Linea d'ombra - anno IX - n. 60 - maggio 1991

secondi solo a quelli negli Stati Uniti. Anche gran parte dell' Assistenza per lo Sviluppo all'Estero del governo si è indirizzata in quella regione. Nel 1986 l'influente Istituto Nomura, collegato a un'importante agenzia di cambio di Tokyo, suggerì che per ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti il Giappone avrebbe dovuto indirizzare i fondi provenienti dal commercio globale in mercati regionali. È solo la connessione più promettente di tutte, fra il capitale e la tecnologia giapponese, le risorse siberiane e la manodopera e i mercati cinesi, una sfera di ca-prosperità di grande potenziale, che deve ancora essere creata. (Gorbaciov ha chiesto che vengano fatti investimenti nell'Urss orientale, ma i giapponesi sono rimasti delusi non essendo sicuri di chi siano e di quale autorità abbiano le persone con cui trattano. Anche la Cina vuole. che il Giappone investa, ma per aumentare le proprie esportazioni, non, come vorrebbero le ditte giapponesi, per sfruttare il mercato interno.) Le connessioni più importanti, comunque, il Giappone li ha oggi al di fuori dell'Asia. Negli anni Sessanta e Settanta il Giappone è stato in genere un debitore netto. F,ino al 1981, la sua disponibilità finanziaria all'estero era di soli 10miliardi di dollari. Adesso è circa trenta volte tanto e il Giappone è diventato il· maggior creditore del mondo. Metà del credito è nei confronti degli Stati Uniti, che adesso sono il maggior debitore. Nella rassegna di Kathleen Newland, The International Relations of Japan (Macmillan 1990); Eric Helleiner avanza giustamente delle riserve sul potere derivante da questo fatto. Può darsi che il Giappone abbia sui suoi creditori un'influenza maggiore di quella che aveva l'Arabia Saudita dopo la prima crescita del prezzo del greggio nel 1973. Ma ne ha molta di meno di quella che gli stessi Stati Uniti erario in grado di esercitare negli anni Cinquanta e Sessanta. Se c'è un punto di forza nella nuova potenza economica · del Giappone, sostiene Helleiner, questo risiede nel nuovo carattere internazionale dei suoi rapporti finanziari, e resta latente. Ai tassi di cambio attuali, che in realtà sopravvalutano la potenza giapponese, il mercato giapponese conta oggi su circa la metà del capitale mondiale, quello americano su meno di un terzo; anche nove delle dieci banche più grandi del mondo e i ventuno istituti finanziari più importanti sono giapponesi. Come osservano William Horsley e Roger Buckley nella loro vivace sintesi degli ultimi quarantacinque anni (Nippon, New Superpower: Japan since 1945, BBC 1990), non deve sorprendere il fatto che dal 1983 ii primo ministro giapponese si sia spostato verso il èentro delle fotografie che vengono scattate alla fine dei summit internazionali e si trovi raggiante fra Reagan e la Thatcher. Nel 1990 gli Stati Uniti finalmente accettarono di aumentare i voti giapponesi nel Fondo Monetario Internazionale. Il prodotto interno giapponese viene valutato oggi alla metà.di quello statunitense, al doppio di quello della Germania occidentale; l'Istituto Nomura prevede che nel 2010 sarà il più alto di tutti. Secondo il nuovo "indice di sviluppo umano" del Programma per lo Sviluppo dell'Onu-che calcola le condizioni dei cittadi.ni degli stati del mondo in rapporto a salute, istruzione e potere d'acquisto-, i giapponesi sono già al primo posto. Lo sviluppo è stato straordinario. Ma non c'è niente di misterioso in questo. La decisione di mettere al primo posto la crescita economica è stata P.resapiù di un secolo fa, in risposta alla debolezza giapponese di fronte alle grandi potenze.C'è voluto del tempo per capire quali erano i'mezzi migliori per dirigerla. E negli anni Trenta la direzione scelta si è rivelata disastrosa. Ma da allora i mezzi sono stati decisi. (Molti degli uomini che erano stati responsabili della politica giapponese prima della guerra, e l'avevano continuata tra il 1943 e il 1945 nel Ministero delle Munizioni, dovevano riprendere il loro posto nel 1949 e tenerlo fino agli Tokyo, quartiere di Shinjuku, uscita della metropolitana (foto di Philip Gordon/Rea/Cantrasto). IL CONTESTO anni Sessanta.) Di fronte alla mancanza quasi assoluta di fonti di energia e di materie prime per l'industria e (fino a poco tempo fa) alla scarsità di valuta straniera, i dipartimenti governativi - dal 1949 il Ministero del Commercio Internazionale e dell'Industria e il Ministero delle Finanze, che è riuscito a indirizzare la maggior parte del risparmio privato e, attraverso la Banca del Giappone, a controllare tutte le banche private - hanno accuratamente valutato i potenziali mercati e quindi hanno assegnato valuta straniera e concesso termini di credito favorevoli e tassi di incentivazione alle ditte che hanno ritenuto potessero soddisfarli meglio. (Non tutte le ditte che da allora hanno avuto successo sono state così favorite. Ali' inizio degli anni Sessanta il Ministero del Commercio nternazionale e dell'Industria riuscì con qualche difficoltà a ridurre il numero dei produttori di automobili da dieci a otto, per rendere più economica la produzione. Nel 1963, quando Soichiro Honda, che produceva motociclette, chiese di unirsi agli otto, il Ministero lo consigliò di non farlo. Egli insistette, e sembrava che avesse dimostrato l'erroneità del consiglio. Ma il Ministero non aveva completamente torto. Dopo la crescita del prezzo del petrolio nel 1973, la capacità totale nell'industria si dimostrò troppo grande, le vendite crollarono e la Mazda dovette essere ristrutturata.) Alcune ditte privilegiate sono state invitate a lavorare sui tempi lunghi. Un influente ministro era solito citare Schumpeter: la concorrenza che conta davvero si misura non dai profitti ma dallo sviluppo di nuovi beni, nuove tecnologie, nuove fonti di approvvigionamento e nuovi tipi di organizzazione. (Questo è stato reso più facile dalla scarsità di azionisti che richiedono un rapido ritorno e dalla diffusa presenza di provocatori pagati alle riunioni di quelli che potrebbero farlo. Le ditte diminuiscono anche i salari dei dirigenti. Il presidente della Sony un volta osservò che il direttore del settore americano era pagato meglio di lui.) Per cominciare, l'industria assorbì il risparmio nazionale; in seguito, questo fin) col finanziare il deficit governativo; oggi, aiuta gli investimenti internazionali. E, tranne che su alcuni di questi ultimi, sono stati i burocrati ad avere il controllo. (Sono loro, per esempio, a decidere le destinazioni dei fondi. E sono loro, non i politici o le spie, a essere diventati oggetto della curiosità e dei romanzi popolari.) Il governo non ha dovuto far altro che approvare la linea generale. Da questo punto di vista, si potrebbe credere che i politici del partito al governo abbiano avuto la vita facile. In confronto a quelli di altri altri paesi, è così. Sono riusciti anche a organizzare una distribuzione delle circoscrizioni elettorali che ha reso difficile per qualsiasi altro partito conquistare il potere, hanno avuto a che fare con cittadini piuttosto compiacenti e la costituzione del 17

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