CREARE UN MONDO CHE SEMBRI IL MONDO. Incontro con John Banville a cura di Carla de Petris In occasione della presentazione dell 'edizionç italiana di A Book ofEvidence, pubblicato da Guanda con il titolo La spiegazione dei fatti, abbiamo intervistato a Roma lo scrittore irlandese John Banville, di cui "Linea d'ombra" ha già pubblicato i racconti Nel bosco selvaggio e Una morte nel n. 48 dello scorso anno. Nato a Wexford nel 1945, Banville è attualmente direttore del supplemento culturale dell' "Irish Times ". Nel 1970 hapubblicato ilprimo romanza Long Lankin accolto subito con entusiasmo dalla critica. In esso erano già presenti alcuni tratti caratteristici del suo stile: il gioco della citazione intertestuale, l'ambiziosa struttura narrativa, l'abbandono lirico improvviso alla parola e il tema prediletto della sfasatura irreparabile tra realtà e senso etico della vita su cui è incentrato ora anche ABook ofEvidence. Ben White, lo scrittore protagonista di Long Lankin - "one who loves words" - ritornerà in Nightspawn del 1971 dove in una solatìa isola dell'Egeo si appresta a scrivere "a little book",forse quella "story about the stars" che avev.agià in mente, ma che prenderà. forma nella tetralogia della scienza, Doctor Copernicus (1976), Kepler (1981), The Newton Letter (1982) e Mefisto (1986). È fin troppofacile giocare lapartita delle corrispondenze intra e extratestuali con uno scrittore per cui, come giustamente ha detto il critico Rudiger Imhof, "la metanarrativa è un tentativo serio di rinnovare il romanzo e non un caso aberrante di solipsismo che porterebbe inesorabilmente a un vicolo cieco". Nona casoBanville ha. percorso una sorta di itinerario iniziatico nella storia del romanzo irlandese. Se Long Lankin e Nightspawn rimandano al Joyce diDubliners e del Portrait, il suo terza romanza Birchwood (1973) si rifà alla tradizione di Elisabeth Bowen, William Trevor e altri, al romanza cioè incentrato sui destini della grande dimora padronale in cui si consuma la fine d~lla ·aristocrazia terriera anglo-irlandese e protestante. Per questo romanza con una scelta lucida eperfettamente coerente Banville ha adottato i toni cupi del . gotico. Ma è con la già ricordata tetralogia che l'artista irlandese si afferma in modo definitivo come il massimo rappresentante di quel filone della narrativa contemporanea irlandese che Richard Kearney ha chiamato "critica" e che è germinata dalla · sperimentazione joyciana e beckettiand.. In una saletta dell'Hotel Inghilterra incontriamo Banville. Con unmisto di autoironia e di sincero piacere mi racconta di aver scoperto che-da quello stesso albergo prende le mosse il romanza di Elisabeth Bowen A Time inRome. La prima considerazione che facciamo è sull'eterno dilemma della traduzione di un'opera letteraria. Il romanza Kepler fu pubblicato in.Italia nel 1984 da Rusconi con l'improbabile titolo Il vino e le stelle. Banville rammenta il proprio stupore nel vedersi recapitare a Dublino la prima copia: "È stato come aver mandato a scuola ilproprio figlio John-ed aver ricevuto una comunicazione dal maestro che d'ora innanzi si sarebbe dovuto chiamare Peter". Ora A Book of Evidence, che letteralmente vuol dire "Deposizione scritta" è diventato La spiegazione dei fatti, titolo accettabile anche s con esso vaperduto ilfondamentale elemento della scrittura, il Libro. Banville in un elegante completo grigio e con un bicchiere d'acqua minerale in mano sembra voler affermare, a scanso di equivoci, la sua totale avversione ed estraneità allo stereotipo dell'a,:ti~ta irlandese perennemente ubriaco e soddisfatto del proprio insulare provincialismo. 74 Banville non è un nome irlandese. Di dove è originaria la sua famiglia? È francese. I miei antenati sono arrivati in Irlanda ·nel diciottesimo secolo dalla Francia. Erano mercanti di rame o di lana. Ci sono pochi documenti a riguardo, ma mi fa piacere non avere un nome irlandese. Joyce ha detto che "un ritratto non è una carta d'identità ma la curva di un'emozione". Come traccerebbe perciò il suo autoritratto? Mi pare di capire che lei non voglia solo date, ma quello che io provo riguardo a me stesso. Credo che la cosa più importante sia il fatto che sono sempre stato uno scrittore. Per quanto mi possa ricordare, ho cominciato a scrivere che avevo dodici, tre<;iici anni: pessime imitazioni dei racconti di Joyce. Poi da adolescente ho cercato di dipingere, ma fu un disastro, benché quell'esperienza mi abbia insegnato a guardare il mondo da un'ottica particolare · che forse si ritrova nella mia scrittura: ho una cura assoluta del dettaglio. Direi che ormai mi considero un "word animal", uno che produce parole come altri producono ortaggi e frutta in una fattoria. Non mi sento partecipe della tradizione letteraria irlandese, se ne esiste una. In un'intervista del 1979 a Ronan Sheenan, parlando della letteratura irlandese, lei mise a fuoco il problema della lingua, dicendo che "quello che fa la gente in Irlanda con la lingua
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