Linea d'ombra - anno IX - n. 60 - maggio 1991

IL CONTESTO La guerra nel campus Lettera dalla California Stefano Velotti Da un paio d'anni ormai, abito a Santa Cruz, California. È da qui che ho seguito le notizie sulla guerra nel Golfo. In queste pagine ·racconterò due episodi legati alla guerra, e ne trarrò motivo per una domanda che, mi rendo conto, è sproporzionata ·rispetto all'entità dei fatti raccontati. Tuttavia, mi sembra, anche questi fatti la rendono ineludibile .. Santa Cruz è una cittadina poco più grande di Viareggio. Se si segue la costa verso nord, si arriva a San Francisco in un'ora e mezza di macchina. Oltre alle giostre sulla spiaggia e ai leoni marini, a Santa Cruz c'è un magnifico campus, che fa parte della Università della California, come il campus di Berkeley, un altro di LosAngeles, quello di Santa Barbara ecc ..Tra Santa Cruz e San Francisco, in piena "Silicon Valley", c'è Palo Alto e l'università di Stanford. Insomma, una zona ad alta concentrazione accademica e tecnologica. Tutte queste università sono travagliate dal fallimento del "melting pot" e dall'elaborazione di programmi di studio "multiculturali", in cui nessuna cultura e nessuna opera particolare dovrebbe occupare un posto gerarchicamente definito rispetto ad altre opere o culture. Santa Cruz, in particolare, si distingue per essere una specie di riserva naturale di "alternativi": la popolazione matura o anziana è a maggioranza hippy, l'eterosessualità è una vergogna, i cibi "organici" la norma, e nessuno sa quante comuni sui monti siano rimaste imbalsamate dagli anni Sessanta. Ogni sera, sulla spiaggia, si tengono lezioni collettive di percussioni africane. In.oltre, tra questo "far west" e l'estremo oriente c'è solo il Pacifico, e se il Giappone si occidentalizza, qui ci si orientalizza come si può: cioè con le dottrine New Age (un misto di high-tech, misticismo e salutismo). Detto questo, ci si vive molto piacevolmente. Ecco, grosso modo, le coordinate ambientali per inquaqrare alcuni episodi, a mio parere significativi, della recezione locale della guerra nel Golfo. ... · Al di là delle marce sul Golden Bridge, di qualche giornalino e dibattito universitari, chi voleva manifestare il proprio dissenso dall'intervento armato non aveva molte altre possibilità di essere ascoltato. Ogni tanto CNN riportava, per dovere di pluralismo, qualche timida letterina di dissenso, incorniciata da altre dieci letterine di "supporters" più o meno entusiasti. L'unico giornale a diffusione nazional@che avesse preso una netta posizione antigovernativa era "The Nation", che pubblicava tra l'altro una serie di articoli del critico letterario E. Said sull"'orientalismo". La comunità italiana poteva beneficiare della vista del TG1, un collage .casareccio di immagini del papa, battute andreottiane, spezzoni invecchiati di servizi CNN che i soliti giornalisti sfatti jmploravano alla "regia" di mandare in onda, il tutto preceduto e seguito dalla pubblicità di "porrù" (ci si aspetta quasi che uno di questi giornalisti o politici si tolga la parrucca e dica buonasera, scusate, sono ancora Alighiero Noschese). La popolazione locale era divisa: sulla maggior parte dei balconi era stata issata la bandiera americana (gli americani, si sa, amano molto le bandiere e soprattutto le bandierine tascabili), ma nelle università gli studenti avevano l'autorizzazione dei presidi a non frequentare le lezioni e a partecipare a una serie di conferenze sulla storia del Medio Oriente. Tra le banalità che si sentivano ripetere da una parte e dall'altra, per ingenuità o mala 10 fede, c'era la tesi secondo cui gli Stati Uniti dovevano entrare in guerra perché il mondo occidentale aveva urgente bisogno di petrolio. Le varianti erano numerose, specie tra i contrari alla guerra; alcuni senatori, in chiara malafede (e a guerra dichiarata), sostenevano che gli Stati Uniti non dovevano sacrificare i loro ragazzi per arricchire l'Europa e il Giappone, visto che l'America del petrolio iracheno poteva fame a meno. Ma la variante più diffusa era tanto inutilmente giusta quanto semplicisticamente moralistica: non si scambiano vite umane con petrolio. Questo slogan veniva ripetuto in aula anche da professori universitari progressisti. · A proposito di ques(ultimo luogo comune, uriopsicolinguista di Berkeley, George Lakoff, saltando la mediazione della carta stampata, decide di diffondere una serie di sue riflessioni su una rete elettronica accessibile a tutti gli utenti in possesso di un persona! computer. ' Lakoff è noto per i suoi studi sugli aspetti cognitivi della metafora e sulla categorizzazione, e il saggio diffuso elettronicamente si incentra proprio sui sistemi metaforici che hanno permesso all'amministrazione Bush e ai militari di creare il consenso dei più (ma anche certe forme di dissenso ingenuo, come si è visto) sull'intervento militare nel Golfo. Lakoff ha sempre sostenuto la rilevanza conoscitiva delle metafore di cui è intessuto il linguaggio, e in questo articolo le ribadisce icasticamente dicendo che le metafore possono, lette- · ralmente, uccidere. E sottolinea però che, se il linguaggio è inevitabilmente metaforico, alcune nostre esperienze, come il dolore e la morte, non lo sono affatto, e che conoscere il modo di funzionare delle metafore deve permetterci anche di distinguere tra narrazione metaforica e realtà. Compito non semplice, ma, in definitiva, necessario. I discorsi di Bush o della sua amministrazione si rivelano all'analisi di Lakoff costruiti su una serie di sistemi metaforici interconnessi, alcuni coerenti altri contraddittori: per esempio, all'inizio della sua campagna per l'intervento militare Bush oscillava nei suoi discorsi tra due scenari, tra due schemi narrati vi, tipici delle fiabe, che a loro volta presupponevano la metafora degli stati come persone: nel primo scenario, per esempio, quello della legittima difesa, l'Iraq appariva come "l'antagonista malvagio", gli Stati Uniti come "l'eroe", e ancoragli Stati Uniti e gli altri paesi industrializzati come le "vittime", il crimine era "la minaccia di morte", che, data la metafora stato-persona, si traduceva in miQ.acciaalla salute (economica). Questo scenario, goffamente imposto- dall'amministrazione, ha generato, come dicevo, le prime reazioni negative, perché implicava uno scambio tra vite umane e petrolio. E infatti sarà un secondo scenario fiabesco a prevalere, quello che si potrebbe chiamare lo scenario del "salvataggio": qui l'Iraq è ancora "l'antagonista malvagio", gli Stati Uniti ancora "l'eroe", ma "la vittima" stavolta è il Kuwait, che, se opportunamente metaforizzate come persona più debole, può essere dichiarato vittima di crimini come "rapimento e violenza (sessuale)" (dovesi vede che il fiabesco finisce per comprendere, per coerenza di metafora, anche una parte ·agghiacciante della cronaca). Questo secondo scenario è stato finalmente accettato dal pubblico, dai media e dal Congresso, perché forniva una giustificazione morale all'intervento nel Golfo.

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