Linea d'ombra - anno IX - n. 60 - maggio 1991

IL LINGUAGGIO DEL PENSIERO Incontro con Jerry Fodor a cura di Luca Bonatti Dapoco tradotto anche in Italia, Jerry Fodorè uno dei personaggi più interessanti della filosofia americana contemporanea. Figura a metàfra lo scienziato e ilfilosofo, oforse, come era buon cost1J,menei secoli passati,filosofo e scienziato allo stesso tempo, ha dato importanti contributi alla linguistica, allapsicolinguistica, alla semantica, alla psicologia e alle scienze cognitive. Da molti anni si occupa soprattutto di "filosofia della psicologia", come negli Stati Uniti viene chiamato lo studio dei fondamenti filosofici delle scienze cognitive, un campo dove problemi empirici e rompicapofilosofici vanno mano nella mano. Nei suoi libri, soprattutto in The Language òfThought (New York 1975), The Modularity of Mìnd (Cambridge, MIT 1983, La modularità della mente, Bologna, Il Mulino 1988) e nel recente Psychosemantics (Cambridge, MIT 1987, Psicosemantica, Bologna, Il Mulino 1991), ha cercato dt elaborare un'immagine della mente che fosse insieme filosoficamente plausibile e consistente con i risultati degli studi sul linguaggio e sui processi cognitivi, e con i loro prevedibili sviluppi. Molte delle sue tesi spesso suscitano reazioni scettiche, ma è raro trovare unpensatore che abbia presente uno spettro così ampio di problemi e riesca a vederne i collegamenti al di là degli specifici ambiti ove sono sorti. Per molti anni al MIT, Jerry Fodor è ora Distinguished Professor alla City University di New York. Professor Fodor, leggendo questo articolo il lettore verrà in contatto con nuove nozioni,' le assorbirà e si formerà certe credenze. Per esempio, crederà che esiste un uomo che si chiama Jerry Fodor, vive in America, ha certe idee, e così via. Queste credenze influenzeranno le sue azioni: il nos_trolettore potrà decidere di fare un viaggio in America per incontrare il suo "oggetto mentale", o si limiterà ad andare in libreria per comperare i suoi libri. Naturalmente non è importante che ciò che legge. sia in inglese, in italiano, o in qualche altra lingua. Indipendentemente da ciò, nella sua mente avranno luogo gli stessi processi. Come descriverebbe ciò che accade alla sua mente? Dunque. L'idea di base è che nel pensiero si verifica una specie di transazione causale da uno stato di credenza a un altro. Vediamo certe cose, ne sen_tiamoaltre, ne pensiamo altre ancora e, di conseguenza, acquisiamo certe credenze che prima non avevamo. Come risultato delle nostre credenze, dei nostri desideri e così via, giungiamo a compiere certe azioni. Questa è l'immagine della mente cui sono legato: la spiegazione psicologica è fondamentalmente una spiegazione credenza-desiderio. In altre parole, le azioni di una persona vanno spiegate facendo riferimento a ciò che crede e vuole. Questo è il primo punto. Se lei lo condivide, allora vi sono due domande cui rispondere. La prima è: che cosa sono questi stati di credenza e di desiderio? La seconda è: come acquistano le loro proprietà causali? La mia idea è che i processi mentali, i processi che terminano nella fissazione di credenze e causano le nostre azioni, sono fondamentalmente simili a processi simbolici. Sono operazioni su rappresentazioni . di stati di cose. Naturalmente l'analogia è con gli operatori di calcolo in un computer classico. Si vuole spiegare come una persona è giunta a credere ciò che crede. Per farlo, ci si deve chiedere come essa si rappresenta il mondo, cioè qual è il contenuto delle sue rappresentazioni, e come mai il fatto che essa si rappresenti il mondo in quel modo ha proprio quelle particolari conseguenze causali. Ciò che suggerisco è che le rappresentazioni del mondo sono sostan,zialmentevettori di simboli. Ciò che lei ha nella sua mente, in virtù della quale lei agisce, è all'incìrca un vettore di simboli, e i processi mentali sono trasformazioni compiute su questi vettori. Questa è, grosso modo, la mia impostazione: penso ai processi mentali come ad argomentazioni formalizzate. Dunque, per tornare al nostro esempio, it nostro lettore compie una specie di traduzione interna dalle parole che legge su questo giornale a una.certa rappresentazione interna, che altro non è se non una struttura di simboli, e questa rappresentazione lo porta ad agire nel modo in cui agisce. Sì, qualcosa di simile. Fra !:altro, noti che questa è una idea standard, un'immagine del senso comune: l'interazione con il mondo produce certe idee, veri e propri oggetti mentali, e come risultato di relazioni causali fra le idee agiamo nel modo in cui agiamo. Pensare è una relazione causale, molto tradizionale. L'unico progresso intellettuale consiste nell'identificare le idee con vettori simbolici, o con qualcosa di simile (qualcosa che può essere codificato in proposizioni), e nel sostenere che le operazioni su di essi sono operazioni causali determinate dalla loro struttura sintattica. Lei ha sostanzialmente introdotto ciò che chiama "linguaggio del pensiero". Lei.,afferma che per riuscire a spiegare come le nostre credenze influenzano il nostro comportamento dobbiamo supporre che vi sia un sistema computazionale che agisce su rappresentazioni, e che il modo in cui questo sistema funziona dipende dalle relazioni sintattiche che intercorronofra le strutture di queste rappresentazioni. Ma perché abbiamo proprio bisogno di postulare un linguaggio del pensiero? Perché non dire che il sistema rappresentativo che usiamo è, per esempio, il linguaggio naturale che impariamo? Che cosa distingue il linguaggio del pensiero da ogni altro tipo di linguaggio? Io credo che non sia assurdo sostenere che pensiamo nel linguaggio che- abbiamo appreso, ma è una idea difficilmente conciliabile con akune considerazioni. Innanzitutto, è difficile da riconciliare con il fatto che il linguaggio è appreso - lei in effetti impara la sua lingua naturale - e che, presumibilmente, l'apprendimento è un tipo di processo mentale. Se lei accetta l'opinione che in generale i processi mentali sono computazionali, allora l'apprendimento è sicuramente un buon candidato per un tal tipo di processo. De.ve dunque esistere anche per esso un veicolo di rappresentazioni in cui può aver luogo. Inoltre;vi sono alcu e difficoltà tecniche che si oppongono a questa proposta. Gli enunciati del linguaggio naturale sono spesso ambigui, e le loro ambiguità devono essere risolte perché possano svolgere un ruolo 79

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