CONFRONTI la biogràfiadi SylviaPlath ··ovvero:come non si deve scriveredi un poeta Marisa Caramella La lunga e dettagliata biografia di Sylvia Plath pubblicata di recente da Serra e Riva Anne Stevenson, Vita di Sylvia Plath, pagine 390, lire 30.000, si legge come un romanzo di Stephen King, in un crescendo di orrore. Un orrore che opera a tre livelli: quello del tormentato mondo interiore della poetessa, morta suicida a trent'anni; quello dell'assassinio della.sua immagine, portato a termine dall'autrice, Anne Stevenson, con implacabile ferocia; e quello, percettibile soprattutto al lettore di sesso femminile, de.I quadro che la biografa, con ogni probabilità involontariamente, fornisce di ciò che era, nell'America degli anni Cinquanta, la vita di una donna intelligente, dotata di talento e piena di voglia di vivere. Il prii;no ~ terzo livello di orrore fanno sì che si riesca a sopportare il secondo e arrivare alla fine del libro. Il secondo provoca un disgusto · che .si può superare solo domandandosi quali ragioni di astio possa avere l'autrice nei .confronti di Sylvia Plath; il sospetto, suffragato dal fatto che l'attacco contro la poetessa suicida si fa più virulento man mano che la biografia procede, fino a diventare apertamente,· ingenuamente faziosa verso la fine del libro, è che Stevenson, "coetanea di Sylvia Plath", come lei studentessa in America, "autrice di alcuni libri di poesia" (così spiega il risvolto di copertina), sia mortalmente invidiosa del personaggio sul quale ha scelto di scrivere: è infatti poco prima della morte che la Plath produce le sue poesie più belle. Quando comincia a serivere, Stevenson deve · avere ancora in mente di condurre il discorso su un piano dignitoso, acceuabile. Ma presto, grazie senza dubbio al contributo di Olwyn Hughes,. cognata nonché curatrice dell'estate di Sylvia 1 Plath, citata e ringraziata come preziosa collaboratrice e "quasi coautrice" del libro, la prosa 34 della biografa si fa sempre più ricca di quelli che la lettrice, dapprima incredula, si rifiuta di registrare come veri e propri insulti. Il volume di Stevenson sembra dedicato al tentativo di stabilire quanta parte di demenza, quanta di testardo arrivismo, e quanta di vera sofferenza e talento, abbiano contribuito a fare della Plath una poetessa tra le più apprezzate dell'America contemporanea. E dire che l' au- • trice, diventata adulta, come la Plath, negli anni Cinquanta, non può ignorare quale fosse la pressione esercitata dall'organizzazione sociale di quel periodo su una giovane donna ambiziosa, geniale, e per di più bella. E quanto fosse difficile non perdere letteralmente la testa nel turbine di messaggi e richieste nettamente contraddittos ridai quali si veniva bombardate. Cerchiamo ora di immaginare una giovane donna molto sensibile e intelligente come Sylvia Plath, già segnata dalla morte prematura del padre, vissuta come un abbandono, allevata da una madre a sua volta scissa tra l'obbligo di essere una buona moglie e il desiderio di seguire la propria inclinazione allo studio e alla ricerca, riel cuore dei cupi anni Cinquanta, nel campus dello Smith College, in un'atmosfera intrisa di mistica della femminilità. Cerchiamo di immaginare le pressioni alle quali veniva sottoposta, oltre che dalle aspettative, anche inconsapevoli, della madre, che aveva finito col proiettare su di lei il proprio desiderio di affermazione personale, da quelle della mecenate che la manteneva agli. studi contando sulla gloria di Tiflesso dei suoi futuri successi letterari, e di una serie di amici, parenti e fidanzati ai quali lei per prima si presentava come un modello di efficienza e disciplina. Sylvia ci prova, a diventare la donna totale Sylvia Plathe Ted Hughes in una fata del 1959 di RollieMcKenna (Archivio Mondodori) che la madre e gli altri vogliono. Alla fjne del primo anno di college piomba in una crisi depressiva, tenta il suicidio, e viene rinchiusa in manicomio e curata con l'elettrochoc. Anne Stevenson, mentre riferisce tutto questo, si dichiara delusa dal fatto che "nonostante la sua forza di volontà, la su.aimmensa vitalità, intelligenza e passione nel dare ordine alla vita tramite l'arte, (la Plath fosse) legata senza speranza agli · eventi che premevano sulla sua limitata esperienza" e che potesse "esagerare, distorcere, rimodellare e interpretare, ma non.:. inventare facilmente". Si ha il sospetto che Stevenson, come fanno alcuni maestri elementari con i loro allievi, si aspetti dalla Plath lo svolgimento di un tema "di fantasia" invece che "basato sulla realtà", e non sia quindi la persona più adatta a raccontare di poeti e di immaginazione. Ma tale generoso sospetto, che farebbe di Anne Stevenson un'altra scrittrice ignorante e nulla più, viene superato man mano che si procede nella lettura, dalla certezza che non di incolp.evole rozzezza si tratti, ma di vera e propria malevolenza, e della volontà precisa di ridurre la Plath a una povera demente, immatura, nevrotica, incontentabile, smodatamente ambiziosa, sgradevole, prepotente con gli amici della famiglia e del marito, paranoica, perfezionista implacabile, madre felice solo in quanto la maternità gratifica il suo orgoglio, insofferente degli strilli dei bambini, incapace di sopportare che il marito rivolga la benché minima attenzione a un'altra donna, esuberante ed entusiasta come sono gli a.mericani (giudizio the si spera faccia calare drasticamente le vçndite del libro negli Stati Uniti), promiscua prima del matrimonio, troppo fedele dopo, possessiva, intollerante delle visite improvvise, e ·chipiù ne ha più ne metta. Gli argomenti sono più o meno quelli che di solito usano le suocere da barzelletta per mettere in cattiva luce la nuora, e il linguaggio abbonda · di termini triti quali "cattiva", "egoista", "esigente", "isterica", per citarne solo alcuni. Ora, si sovrapponga a questo quadretto il ritratto reale, quello di una donna di meno di trent'anni, cresciuta nell'America del doppio ruolo e del doppio standard, proveniente da una famiglia di rigide convinzioni e modeste condizioni economiche, gravata dal cl![ico di aspettative di cui si è parlato in precedenza, e si capirà come Stevenson non faccia altro che ricalcare il giudizio. sociale e familiare che Sylvia sentì pesare su di sé per tutta la vita. Assassinandola così per la seconda volta. Non basta, questa, come materia da tradurre in parole e poesia, senza dover ricorrere alle capacità inventive di cui Stevenson trova carente la sua vittima? La Plath era troppo occupata a gridare la "ferita lacerante" sua e delle sue simili, per inventare mondi popolati da mostri diversi·da quelli che incontrava quotidianamente sul suo percorso. Come avrebbe potuto mettersi a tavolino e spaziare verso panorami differenti da quelli che premevano con insistenza al vetro della campana che la avvolgeva? Negli anni Sessanta la Plath diventa un simbolo per il movimento femminista: la donna di valore, di genio, schiacciata dalle aspettative . di una società che la condanna a un ruolo impossibile. Sylvia in realtà muore squartata da due cavalli lanciati al galoppo in direzioni opposte: la necessità, magari complicata dal perfezioni-
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