all'inizio di gennaio, il rabbioso intervento, pochi giorni dopo, di Gorbacev al Soviet Supremo contro "Moscow News" per la pubblicazione della coraggiosa lettera del consiglio di.redazione sui fatti cli Vil'njus, definiti come "il crimine di un regime che non vuole uscire di scena", ha fatto pesare sul paese la minaccia di un ritorno della censura, sotto la formula magari più elegante di "garanzia dell'obiettività dell'informazione". Per il momento, tuttavia, la sospensione della legge sulla stampa sembra difficile; è più probabile che si cerchino prima altre vie per mettere a tacere i giornali democratici, come la mancanza di carta, distr:ibuita ancora centralmente, e l'aumento del prezzo della carta e delle tipografie, ancora in buona parte in mano al partito. Per ora è fallito anche il tentativo di ricondurre all'ordine la "lzvestija", grazie alla decisa opposizione del collettivo di redazione; tuttavia, è stata impedita la pubblicazione di diversi materiali su terni scottanti (il KGB, la situazione nelle repubbliche baltiche) e la vicenda sembra ben lungi dall'essersi conclusa. Basta sfogliare i giornali per sentire una pressione diffusa: nella sorpresa generale, la "Komsomol'skaja pravda", quotidiano schierato a sinistra; è uscito, il giorno dopo la levata di scudi del Soviet Supremo contro l'intervento televisivo di El'cin, senza una riga di commento. L'attacco alla glasnost', pubblicità nel senso habermasiano del termine, non riguarda solo la stampa: in tutta segretezza, ancora il 29 dicembre - cioè prima di Vil'njus - il ministro della Difesa, Dirnitrij Jazov; e il suo collega degli interni, B<;>ris Pugo, hanno firmato un prikaz ( ordinanza) con cui si disponeva l'org'anizzazione, dal primo febbraio, di pattuglie armate nelle maggiori città e nei punti caldi del paese (le zone industriali in primo luogo) per assicurare ilmantenimento dell'ordine pubblico. Solo grazie a una fuga di notizie il parlamento russo è venuto a conoscenza, alla fine di gennaio, dell'esistenza del prikaz, , palesemente anticostituzionale: e solo in seguito allo scandalo Gorbacev, pochi giorni dopo, con un gesto di profondo disprezzo per quanti chiedevano la sospensione del provvedimento, gli ha dato, invece, un fondamento costituzionale - a posteriori - con un ukaz (decreto). Per quel che riguarda l'economia, i primi provvedimenti presi dal nuovo primo ministro Valentin Pavlov non sembrano andare affatto nella direzione di una riforma, ma sembrano piuttosto essere dettati dalla vecchia logica. Inoltre, con un altro ukaz del presidente, alla fine di gennaio il KGB è stato incaricato di combattere in prima persona iI"sabotaggio" (parola che, dopo · la morte di Stalin, era scomparsa dal vocabolario sovietico) nell'economia, senza che una qualsivoglia normativa giuridica ne limiti i ·poteri: il che significa porre una seria ipoteca sullo sviluppo dell'ancòr fragile settore privato, che si trova ad operare in una situazione di totale incertezza del diritto. È difficile prevedere quali saranno gli esiti del violento scontro politico in corso in Unione Sovietica, che vede ormai scendere in campo anche forze sociali ben organizzate. I minatori sono infatti in sciopero dall'inizio di marzo e il decreto del Soviet Supremo del 26 marzo per far finire la protesta d'autorità sembra destinato a restare lettera morta; l'entrata in vigore degli aumenti dei prezzi (200-300% per i generi di prima necessità), il 2 aprile, potrebbe provocare un'esterisione dell'ondata di sciopero e incontrollabili manifestazioni di malcontento sociale. L'avvenuta saldatura tra i minatori, che chiedono apertamente le dimissioni del Presidente, e l'opposizione democratica, inizialmente diffidente, è un elemento nuov·o che potrebbe ·avere un peso determinante nel forzare le parti a trovare un compromesso. Anche i risultati del referendum spingono in questa direzione. Dopo l'intervento televisivo di El'cin di febbraio, infatti, si è IL CONTESTO arrivati a uno scontro frontale aperto fra il leader della Russia e· il Presidente sovietico, che ha trovato espressione nella politicizzazione- e nella personalizzazione- del referendum di marzo, da cui i due rivali sono usciti, tuttavia, entrambi vincitori. La partita è patta. El'cin ha abilmente rintuzzato il Congresso russo, convoncato su pressione dei deputati comunisti per chiedere la testa del leader radicale, e la grande manifestazione di Mosca del 28 marzo, che si è svolta in una città in stato d'assedio per volere di Gorbacev, ha mostrato che la giovane democrazia russa ha vinto la paura ed è pronta a sostenere la sua causa senza cedere ad alcuna intimidazione. Il leader radicale ha cominciato, di fatto, la campagna presidenziale e, una volta eletto a suffragio universale e diretto a capo della Federazione russa, potrà trattare con ben altri poteri, godendo di quella legittimazione popolare che manca a Gorbacev, con il Presidente dell'Urss. Gorbacev, dal canto suo, dopo la fine della guerra del Golfo, in cui il ruolo degli app~ati conservatori dell'Urss, certamente non secondario, è ancora tutto da chiarire, sembra cominciare a liberarsi dalla morsa in cui si era trovato prigioniero negli ultimi mesi. Sin dalla fine di febbraio il Presidente ha cominciato a prendere cautamente le distanze dalla destra, invitando alla costituzione di un centro politico riformatore; Vadim Bakatin è stato nominato membro del consiglio di sicurezza dell'U rss dopo che, nei mesi precedenti, erano circolate voci su un suo invio come ambasciatore in un paese europeo, e lo stesso Aleksandr J akov lev, come si accennava, ha avuto la carica non solo onorifica di primo consigliere del Presidente. È stato solo dopo la fine della guerra che Shevardnadze ha ricominciato a parlare pubblicamente e il centro studi della politica estera che l'ex ministro degli esteri sta organizzando potrebbe avere una certa importanza nell'unione delle forze democratiche. Il prendere le distanze di Gorbacev dalla destra conservatrice - che è in p'arte forzato, poiché anche questa, frustrata dalle cautele del Presidente, ne chiede ormai le dimissioni ("Sojuz" ha chiesto la convocazione di un congresso straordinario dei deputati dell'Urss perché il Presidente renda conto della sua politica, e al Congresso russo lsaev, uno dei firmatari dell'appello coritro EJ'cin, ha chiesto che Gorbacev andasse in pensione)-è stato accompagnato, tuttavia, da gesti di sprezzante ostili~à verso la sinistra radicale ("i cosiddetti democratici"), come il tentativo di impedire, senza alcun rispetto delle norme costituzionali, la grande manifestazione di Mosca. E sono gesti simbolici che non hanno certo contribuito a ritessere un dialogo con i radicali. Gli attori politici sulla scena sovietica sembrano ormai prigionieri dei ruoli che si sono scelti, incapaci di ròmpere le gabbie delle loro stesse p,arole per tendersi reciprocamente la mano. "La nostra politica è l'arte dell'impossibile-scriveva la "Komsomol'skajaPravda", commentando i risultati del referendum-. È il desiderio di rifondare almeno qualcosa senza cambiare niente, il tentativo di fare una scelta senza alternativa, l'aspirazione a trovare un compromesso in una lotta senza compromessi". Riùscirà a vincere la ragione, cancellando le offese personali che si sono accumulate fra i due leader in nome della salvezza del paese, come spera Shevardnadze? O assisteremo al consumarsi di una tragedia annunciata già sul finire della scorsa estate? La storia non può tornare indietro, i carri armati non passeranno fra le vie di Mosca: le manifestazioni popolari di questi mesi a sostegno della democrazia hanno mostrato che i cambiamenti di questi anni sono ormai irreversibili. È una strada difficile e densa di ostacoli, certo: ma in fondo è stata già imboccata. Mosca, 18-21.02/31.03.1991 .,,
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