NOILO fOR IL Pacifisti statunitensia Seattle, gennaio 199 l (foto McVay/Saba-Rea/Contrasto). f Alla metafora dello stato come persona era facile associare poi la metonimia (pars pro toto) secondo cui un singolo, Saddam Hussein, sta per un intero paese. Abbiamo sentito mille volte Bush che diceva "dobbiamo cacciare Saddam dal Kuwait". Ma ci suonerebbe strano sentir dire, in modo formalmente simmetrico, "George non marcerà sul Kuwait". Evidentemente, la naturalezza con cui viene percepita, almeno linguisticamente, quella frase di Bush, e la stranezza, invece, di un'eventuale frase simmetrica da parte irakena, basta a denunciare l'asimmetria dei rispettivi schemi narrativi, o campi cognitivi che siano. Una volta tessuta questa rete metaforica ci si può facilmente abbandonare ai suggerimenti offerti dalle metafore stesse, salvo imbattersi in -contraddizioni: per esempio, lo scenario fiabesco in cui Saddam compare come "antagonista cattivo", implica che Saddam è forse astuto, ma non razionale: con il genio del male l'eroe delle fiabe non discute, i demoni vanno sconfitti, non. persuasi. Ma al tempo stesso il Pentagono sostiene di poter prevedere le mosse di Saddam Hussein, i costi e i ricavi dello scontro (secondo una mçtafora della guerra come business), e in questo caso la previsione deve fare affidamento sulla razionalità manageriale dell'antagonista, su una logica accessibile an.cheagli Stati Uniti. Dallo scontro di questi due campi metaforici Saddam Hussein si presenta dunque insieme come razionale e irrazionale, prevedibile e imprevedibile, affine e imperscrutabilmente (malvagiamente) diverso. L'analisi di Lakoff acquista via via maggior precisione e ILCONTESTO maggior ampiezza, e qui non la seguirò nelle sue ·diramazioni. Ricordo soltanto il fatto che Lakoff invita il lettore computerizzato a meditare su quello che si nasconde sotto le metafore, sotto gli schemi fiabeschi, a cogliere la realtà che le metafore "rivestono". Il problema naturalmente nasce qui : è così facile sottrarsi agli schemi fiabeschi, ai generi narrativi, e cogliere davvero la realtà delle cose? Non è forse vero che la realtà dello storico dipende dallo schema narrativo più o meno consapevolmente utilizzato per individuarla (ancor prima che sia possibile analizzarla)? Tuttavia, si dirà, non è difficile immaginare la realtà delle sofferenze umane generate da una guerra come questa, specie se si hanno a disposizione immagini in diretta, resoconti telefonici ecc.. Non ci vbrrà mica molto a capire che i fuochi artificiali su Bagdad, che tutti abbiamo visto, significano sofferenze atroci, morti inenarrabili (?). Qui si situa il secondo episodio che vorrei ricordare: durante i.malezione di-letteratura dedicata al neorealismo, tenuta in uno dei campus menzionati, il professore chiede agli studenti se non preferiscano piuttosto seguire una conferenza sul Medio Oriente e sull'intervento americano. La classe si divide. Alcuni dicono che la letteratura italiana è interessante, ma che capire cosa sta succedendo nel mondo è più importante. Questioni di priorità. Un altro gruppo vuole che si faccia lezione. Studiare costa molto, alcuni vengono da lontano, tutti sono andati già alle manifestazio: ni e hanno seguito le dirette della CNN. Preciso che gli studenti che restano non sono affatto dei •·•semplicioni", maneggiano strumenti di analisi letteraria raffinati, sono pacifisti, alcuni vegetariani, dicono di detestare l'idea di un nuovo ordine mondiale stabilito dall'America, sono informati, e tutti, quelli che restano e quelli che vanno, sono convinti di essere tolleranti, o meglio dicono di cr~dere che ciascuna cultura contiene in sé i propri criteri di validità (quel che si intende di solito, da queste parti, con multiculturalismo), ecc. ecc .. Bene, succede però che questa lezione sul neorealismo prevede la proiezione di Roma città aperta, un film che ormai dovrebbe avere più che altro un valore documentario e che non possiede certo la crudezza delle immagini di violenza a cui il cinema, specie americano, ci ha abituati. Tuttavia, accade un fatto inaspettato : di fronte al faccione addolorato di Aldo Fabrizi che assiste alla "passione" del partigiano Manfredi, ima delle studentesse ha una crisi isterica, scoppia in lacrime, e urla" ... di cosa siamo capaci, bestie, bestie!" seguita da altri singhiozzi e grida dei presenti, quasi tutti inconsolabili per circa trenta minuti. Mi chiedo cosa abbia generato in questi studenti un "effetto realtà" così violento e potente da rendere d'un tratto reali e tangibili gli orrori della guerra a cui sembravano emotivamente impermeabili. È possibile che una pellicola in bianco e nero di tanto tempo fa, così apertamente sentimentale, abbia avuto il potere di tradurre i fuochi d'artificio su Bagdad nella percezione delle sofferenze e atrocità corrispondenti? Perché tutti i film sul Vietnam, ben più violenti e crudi di Roma città aperta, non hanno fornito un mezzo di traduzione più.diretto? È possibile che una narrazione così remota abbia prodotto delle condizioni più adeguate per "tradurre" le "fiabe di salvataggio" raccontate da Bush? Non intendo queste domande retoricamente. Non mi interessa, che so, insinuare che in fondo il neorealismo italiano non era così male. Può anche darsi che quel!' effetto fosse dovuto a una coincidenza, a una serie di eventi l'ultimo dei quali è stato, per un insieme di circostanze imprecisate, scatenante. Ma non credo che ci si possa accontentare di una risposta simile, né che si possa risolvere tutto nel potere del sentimentalismo. È indubbio però che non si può avere un'idea adeguata dei costi della guerra (per usare la metafora della guerra come business), se non si capiscono 11
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