STORIE/CARYALHO e tonde in bocca alla madre e capiva di averle prese da lei e d'intenderle come lei, sebbene in maniera meno rozza. Era così per quell'eterna preoccupazione per l'onestà che, per tutta la vita, l'aveva portat11a esigere che ogni sua arnica o cameriera "non avesse storie". Quando le idee della madre non lo infastidivano, Duarte ne rideva. A volte la provocava dicendole che preferiva una donna che ha delle avventure a un'altra che predica onestà ai quattro venti. Gli piaceva dire molte cose che, in fondo, non pensava, perché era e sarebbe sempre stato un frutto dell' educazione che aveva ricevuto. Ma non se ne rendeva conto. Ancora la sera prima àveva detto a Luisa che le donne portoghesi col matrimonio cercavano di fare un affare. Lei, col sorriso incerto e smorzato rispondeva: - Forse, è probabile ... C'è molto di vero in questo. La madre si era messa le mani tra i capelli. - Luisa non dargli retta! Mio Dio, cos'altro mi toccherà sentire? Durante tutta la settimana seguente, Duarte evitò gli amici e rimase più tempo in casa, a pensare a Luisa. Si ricordò di alcuni episodi della sua giovinezza che credeva d'aver dimenticato e dei quali lei faceva parte. E notò che provava per lei una grande tenerezza, come non l'aveva mai sentita per nessuno. La domenica l'aspettò ma lei non si fece viva. Allora Duarte cominciò a pensare sul serio alla possibilità di sposarla. Non era un grande amore, di sicuro, piuttosto un desiderio fortissimo e sincero·di riposare alla luce di quegli occhi sereni e tranquillizzanti. Assieme a questa vecchia idea gli venne pure quella di rimanere, di non partire più, di lasciare perdere per sempre le valigie, i treni, le stanze d'albergo. Di avere una casa che fosse sua, con due poltrone vicino al camino. Starò invecchiando? pensò. Forse, era possibile. Sape.vasolo che, di colpo, aveva cominciato ad avere bisogno di quella donna. La madre, durante una chiacchierata, gli aveva detto dov'era l'ufficio di Luisa e pure l'orario d'uscita. Duarte fece in modo d'incontrarla. - Non sapevo che lavorassi. ~ Sì, è vero. Sono quasi sei anni che ho trovato questo posto. Avevo bisogno di fare qualcosa per ammazzare il tempo. Sai che vuol dire ammazzare il tempo? Magari non lo sai, beato te... - Me ne son fatto un'idea quando sono tornato. Se vuoi ammazzarne ancora un po', andiamo a prendere qualcosa. - Va bene. Ho sete. Nel mio ufficio non è che si lavori molto, ma ancora: non hanno raggiunto la perfezione di distribuire tè e pasticcini all'uscita. Incivili, che ci vuoi fare? Quando, in una pasticceria del centro, le si sedette di fronte, per un attimo rimase a guardarla in silenzio. Luisa, con la sua voce un po' strascicata, disse: - Perdonami se _nonsono abbastanza elegante. Se avessi saputo che t'avrei incontrato, avrei messo un cappellino di piume. -Per me? - Per avermi invitato a prendere il tè. Le altre volte mi parlavi come se appena ti ricordassi di me. Duarte si giustificò adducendo come scusa le sue molteplici occupazioni. • - E allora, viva la pigrizia! Mi è piaciuta sempre. È proprio. questa una delle ragioni per cui CQ!ltinuoad andare in ufficio. Hai mai fatto caso che le persone che lavorano poco sono quasi sempre enormemente simpatiche? 72 Si mise a ridere, poi spezzò un pasticcino delicatamente. - Rimani o torni a Parigi? -Ancora non lo so. Tutto dipende se riesco o no a ottenere una cosa che vorrei. -Ah! Un ah che fu quasi un punto. Ma Duarte era certo che non voleva dire che lei desiderasse del tutto quel punto. Ricordava che era sempre stato difficile parlare con Luisa perché, ogni tanto, lei si estraniava, lasciava passare, senza coglierle, le cose che gli altri dicevano e che poco prima sembrava considerare interessanti. A un tratto i suoi occhi parvero inespressivi. Fu allora che Duarte le chiese: - Luisa, vuoi sposarmi? Lo sguardo tornò a fissarsi in lui. - Sì-disse con semplicità. - Ma tu davvero vuoi sposarmi? Duarte si mise a parlare. Del suo passato, soprattutto del futuro. Sperava, dopo quel lungo tirocinio all'estero, d'aver successo. Certo che d'ingegneri in giro ce n'erano tanti, ma non tu'tti con le sue capacità. E se non avesse avuto successo, pazienza. Tutto è vita. Luisa lo ascoltò apparentemente attenta ma non capiva il senso delle parole che lui, con entusiasmo, diceva. - Ti ricordi per quale motivo ci siamo 1asciati diciassette anni fa?~ alla fine gli chiese. Duarte si attendeva che lei dicesse qualcos'altro e quella domanda lo lasciò perplesso. - Proprio per questo, perché avevamo diciassette anni. - Io. Tu ne avevi ventitré. - Fa lo stesso. - È molto diverso. Tu avevi ventitré anni e sembravi più grande. Già eri andato all'estero e per la tua età éri abbastanza vissuto. Io, invece, ero appena uscita dal collegio e, per quanto possa sembrarti impossibile, non sapevo niente della vita. Non ridere ... È chiaro che sapevo, in teoria, come nascono e come si fanno i bambini. Conoscevo qualche barzelletta spinta che le compagne m'avevano raccontato. Ma ciò non vuol dire conoscere la vita. L'idea che ne avevo era molto vaga e decisamente falsa. La sua voce aveva perso il tono strascicato, adesso era serena, molto calma. - Tu a sposarti non ci pensavi neppure e oggi te ne do atto. Avresti compromesso la tua carriera. Ma, al tempo stesso, mi trovavi gradevole e in fondo, forse, ti divertiva il mio ridicolo stato di donna in boccio. Ho delle foto d'allora. Mi truccavo stupidamente e mi sforzavo di guardare gli uomini come Joan Crawford solo perché, durante un ballo, m'avevano detto che i miei occhi somigliavano ai suoi. E io ci avevo creduto, figurati! Cosa non siamo capaci di credere a diciassette anni! Penso che tutte le ragazze passino per una fase simile. La mia giunse un po' tardi. Generalmente è verso i quindici anni. Duarte la guardava senza capire. Luisa s'era interrotta per bere un po' di tè. Poi proseguì: - Come potevi scoprire che ero piena d' illusioni se, per causa tua, imitavo le pose dell'ultima copertina del "Cinefilo" e cambiavo pettinatura ogni quindici giorni? E così una volta, con aria scherzosa, mi facesti la proposta di venire con te a Sintra dove i tuoi genitori avevano una casa. Disabitata, ovviamente. Qualche giorno dopo insistesti e t'arrabbiasti pure per il mio rifiuto. Ricordo perfettamente che mi desti della "retrograda" e ciò nii umiliò moltissimo. Dicesti che all'estero non esistevano, per fortuna, ragazze come me, che ero ridicola, che ero ancora attaccata a uno stupido complesso della verginità. Nonostante tutto quel che
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