SAGGI/MONTI Nato nel 1950, Alamgir Hashmi (che è ritornato in Pakistan, dopo aver vissu~onegli Stati Uniti e in Svizzera, dove si è sposato) è autore di diverse raccolte di poesie, tra cui The Oath and Amen: Love Poems( 1976),America isa Punjabi World(l979), This Time in Lahore (1983). Il c9smopolitismo del poeta appare ancora acerbo nella prima raccolta citata, in cui prevale la dizione complessa e a volte contorta (anche nella complicazioni psicologiche) del ghazal. Le sottigliezze concettuali della tradizione urdu (tali da richiamàre le convenzioni della poesia metafisica inglese) non trovano per il momento sostegno adeguato in un uso altrettanto disinvolto e complesso della lingua inglese, che talvolta risulta fuori registro semantico nel contrasto tra dizione asciutta del lessico contemporaneo e romantico turgore. (Come è stato osservato, "ghermire uno sguardo da quegli occhi/ da un taxi che passa/E, in fiamme, consumare aletto", sembra suggerire, almeno al lettore occidentale, un atto di masturbazione). Nelle raccolte seguenti, il linguaggio attinge a una dimensione consapevole d'ironica secchezza, giocata anche sul filo dell'idioma americano libero, il cui uso riflette lo straniamento provato dal poeta di fronte a una realtà che gli è aliena. Affermando che "il mondo è niente d'altro che/un alfabeto/io stesso la lettera/che cadde fuori dalla pagina?", il poeta non solo riflette sulla propria condizione di espatriato, ma ridefinisce altresì quello spazio vuoto (ovvero il punto d'incontro tra la lingua natìa e l'inglese) che è intrinseco all'esperienza linguistica post-coloniale. Anche M. Athar Tahir, nato nel 1951, ha vissuto negli Stati Uniti; come professore di Storia delle religioni. I suoi versi densi ricordano l'intensità di Taufiq Rafat, con una maggiore consapevolezza dei processi d'interscambio linguistico. In Viaggio la meditazione sulla storia e sul passato della propria terra adotta l'esotico linguaggio ibrido del lessico coloniale anglo-indiano (e del linguaggio amministrativo moghul di origine persiana, sul quale esso si è in parte innestato) per esprimere quel senso di rude e crudele desolazione che già costituiva il tema di La collina artificiale. Antico e moderno coesistono, nel lessico di · Tahir, sino a formare un nodo gordiano inestricabile, un puzzle multilinguistico: "e veicoli volti a tartaruga o spinti via dalla strada/un laskhar dopo l'altro a vita piantato" (Laskar; lett. campo, esercito, è voce persiana. Qui indica gli accampamenti eretti di volta in volta dagli invasori nella loro marcia di conquista. Si ricorda anche che l'etimologia di urdu è, "lingua del campo"). Oppure: "E la strada cresciuta grande come un tronco/aveva udito vocabolari/nuovi nei suoi campi ombreggiati dai banyan". (La Grand Trunk Road era l'arteria stradale che attraversava l'India inglese, da Bombay o da Calcutta in un'altra ramificazione che si congiungeva ad Agra, sino ai piedi del passo Khyber). Ha invece spezzato in modo definitivo le radici con la propria terra natale Zulfikar Ghose (nato nel 1935), che oggi insegna all'università di Austin (Texas), dopo aver vissuto a lungo in Inghilterra. In questa sede interessano solamente le sue opere legate, per stile e contenuti, alla cultura pakistana; sono quindi da citare la raccolta d'esordio The Lost of India (La perdita dell'India, Londra 1964), tutto sommato mediocre, così com'è deludente la lunga ed egocentrica autobiografia Confessions of a Native-alien (Confessioni di un nativo-alieno, Londra 1965). Le successive e numerose raccolte poetiche, tra cui il già ricordato 64 Sacrificio Taufiq Rafat Mentre egli muove il coltello lungo il collo della capra posso sentirne la punta sulla mia gola, e mentre il sangue sprizza violento dalla giugulare un sudore freddo e appiccicoso prorompe dal mio corpo. Prepariamo le fondamenta per la casa di un amico. Dopo una breve preghiera perché tutti coloro che vi abiteranno possano essere benedetti, stiamo in cerchio compatto attorno all'animale che deve essere sacrificato; ha uno sguardo civilizzato e paziente. Il bagliore del sole, il caldo e l'odore del sangue mi fanno venir meno. Il mio amico ha il coltello; è parte necessaria del rituale che la sua mano sola sparga il sangue. Con quale zelo taglia! Forse il mvimento è un poco incerto, ma dobbiamo scusarlo, questa è la sua priina uccisione. Quattro mani callose imprigionano le mie gambe sussultanti. La scena rende i ragazzi vivaci, guardano affascinati il sangue fluire nella buca scavata in fretta. Due badilate di terriccio mi copriranno per sempre. Un uomo dalla barba bianca canta qualcosa di sacro e con mano flebile infila il piccone nel terreno vergine; le macchine fotografiche scattano. Non stiamo preparando le fondamenta di una casa, ma un'altra Dachau. Pieces of Eight e The Violent West (L'occidente violento, Londra 1972), abbandonano progressivamente il tono biografico per risolversi in un riflessione sulla storia (si veda A Short History of India in Pieces of Eight) e sulla metafisica della vita e della morte, dei rapporti tra identità e realtà quotidiana. Tra i poeti più giovani si devono infine ricordare Waqas Ahmad Khwaja (nato nel 1952), co-fondatore nel 1984 del Writers' Group di Lahore e autore di due racco_ltepoetiche, di stile vivace e insolitamente realistico, sulla base dei canoni pakistani, e Shahid Salman (nato nel 1950), oltre che poeta anche drammaturgo televisivo. Per quanto riguarda la prosa narrativa, i testi in urdu sembrano prevalere su quelli scritti in inglese (lo stesso Ahmed Ali ha pubblicato in urdu sei volumi di racconti). Benché Alistair Niveo abbia sostenuto (in 'The foumal oflndian Writing in English", n. 1-2, 1980) che i due primi romanzi dello scrittore (oltre al già menzionato Twilight in Delhi vi è Ocean of Night, pubblicato nel 1964, ma scritto nei primi anni Quaranta) siano di area culturale
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