SCIEN~/FODOR parallelismo e giustificazioni per richiedere che i processi mentali siano definiti su oggetti strutturati, sono veramente separati. Dunque secondo lei la tesi che: 1) il cervello è una macchina parallela; 2) l'architettura di Von Neumann non è parallela e, perciò, 3) un modello generale delfunzionaménto del cervello e dei processi mentali deve basarsi su architetture che hanno proprietà strutturali diverse da quelle classiche non prova nulla e, al contrario, dschia di farci perdere la possibilità di rappre- . sentare adeguatamente i processi mentali. Sì. Quaicuno dice che è ora di abbandonare l'immagine dei processi mentali alla Von Neumann, ma il problema è che questa immagine ha molti aspetti. Quello che a me interessa è l'idea che i processi mentali sono computazionali, in pratica operazioni definite da una sintassi e attuate su stringhe; vettori di simboli che dispongono di una struttura appropriata affinché sia possibile definire su di essi processi inferenziali. Questa proprietà dell'architettura di Von Neumann è distinta dalla proprietà di essere seriale, proprio come è distinta dalla proprietà di avere sei ·o sessanta registri. L'idea che i processi mentali, a qualche livello di rappresentazione, siano paralleli _nonè probabilmente molto importante, ma può essere vera. Ma se si debba o meno accettare il modello del linguaggio del pensiero è un altro problema. E se lei vuole entrambe le cose, allora può pensare ai processi mentali e ai cervelli come a comunità interagenti di ·macchine di Von Neumann. In questo modo conserva entrambi gli aspetti. Dunque lei pensa che l'architettura di Von Neumann colga realmente qualche caratteristica importante dei processi mentali. Ma fin dove spinge questa analogia con il calcolatore? Mi sembra quasi che nella sua teoria la famosa domanda di Turing - può una macchina pensare? - non si possa neppure porre: il modo in cui le macchine svolgono computazioni su simboli e il modo in cui la mente "gioca" con le rappresentazioni nel ling':_laggiodel pensiero è sostanzialmente identico. E assolutamente possibile che pensare sia un processo computazionale, ma non che tutti i processi computazionali siano pensare. Chi vuole può cercare di porre un limite infériore alla complessità o, pi_ùragionevolmente, al potere espressivo che i processi_si1!1bolicidevono possedere affinché qualcosa possa essere giudicato un essere pensante. Ma il rischio è che sia una . perdita di tempo, perché potrebbe darsi che non esista alcuna nozione di principio di che cosa sia un essere pensante, che ci si ·trovi ~i fronte a una specie di continuum che si dispiega da· macchme ~olto complesse_a macchine molto semplici. Non si tratta solo d1constatare che non esiste una linea di demarcazione netta: la nozione stessa potrebbe rivelarsi non importante dal punto di vista scientifico. In altre parole, essere un essere pensante p_otreb~non essere ungenere naturale, mentre essereun processore Slillbohco potrebbe esserlo. E così risulterebbe che forse vi sono i~te'.es~anticlassi di manipolatori di simboli, ma questa specie di d1stmz1onepreteorica fra pensante e non pensante scomparirebbe con l'emergere della tassonomia. Lei sottolinea spesso anche che il suo modello permette una r_iduzionenaturalistica degli stati intenzionali. Se ho ben compreso, in questo modo anche la distinzione tra fisico e.mentale perde significato: se il linguaggio del pensiero è un insieme di simboli 82 strutturati, dotati di certe proprietà sintattiche, allorapc,}sediam~ anche una_spiegazione del fatto che per un sistema fisico, il cerve~lo, attuare processi mentqli, inferenze. significa semplicemente manipolare simboli. E giusto? Sì, anche se finora abbiamo tralasciato di considerare molti altri aspetti. In particolare, è importante sottolineare che una teoria sintattica dei processi mentali non offre ancora una teoria del contenuto mentale. Quando lei immagina il pensare come un'operazione definita su rappresentazioni mentali ritiene che in virtù della loro forma, anche le rappreseptazioni possiedano 'un contenuto. E, indipendentemente dalla teoria del pensare, si presenta il problema di determinare in base a cosa questi stati, questi simboli, possiedono il loro contenuto. Per farlo è molto utile ricollegarsi ai vecchi modelli empiristi, come quello di Hume, che presentano gli stessi problemi e consentono un approccio più semplice. La teoria della mente di Hume ha fondamentalmente due proprietà. Hume ha elaborato una teoria del pensiero secondo cui esso consiste di processi meccanici che richiedono solo l'attuazione de~e leggi di ass_oci~zione,e, secondo Hume, l'associazione è per le idee una specie d1analogo mentale della gravità. Egli spiega il fatto che pensare al pepe fa venire in mente il sale, postulando l'esistenza di un accoppiamento meccanico fra queste due idee. Dunque per Hume, esiste una spiegazione meccanica non sintattica, dei processi mentali, che si basa su certe intrinseche proprietà delle rap,presentazioni mentali.D'altra parte Hume ci offre anche una spiegazione completamente differente del motivo per cui pensare al sale è proprio pensare al sale, cioè perché le idee nanno propri? quel contenuto (indipendentemente dalle loroconseguenze causali). Questo secondo approccio humeano ha a che fare con relazioni come la somiglianza e così via. Dunque Hume crede - Disegno tantrico di amuleto con labirinto (da H. Kern. labirinti, Feltrinelli 1981 ).
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