SAGGI/TODOROV solo è universalista, ma si assume anche come tale: e può servirci da esempio Condorcet, punto d'arrivo della tradizione enciclopedistica. Lungi da lui ogni velleità di nascondere i suoi principi assoluti: è in nome dei Lumi, è in nome della ragione universale che egli stabilisce una scala unica delle civiltà, in cima alla quale si trovano "i popoli più illuminati, più liberi, più affrancati dai pregiudizi, i Francesi e gli Anglo-Americani" (cioè quelli che hanno realizzato la loro Rivoluzione); mentre "una distanza immensa" li separa "dalla servitù degli Indiani, dalla barbarie delle tribù africane, dall'ignoranza dei selvaggi". · Possiamo trovare un po' ristretta questa base di paragone; ma nondimeno essa è presentata esplicitamente e permette a Condorcet di fondarci sopra i suoi apprezzamenti su questa o quella civiltà. Egli però non si accontenta di constatare e di giudicare, perché ha anche un ideale per la vita sulla terra ed è che tutti gli uomini diventino uguali. Si rivolge dunque ai Neri in questo modo: " La Natura vi ha formati per avere lo stesso spirito, la stessa ragione, le stesse virtù dei Bianchi". Contrariamente ai razzisti, Condorcet non pensa che differenze fisiche e morali siano tra loro correlate; su queste ultime si può dunque intervenire. La·strada che porta a questa situazione di eguaglianza verso l'alto èl 'educazione, "il progresso dei Lumi": l'uomo individuale è perfettibile, basta dargliene i mezzi. Questo significa in pratica che i popoli illuminati, Francesi e Anglo-Americani, devono civilizzare il resto del mondo, servendosi per farlo di "colonie di cittadini che diffondono, in Africa e in Asia, i principi e l'esempio di libertà, i lumi e la ragione dell'Europa". È facile riconoscere in questo il progetto del colonialismo così come verrà effettivamente realizzato dalle nazioni europee nel corso del XIX secolo. Ma forse non era necessario seguire Condorcet così lontano; egli non si accontenta di stabilire una scala unica di valori, egli vuole anche trasformare uomini e popoli: vuole esportare la rivoluzione, e per questo motivo s'impegna nell'impresa colonialista. Montaigne, al contrario, quando si attiene al suo programma esplicito, 'è allo stesso tempo relativista e conservatore: poiché tutti gli usi si equivalgono, è inutile, anzi è nocivo, volerli cambiare. Non sarebbe possibile combinare l'universalismo di Condorcet con il non-interventismo di Montaigne? A illustrare questa posizione intermedia troviamo Montesquieu. A prima vista Montesquieu è un relativista nella linea di Montaigne, di cui sembra realizzare il programma: "In tutto questo", scrive nello Spirito delle leggi, "io on giustifico le usanze ma ne mostro le ragioni" (XVI, 4), e non si propone più di quanto non facesse Montaigne di modificare lo stato presente delle cose. A fianco di queste dichiarazioni, Montesquieu non perde la fede nei principi universali della giustizia, nei "rapporti di equità anteriori alla legge positiva che li stabilisce" (I, 1). Porrà in opera questa duplice ispirazione nell'immensa costruzione dello Spirito delle leggi. Da una parte, è necessario prendere in consideraz_ione il contesto storico, geografico e culturale, quello che Montesquieu chiama lo "spirito di una nazione"; e, su molti argomenti, occorre sospendere il giudizio prima di saperne di più. Ma, dall'altra.parte, la sua tipologia dei regimi politici si basa su una distinzione di natura assoluta, tra Stati tirannici e Stati moderati: si può scegliere tra diversi regimi in funzione del loro 44 adattarsi al contesto particolare, ma solo a condizione che essi soddisfino l'esigenza universale di moderazione. "L'inconveniente non è quando uno Stato passa da un governo moderato a un governo moderato, come dalla repubblica alla monarchia, o dalla monarchia alla repubblica; ma quando cade e precipita dal governo moderato al dispotismo" (VIII, 8). La tirannide è un male perché concentra tutti i poteri nelle stesse mani: mentre la nazione è un corpo eterogeneo, e non potrà mài convenirgli un potere . unico. La moderazione sta in questo prendere in considerazione ·reterogeneità della popolazione e delle sue aspirazioni al livello dell'organizzazione dello Stato e della divisione dei suoi poteri. È dunque possibile, contemporaneamente, giudicare le altre culture e lasciarle in pace; e sarebbe anzi l'ideale cui una civiltà nella sua maturità può accedere. Ma non accadrà che chi non condivide quest'ideale finirà per trovarsi avvantaggiato da quest'atteggiamento passivo? Colui che si richiama a una religione tollerante è non pratica il proselitismo non è forse in posizione di · inferiorità rispetto al fanatico che impone dovunque la conversione? Gli Stati - che la loro evoluzione democrati~a porta a denunciare la guerra come mezzo per regolare i conflitti internazionali e a rinunciare all'esercito - non rischiano di perire sotto i colpi del-vicino armato fino ai denti, e di far così scomparire una forma di civiltà superiore che li aveva portati al disarmo? Montesquieu aveva già evocato questo paradosso nelle Lettere persiane, a proposito della tirannide subita dalle donne: "Il potere che abbiamo su di esse è una tirannia vera e propria; es e ci hanno permesso di prenderlo solo perché sono p1 dolci di noi e, di conseguenza, più umane e ragionevoli. Questi vantaggi, che dovevano indubbiamente dar loro la superiorità se noi fossimo stati ragionevoli, gliela fanno perdere, poiché noi ragionevoli non siamo" (I, 38). Più abbiamo umanità e ragione e meno vogliamo tiranneggiare gli altri; ma più è facile per loro tiranneggiare noi. Che si tratti di intolleranza religiosa ieri, della condizione della donna oggi, o del destino dell'Europa occidentale domani, ci troviamo sempre davanti alla stessa aporia che Montesquieu ci ha lasciato in eredità senza avercene mostrato uno sbocco: la superiorità diventa inferiorità, il meglio porta al peggio, e non basta saper giudicare per avere la pqssibilità fisica di farlo. Ma forse io ho torto: e se la soluzione del problema fosse già ben chiara a Montesquieu, ma egli avesse preferito lasciarcela scoprire da soli? Non scriveva forse Montesquieu, ancora nello Spirito delle leggi: : "Non si tratta di far leggyre ma di far pensare" (Xl, 20). Interazione con gli altri Si possono distinguere nelle relazioni internazionali due livelli: da una parte c'è interazione tra Stati, dall'altra tra culture; e le due cose possono coesistere. Non rientrano nel mio ·tema le relazioni tra Stati, che, nonostante gli sforzi messi in atto da alcune istanze internazionali, si basano sul solo equilibrio delle forze e degli interessi; ne fanno invece parte le relazioni interculturali, di cui cercherò di descrivete alcune forme e obiettivi. Da quando esistono, le società umane intrattengono mutue relazioni. Così come non è possibile immaginare che gli uomini vivano dapprima isolati e solo dopo formino una società, così non è concepibile una cultura senza nessuna relazione con gli altri: l'identità nasce dalla (presa di coscienza della) differenza; di più,
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