SAGGI/TODOROV Ogni contatto, ogni interazione con i rappresentanti di una cultura altra sono dei fatti positivi? Il miglior risultato di un incrocio di culture è spesso lo sguardo critico che si porta su di sé. iloro consiglieri che non i "creativi"; e i "creativi" che non gli elementi propriamente artistici in seno a un'iniziativa (è anche per questo che l'organizzazione della ricerca è un modo di soppiantare la ricerca). I colloqui, le trasmissioni, le associazioni che si propongono di migliorare l'interazione culturale sono innumerevoli; non ·possiamo certo dire che siano nocivi, non possiamo dubitare della loro utilità. Ma venti incontri tra il ministro francese e quello greco della cultura non possono uguagliare l'impatto di un romanzo tradotto dall'una all'altra delle due lingue. Ma anche lasciando da parte la mòderna piaga della burocrazia, è possibile preferire un tipo d'intervento ad altri. Ispirandoci ai principi di Goethe, si potrebbe dire che lo scopo di una politica interculturale dovrebbe essere l'importazione degli altri piùttosto che l'esportazione di sé. I membri di una società non possono praticare spontaneamente la transvaluation se-non sanno che esistono valori diversi dai loro; lo Stato, emanazione della società, deve aiutare a renderli accessibili: si può scegliere solo a partire dal momento in cui si è edotti della loro esistenza. I vantaggi, per questi stessi membri, della promozione delle loro attività all'estero sembrano in genere poco significativi. Se nel XIX secolo la cultura francese ha avuto un ruolo determinante, non è stato perché la sua esportazione era sovvenzionata, ma perché era una cultura viva e, tra l'altro, accoglieva avidamente quanto si faceva altrove. Arrivando in Francia nel 1963 dal mio piccolo paese investito dalla xenofilia, mi ha colpito scoprire· che in un campo particolare come quello della teoria letteraria si ignorasse non solo ciò eh.eera stato scritto in bulgaro o in russo, lingue esotiche, ma anche in tedesco o perfino in inglese; e così il mio primo lavoro intellettuale fu una 'traduzione dal russo in francese ... Quest'assenza di curiosità per gli altri è un segno di debolezza e non di forza: le riflessioni francesi sulla letteratura sono più note negli Stati Uniti di quanto non lo siano i critici nordamericani in Francia; eppure gli anglo-americani non sentono, si direbbe, il bisogno di sovvenzionare l'esportazione della loro cultura. Bisogna promuovere e assistere economicamente le traduzioni in francese piuttosto che quelle dal francese: la battaglia della francofonia si svolge prima di tutto proprio in Francia. L'interazione costante delle culture porta alla formazione di culture ibride, meticciate, creolizzate, e questo a tutti i livelli: dagli scrittori bilingui, passando per le metropoli cosmopolite, fino agli Stati pluri-culturali. Per quanto riguarda le entità collettive, vengono in mente diversi modelli ugualmente insoddisfacenti. Lasciamo da parte l'assimilazione pura e semplice, che non trae nessun profitto dalla coesistenza di due tradizioni culturali. Il ghetto, che protegge e al limite conserva intatta la cultura minoritaria, non è certo una soluzione difendibile, visto che non aiuta in nulla la mutua fecondazione. Ma il melting-pot spinto ali' estremo, in cui ognuna delle culture originarie dà il proprio contributo a una nuova mescolanza, non è neanche questa una soluzione molto buona, quantomeno dal punto di vista della fioritura delle culture; è come una letteratura universale ottenuta per sottrazione, in cui ciascuno dia solo quel che gli altri già avevano; e i risultati fanno pensare a quei piatti dal gusto indefi- .nito che si possono trovare nei ristoranti italo-cubano-cinesi negli Stati Uniti. L'altra idea di letteratura universale potrebbe invece servire da modello anche in questo casq: bisogna che ci sia integrazione perché si possa parlare di una cultura (complessa), e non della coesistenza di due tradizioni autonome (da questo puntò di vista, l'emigrazione è preferibile alla migrazione); ma la cultura integrante (e dunque dominante) dovrebbe, pur conservando la sua identità, arricchirsi con l'apporto della cultura integrata, e scoprire il rigoglio al posto delle piatte evidenze. Pensiamo, per esempio, anche se questo è avvenuto spesso nel sangue, al modo in cui gli Arabi hanno influenzato la cultura spagnola e, oltre quella, la cultura europea, nel Medio Evo e agli inizi del Rinascimento. Le cose sembrano molto più semplici nel caso degli individui e, nel XX secolo, l'esilio è diventato il punto di partenza di notissime esperienze artistiche. La transvaluation è un valore in sé. Ne deriva che ogni contatto, ogni interazione con i rappresentanti di una cultura altra sono dei fatti positivi? Sarebbe ricadere nelle aporie della xenofilia: l'altro non è buono semplicemente perché è l'altro; certi contatti hanno effetti positivi, altri no. Il miglior risultato di un incrocio di culture è spesso lo sguardo critico che si porta su di sé, e che non implica affatto la glorificazione dell'altro. Una forma di interazione tra culture merita di venir trattata a parte, tanto grande è la sua specificità; è il lavoro conoscitivo. Piace immaginarlo puro, trasparente, al punto che si dimentica che esso è anche interazione: la presenza dell'etnologo o del sociologo modifica il comportamento dei soggetti che egli osserva; contemporaneamente, questa stessa osservazione trasforma gli strumenti concettuali dello studioso, e dunque lo studioso stesso. Mi è capitato di giungere all'estremo opposto: quando viaggiavo in Africa centrale, avevo solo un rimpianto, quello di essere un mero osservatore invece di possedere una tecnica particolare, per esempio agricola o medica, che potesse permettermi di entrare in interazione, e di accedere in questo modo alla "vera" conoscenza. Anche questo lavoro ha i suoi diversi livelli: può essere più o meno completo, più o meno approfondito. H. moderno turismo di massa ha familiarizzato un po' tutti con dieci paesi diversi, intravisti nel tempo delle ferie. Ironizzare sul turista che, all' estero, rimane fedele alle sue abitudini e si preoccupa più delle foto che scatta che delle persone che potrebbe incontrare, è molto facile. Ma non deridiamolo: siamo tutti dei turisti francesi, e il primo contatto con una cultura straniera è obbligatoriamente superficiale. Prima di conoscere un paese, bisogna scoprire dei motivi per farlo, e bisogna cominciare con l'incontrarlo, non fosse che di passaggio. Spesso, peraltro, la curiosità del turista, la sua sete di souvenirs è più simpatica che non il cinismo del cooperante che è sul posto da anni e che non pensa più ad altro che • al suo tornaconto. All'altro polo del continuum sta lo specialista, l'erudito, l'etnologo, che dedica tutta la sua vita allo studio di una cultura straniera; che parla la lingua altrettanto bene e perfino meglio degli autoctoni, che conosce la loro storia e sa praticare i loro costumi, che finisce perfino col somigliar loro fisicamente (ho un amico indianista, francese al cento per cento, che somiglia ogni giorno di più a un bengali). Si arriva mai a conoséere gli altri? Diceva Montaigne: "Non dico gli altri se non per dire ancor più me" (I, 26), e molti oggi 47
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