STORIE/ALI sporgeva e più di una volta Muirnoo, che veniva da una famiglia benestante ma aveva finito con lo trasformarsi in vagabondo, le metteva una mano sulla pancia e domandava: "Quand'è che nascerà il tuo bambino?" La pazza emetteva allora un grido selvaggio e angosciato e, proiettate le mani in avanti, si volgeva a un passante o a un negoziante, indicando Munnoo. Nella sua voce rotta e sgraziata, vi era un lamento e una preghiera, la richiesta che una persona senza risorse rivolge a qualcuno più forte di lei, perché l'aiuti. Ma altre persone si univano al coro beffardo e le ridevano in faccia. I cani era altra cosa cospicua del nostro mohallah. Erano bestie malazzate e denutrite. Molti soffrivano di scabbia, e la carne appariva dalla pelliccia corrosa. Mostravano i denti affilati e si grattavano il dorso o si azzuffavano a morte sopra un osso, di fronte al negozio del macellaio. Si facevano avanti furtivi, annusando nel canaletto di scolo i rifiuti, che poi si contendevano litigiosamente. Capitava spesso che quando vedevano un pezzo di carne o un osso i nibbi calassero a preda trafugando loro il bottino. Con la coda fra le gambe, fiutavano allora tutto intorno, come una persona consapevole di essere stata beffata; oppure litigavano ancora tra di loro, quasi a voler nascondere la loro vergogna. Di mattina presto si udiva la voce di Shera, il venditore ambulante di ceci abbrustoliti. Andava di vicolo in vicolo a vendere la sua grànaglia che portava in una sacca appesà ad armacollo. Aveva circa quarant'anni, ed era magro e sottile. In viso erano apparse delle rughe e la barba tenuta molto corta incominciava già a tingersi di grigio. Gli occhi, che erano profondamente incavati e cerchiati di nero, riflettevano la povertà e la fame, lo squallore e la sventurata indigenza. Venuzze rosse gli solcavano le pupille, come appaiono nelle persone che soffrono o d'intossicazione o di febbre. od' inedia. Portava in capo un sudicio berretto di tela, la schiena era coperta da una camicia lacera e le gambe sottili e ossute sbucavano da sotto l'esigua fascia del dhoti. Era venuto anni prima nella nostra città in cerca di lavoro da un vicino villaggio. Di notte dormiva in una moschea e di giorno vagava per le strade. Ma le città non avevano lavoro da offrire, proprio come la provincia e la campagna; e Shera non trovava nulla da fare. Mir Amaanullah andava a pregare in questa moschea. Shera gli -riferì le sue sofferenze. Mir Sahib lo prese a pietà e lo condusse a casa sua. Shera era onesto e industrioso e dopo alcune settimane Mir Sahib gli diede cinque rupie. "Prendi questo denaro", disse, "e inizia un commercio per tuo conto. Me le restituirai quando puoi, altrimenti non importa, dimenticatene pure." Shera incominciò a vendere per le strade ceci abbrustoliti e dahl seo. In breve la gente del luogo prese a conoscerlo e le vendite andarono bene. Nel giro di un anno restituì a Mir Amaanullah il denaro prestatogli, fece venire dal villaggio la moglie e i figli, affittò una piccola.casa e fu felice. · Proprio allora .Abdul Rashid fu co[ldannato a morte per l'omicidio di Swami Shardhanand, leader del Partito Revivalista Hindu. I musulmani della città erano in predaall 'iraeall 'eccitazione. Il giorno dell'esecuzione migliaia di uomini si radunarono fuori dalla prigione per ricevere il corpo di A'.bdulRashid. Quando la polizia si rifiutò di consegnarglielo, la furia della folla inferocita '9A divenne incontrollabile. Volevano demolire l'edificio e seppellire quel martire come si addiceva a un santo ... Capitò a Shera di trovarsi a passare quel giorno dalle parti di lama Masjid. Il cielo era velato da turbini di polvere, le strade deserte. Egli s'imbatté solamente in pochi cani irati che leccavano immondizie e rifiuti. In un canaletto di scolo giaceva morto un piccione, il collo inclinato da un lato, le zampe irrigidite e bluastre ritte verso il cielo, le ali zuppe di acqua sudicia; uno degli occhi, ancora aperto, era brutto e ripugnante. Shera fu attratto da quella vista, come se lo spingesse il fascino per la deformità e·1abruttezza. Era ancora assorbito da quella visione quando udì le grida risuonanti dei musulmani che intonavano la testimonianza della loro fede, ancora .nascosti da una svolta della strada. Si volse e vide della gente che portava a spalle un corpo morto, con una folla al seguito del funerale, il cui corteo diveritava sempre più imponente a mano a mano che si avvicinava a Shera, tanto da parere che l'intera popolazione della città fosse uscita di casa. Il corpo di Abdul Rashid era stato trafugato. Shera si unì al corteo, come la sua fede gli ingiungeva di fare. Proprio in quel momento la polizia irruppe dall'altra direzione, fermando il funerale. Shera era una delle quattro persone che in quel momento stava portando la bara, e fu arrestato con gli altri; di conseguenza fu condannato a due anni di severa detenzione per aver preso parte alla "sommossa" ... Ora aveva espiato la pena ed era ritornato in libertà, ma i clienti avevano dimenticato la sua voce, un tempo familiare. Non gli era rimasto del denaro, ma delle vecchie conoscenze glielo anticiparono e Shera riprese il commercio di ceci abbrustoliti, che andò di nuovo a vendere di vicolo in vicolo. La sua voce aveva tuttavia perso la capacità d'attrarre, e dolore e angosciata miseria si udivano in ogni grido da lui levato per annunciare il suo comparire in giro. Ancora, quando sentivano la sua voce, i ragazzi accorrevano a comperare i suoi ceci, e lui li prendeva a manate dalla sacca, li pesava e glieli dava... ~ Un altro frequentatore del nostro mohallah, uno che veniva ogni notte, era un mendicante, infermo e cieco. Era emaciato e basso di statura, con la barba corta imbrattata dalla polvere. Portava in mano un bastone rotto di bambù, con il cui aiuto batteva sul terreno per riconoscere il cammino. Di persona.appariva poco gradevole e insignificante, ·come un nugolo di mosche sopra un nugolo di sporcizia o lo scheletro di un gatto morto. La sua voce aveva tuttavia tristezza e patos, che parlavano della futilità e della fugacità della vita. Nelle notti d'inverno veniva da molto lontano, e con sé portava cupa malinconia e disperazione. Mai si era udita voce più triste uscire dal petto di un uomo, ed essa ancora risuona nelle orecchie. La poesia di Bahadur Shah che egli cantava riportava alla memoria il ricordo di antichi giorni passati, quando questa terra non era stata stretta nei ceppi dell'odiérno dolore. La sua voce non solo esprimeva il dolore di Bahadur Shah, l'ultimo dei Mughals, ma trasmetteva il compianto per la servitù che aveva asservito· l'India: Perché dovrebbero onorare la mia tomba Con preghiere e offerte di fiori? Perché dovrebbero accendere una lampada di notte? Tomba in cui è racchiusa ogni disperazione sono io...
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