Linea d'ombra - anno IX - n. 60 - maggio 1991

La città era già ferita a morte. Il terremoto è venuto a completare quattro secoli di eterne distruzioni. 12 Il bambino che si annoia nel giardino spia la colonna di formiche. Vanno al lavoro e si scambiano informazioni. Che sforzo trasportarè la loro briciola o il loro pezzetto di mosca. Che ordinato sembra da lassù questo mondo di formiche. (Al suo interno deve essere come tutti gli altri e ribollire di discordia, noia, ansie, acuta consapevolezza della mortalità di tutto e tutti.) Agli occhi del bambino le formiche sembrano pezzi di un orologio. Decide di romperlo. Come un potere invincibile il bambino distrugge le colonne, le case, le gallerie. A pochi centimetri il mondo continua come prima. Crescono le foglie, l'albero si indurisce nella sua quiete, cade la polvere nella luce, il tempo passa e la città delle formiche non esiste più, è solo una montagna di rovine dolorose e di esseri storpiati che patiscono la loro agonia tra le macerie. Il bambino, concluso il suo lavoro, si dispone a qualche altro gioco. III, 1 La terra non conosce la pietà. L'incendio del bosco o il supplizio del misero insetto supino che muore di fame e di sole durante molti giorni sono insignificanti per lei - come le nostre catastrofi. La terra nòn conosce la pietà. Vuole soltanto prevalere trasformandosi. 7 Dall'edificio che sventrò nella sua furia inconsapevole il toro della morte imbestialito escono stecchi come radici deformate. Singhiozzano verso l'interno perché non sono vegetali POESIA/PACHECO capaci di piantarsi in terra, rinascere, a forza di pazienza ricostruirsi e sollevare ciò che è caduto. Radici inorganiche questi stecchi che nondimeno sopportano la loro irrimediabile vergogna. Li vinsero la corruzione e la catastrofe. Sembrano germogli sopravvissuti di uri albero caduto. Ma sono frecce · che indicano il volto dei colpevoli. 8 Fra i grandi utensili spezzati, i muri in frammenti, le c;olo,nne,i pezzi di ferro, inaspettatamente vidi intatta, illesa la materia più fragile di questo mondo: una tela d1ragno. 10 Le foto più terribili della catastrofe non sono quelle dei morti. Ne abbiamo viste ormai troppe. Questo è il secolo dei morti. Non ci sono mai stati tanti morti sulla terra. Che cos'è un giornale se non un inventario di morti e di oggetti di consumo per spendere la vita e il denaro e nasconderci dietro di loro contro l'onnipotenza della morte? No: le foto più atroci della catastrofe sono quei quadri colorati in cui appaiono bambole indifferenti o sorridenti, integre, intatte tra le rovine che ancora opprimono i cadaveri delle loro padrone, la fragile vita della carne che è come erba e fu tagliata. Invulnerabilità della plastica, indistruttibile senza dubbio, che in questo caso ebbe nome in qualche modo vita. Accompagnò, consolò, rappresentò la felicità di quelle bambine che intollerabilmente nacquero per vedere il lorofoturo crollare nel fragore di questa fine del mondo. IV, 5 C'è terrore nella luna che brilla piena fra le macerie. Perché la luna è un deserto fluttuante, uno specchio di ciò che la nostra terra sarà un giorno. Né alberi né uccelli. Continenti di sabbia gelata, mari senz'acqua, 59

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==