprattutto negli ultimi d~ecento anni. La storia dei' curdi non si discosta molto da quella generale delle minoranze religiose ed etnico-linguistièhe del mondo arabo-islamico, che sono state in genere strumento della penetrazione economica, politica e militare dell'Europa. A questo ruolo si sono prestati, in varia misura e più o-meno consapevolmente, cristiani (armeni in Turchia, greco-ortodossi e maroniti in Libano e Siria, copti in Egitto), ebrei (prima ancora che si manifestasse il richiamo sionista, al quale del resto le comunità del mondo arabo-islamico hanno dato fino al 1948 scarsissimo ascolto) ma anche musulmani, come gli alawiti nella Siria sotto mandato francese, e i berberi ai quali in tutto il Nord~Africa la Francia ha fatto balenare la possibilià di un trattamento privilegiato per separarli dalla generalitàdella popolazione arabo-musulmana. È un'eredità pesante che ha influito e influisce ancora sull'atteggiamento dei regimi insediatisi dopo l'indipendenza nei confronti di armeni, berberi, copti, drusi e così via, anche se naturalmente non lo giustifica .. L'aver accettato, o magari cercato, la collaborazione con potenze straniere non annulla di per sé la specificità culturale o l'autocoscienza etnica di questo o quel gruppo minoritario, né il suo diritto ·a veder tutelate le proprie particolarità, in primo luogo linguistiche. Questa tutela è specificamente prevista, del resto, dalla Dichiarazione ùniversale dei diritti dei popoli proclamata ad Algeri il 4 luglio del 1976 (in non casuale coincidenza con il bicentenario della Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti), i cui articoli 19 e 20 recitano che "quando un popolo rappresenta una minoranza nell'ambito di uno stato, ha diritto al rispetto della . propria identità, delle tradizioni, della lingua, del patrimonio culturale" e, rispettivamente, che "i membri della minoranza devono godere senza discriminazione degli stessi diritti che spettano agli altri cittadini e devono partecipare in condizioni di uguaglianza alla vita pubblica". Questo è il momento giusto per ricordare che in Europa il principio della tutela delle minoranze si è affermato dopo il compiersi di una lunga ·evoluzione contrassegnata da pietre miliari quali la Pace di Westfalia e la Rivoluzione francese. Quanto alla realizzazione del principio stesso, ritardi e ambiguità e sopraffazioni nei confronti di gruppi minoritari da parte degli stati del nostro continente sono sin troppo noti. Del rèsto il numero di chi ha "votato çon i piedi" lo conferma: fino al secolo scorso i "diversi" sapevano di trovare condizioni migliori sotto i minareti che all'ombra dei campanili. E non si tratta solo degli ebrei espulsi dalla penisola iberica nel 1492, che notoriamente ttovarono buona accoglienza soprattutto nell'impero ottomano, ma anche di uno stillicidio numericamente inferiore, ma sempre significativo, di calvinisti, luterani, altri protestanti ed esuli· politici della più diversa collocazione religiosa, che si è esaurito, 7
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