Linea d'ombra - anno IX - n. 60 - maggio 1991

Metabolizzano tutto, usano ai propri fini, costoro. Bisogna fare di meglio, contro. Sennò la politica si riduce a meri conflitti intergovernativi, tra un Botero e l'altro. La difficoltà di Luchetti a rappresentare un'opposizione anche minimamente credibile mi sembra in effetti tipica del cinema italiano d'oggi. È pressoché impossibile rintracciarvi presenze e segni di un "alterità", anche solo in nuce? È un segno preoccupante aldilà dello specifico cinematografico. È come se le figure e le vicende che non appartengono ali' area del potere e della ricchezza non sapessero più ispirare efficacemente gli autori (non solo del cinema). Come se non suscitassero più interesse. Gli stessi film che hanno preteso di illustrare le generazioni "ribelli" del '68 o del ' 77 non hanno saputo che fame delle caricature, con i quarantenni che cantano "E la pioggia che va" e si commuovono o gli ex settantasettini che non sanno far altro che passare da una moda velleitaria e controculturale a un'altra. Non che questo non accada, anzi. Ma non e' è solo questo, e comunque non è su questo che vale la pena di soffermarsi: nuoce molto, credo, la volontà di molti autori di rifare Il grande freddo, magari ali' italiana. E in questo emerge quanto era già in quel film, mascherato dal buon mestiere di Kasdan e dei suoi attori: il patetismo, ancora, il cattivo romanticismo, il suo essere non già un film sulla crisi politica post-"movement" bensì una sorta di "addio giovinezza". I protagonisti piangevano e cantavano la propria giovinezza, le avventure, i sogni di ogni giovinezza e non tanto una stagione di impegno, di progetto, non tanto un vero percorso critico e antagonista. Era perfettamente legittimo e utile, forse vitale farlo. Ma l'equivoco ha pesato e ancora pesa. Le due cose sono vicine, collegate, ma sono distinte. Il loro compenetrarsi genera spesso pastrocchi, nella vita come nella messa in scena. Riesce molto meglio a darci un quadro, insieme affascinante e inquietante, della realtà d'oggi e perfino dei possibili esiti di un percorso estraneo ai conformismi e agli opportunismi un film come "L'aria serena dell'Ovest", di Silvio Soldini. La politica vi è tenuta fuori, in apparenza. Echeggia dai notiziari Radio e Tv. La si intuisce appena, e tuttavia incombe. Già nel titolo è evocata, nella retorica del bel paese e dei valori limpidi dell'occidente, al cospetto del buio tramonto dei comunismi dell'est, nell'ottimismo non già della volontà bensì dell'i_mbroglio, della facile promessa, della rie• chezza comunque assicurata a chi appartenga al ceto dirigente o agli innumerevoli "portaborse" di ogni genere di un paese come il nostro. La Milano così ben narrata da Soldini è piena zeppa di portaborse e di simil-Botero. In qualche modo, anzi, ne è la patria d'elezione (il collegio elettorale, per meglio dire). Ma non li si vede, nel film. Eppure ci sono. Si sentono. Le loro voci, e i "desiderata" dei loro clienti e le ambizioni e le frustrazioni degli aspiranti "portaborse", ma anche l'offesa, il chiamarsi fuori di chi davvero non ci s·ta, attraversano nitidi quell'aria serena . • Gliitaliani "colorati" Giovanni Mottura Una conferma supplementare, qualora ce ne fosse bisogno, dei guasti e dei ritardi provocati dalla guerra e dal suo effetto ipnotico alimentato dai mass media, è fornita dall'allentamento di attenzione rispetto ai problemi reali e complessi posti dalla crescente presenza - in Italia come in altri paesi mediterranei in precedenza non toccati dal fenomeno - di immigrati dal cosiddetto Terzo Mondo. Nonostante il crescere, negli ultimi anni, e il perdurare anche oggi, di ricerche e discussioni tra "addetti ai lavori" sul versante scientifico e l'urgenza con cui le diverse facce della que· stione continuano a presentarsi a chi-a livello amministrativo, soprattutto comunale - è giornalmente costretto a confrontarsi in .termini d'intervento e di iniziative, non è difficile constatare come al calo di interesse e di tensione razionale constatabile a livello politico si accompagni - cosa ancor più grave - il diffondersi a livello sociale.di atteggiamenti difensivi e di paura che tendono a distorcere la considerazione dei veri problemi, dando particolare risalto ai fenomeni di delinquenza (in realtà marginali in termini quantitativi, e soprattutto non univocamente collegabili alla questione immigrazione) e ai rischi di terrorismo. Poiché il fenomeno immigrazione è invece un processo ormai avviato a diventare una costante, nel novero dei fattori strutturali che caratterizzano i mercati del iavoro e la topografia occupazionale anche nell'Europa mediterranea, perseverare nel lavoro collettivo volto, a differenti livelli, ad arricchire le conoscenze in proposito e a elaborare ipotesi per interventi sempre più adeguati, diventa - oltre che una prospettiva di notevole interesse scientifico - l'individuazione di un terreno prioritario di testimonianza e di battaglia politica e civile. Tra i contributi più recenti usciti in Italia vanno segnalati due libri, assai diversi tra loro quanto a struttura e genere, ma - mi sembra - in qualche modo apparentati dalla comune intenzione di contribuire a una migliore conoscenza dei problemi aperti e a una più coerente ed efficace impostazione delle misure legislative ,e degli indirizzi di intervento. Il primo presenta una relazione e i testi di alcuni interventi al Convegno sull'immigrazione organizzato dal Servizio rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, tenutosi a Roma, presso la Facoltà valdese di teologia, il l O marzo 1990 (AA. VV ., Ipotesi per una politica di immigrazione, Claudiana editrice, Torino 1990). Lo studio-relazione che introduce il volume èdi Cristopher Hein, direttore del Consiglio Italiano Rifugiati. Tra i testi che ho avuto occasione di vedere, questo mi pareparticolarmente consigliabile a chiunque sia interessato IL CONTESTO a disporre d'una esposizione sintetica, ma assai succosa e intelligentemente impostata, dello stato della questione per ciò che riguarda le caratteristiche essenziali delle politiche (e/o delle non-politiche) migratorie adottate nelle aree europea e nord americana, nonché i problemi che - alla prova dei fatti - in esse non hanno trovato adeguate risposte. La prima e la seconda parte dello studio offrono infatti, tra l'altro, un esempio di come la riflessione e le elaborazioni in corso nei paesi di nuova immigrazione possa e debba far · tesoro delle esperienze più mature, evitando così gli evidenti rischi di "provincialismo" largamente affiorati nella discussione e nella pubblicistica italiana nell'ultimo decennio, senza perciò adottare in modo acritico schemi e modelli interpretativi elaborati in situazioni diverse (cioè quando nelle economie dei paesi industrializzati appari va predominante il modello tayloristico di organizzazione del lavoro, essendo la domanda di forza lavoro contemporaneamente sostenuta). Nella terza parte dello studio e nelle conclusioni si entra nel merito di quali debbano essere i principi generali - per così dire concretamente non eludibili -di politiche migratorie che aspirino a un livello decente di efficacia, per proseguire poi in una esemplificazione dei criteri in base ai quali è possibile disaggregare in categorie diverse l'insieme "immigrati", al fine di elaborare politiche il cui requisito principale, sul quale l'autore insiste come condizione comunque necessaria, dev'essere - insieme alla chiarezza - l'estrema flessibilità e adattabilità, di fronte a un universo che non soltanto si presenta diverso ed eterogeneo al proprio interno (e per alcuni versi anche rigidamente segmentato) ma che di fatto appare fluido e percorso da dinamiche anch'esse diversificate. Qua e là, nello sviluppo delle argomentazioni, affiora infine - non direttamente affrontato, ma piuttosto segnalato come possibile contraddizione- un discorso cruciale, che nel convegno della Federazione evangelica è stato parzialmente ripreso dagli interventi di Fausto Bertinotti e di Enrico Pugliese (anch' essi compresi nel volume), ma che richiederà nei mesi (o negli anni) prossimi un lavoro di approfondimento e di documentazione puntuale. Si tratta del problema delle contraddizioni che possono aprirsi - prestandosi, come mostrano gli esempi già disponibili di altri paesi europei, a strumentalizzazioni miranti a riprodurre indefinitamente la precarietà come caratteristica strutturale della condizione degli immigrati - tra il tipo di domanda prevalente che l'offerta rappresentata dagli immigrati viene a soddisfare, e l'esigenza di una efficiente regolamentazione legislativa del fenomeno migratorio. Già qualche anno addietro, in un articolo 21

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