GERUSALEMME PUÒ CHIAMARSI ANCHEJOHANNESBURG Incontro con Denis Hirson a cura di Fabio Gambaro l)enis Hirson, che oggi ha quarant'anni e vive a Parigi, discende da una famiglia di ebrei russi emigrati in Sudafrica _dopo la prima guerra mondiale. Nato "per caso" in Inghilterra, Hirson è vissuto in Sudafrica fino a ventidue anni, quando abbandonò il paese seguendo il padre in esilio. Questi, unnoto docente universitario, dovette infaui lasciare il Sudafrica dopo aver passato nove anni in carcere per aver partecipato alle attività dell'AfricaResistanceMouvement, uno dei gruppi di opposizione che all'epoca si batteva contro l'apartheid. Dopo aver vissuto qualche tempo in Inghilterra, Hirson si è stabilito nella capitale francese dove ha lavorato in teatro per un decennio. A metà degli anni Ottanta ha scritto il suo primo romanza, La casa· accanto all'Africa (trad. di Luisa Agnese Dalla Fontana;. Marìetti, pp. 117, lire 20.000), una rievocazione lirica e frammentaria della. sua infanzia sudafricana, in cui le tensioni politiche si sovrappongono poco a poco alla bellezza dei luoghi in un lento apprendistato della tragicità del reale. Non a caso · nel finale del libro il giovane protagonista prende la via dell'esilio, riprendendo così la tradizione errante dellafamiglia, da sempre alla ricerca di "una terra promessa dove metter su casa", Come ha.iniziato a scrivere? Ho sempre scritto qualcosa fin da giovane. Soprattutto delle poesie, anche se non sono mai stato molto soddisfatto della mia opera poetica. Quando poi ho iniziato a seri vere La casa accanto all'Africa, era per me un modo per riavvicinarmi al Sudafrica, dopo diversi anni durante i quali non avevo più voluto saper nulla del mio paese. Mi ci sono voluti sette anni per liberarmi dal / Sudafrica e altri sette per poter descrivere tutta la densità complessa della mia esperienza e del mio rapporto con quella terra. Solamente dopo un lungo periodo è possibile voltarsi .indietro e guardare al proprio passato. Solo dopo la vera separazione è possibile fare ritorno. Qual è stata la s.uaformazione culturale e letteraria? La mia cultura non è sudafricana, non leggevo la cultura sudafricana, bianca o nera che fosse. Noi vivevamo in un ghetto linguistico e culturale inglese, anche se vivevamo in un contesto pluriculturale. Tutto ciò che riguardava il Sudafrica era troppo vicino a noi, lo vivevamo troppo sulla pelle: ci mancava la distanza. Là situazione politica ci impediva di avvicinarci alla cultura del nostro paese in maniera distaccata. Il gelo politico e culturale degli anni Sessanta e Settanta ci costringeva a cercare altrove, soprattutto nella cultura anglosassone. L'unica scrittrice dell'Africa australe che riuscivamo a leggere era Doris Lessing. La cultura scolastica era appunto anglosassone ... Sì certo, ma non sono riuscito a farla mia fino agli anni dell'università. Per me rapprese?tava l'obbligo scolastico e non mi interessava particolarmente, a parte qualche. libro, come ad esempio Kim di Kipling. li mio primo vero incontro con la letteratura è stato Diario di un ritorno al paese natale di Césaire. C'era qualcosa in quel libro che mi diceva che quello era il mio viaggio, c'erano una forza lirica e un amore amaro per la terra natale che mi impressionarono. Non a caso il libro parlava di un ritornoall'Africa. Ancora oggi io continuo a tornare aquel libro, e oggi so che dal momento dell'arresto di mio padre- quando io avevo solo nove anni - la mia famigli.~aveva già deciso di partire, era come se fosse già partita dal Sudafrica. E forse sentivo mio quel libro che parlava di un ritorno perché in fondo, seppure fossimo ancora in Sudafrica, ci sentivamo già partiti da molti anni, anche se non eravamo ancora arrivati da nessuna parte. Insomma, il tema del ritorno mi era già caro. E a parte Césaire? C'erano le poesie di Eliot, Pound, Lorca; Montale, Dylan Thomas ... era questa le mia cultura. Non era una formazione sistematica e coerente, era piuttosto una specie di bricolage culturale, ma per me quegli autori erano estremamente importanti. Cercavo la parola liberatrice, la cercavo dappertutto, anche nelle voci dei cantautori: Bob Dylan, Leonard Choen ... Cercavo una porta per uscire dal gelo sudafricano. Ma se oggi dovessi definire la mia ascendenza letteraria, credo che all'inizio metterei la Bibbia, un libro denso di poesia, legato al viaggio, all'esilio, all'idea di una terra che non c'è ancora. È però un libro che ho scoperto molto tardi. Poi metterei Shakespeare, Kipling, Babel, Shultz eMichaux. Questa è la mia personale tradizione letteraria da quando ho lasciato il Sudafrìca. Nel suo romanzo c'è una forte componente lirica... Dopo otto anni di lontananza, il Sudafrica ha ricominciato ad affiorare in me. Mi ricordavo delle storie, degli aneddoti che però non mi interessavano più di tanto. Allora ho cominciato a scavare in questi brandelli di memoria e ho trovato la densità della lingua che trasformava i ricordi. Così, mi sono trovato di fronte a qualcosa che prima non conoscevo, lavorando sulla lingua ero arrivato altrove. La lingua lirica trasforma la mia percezione dell'esperienza, a sua volta trasfotrµata da:llamemoria. Vi è una corrispondenza tra la capacità della lingua lirica di trasformare la scrittura e la capacità trasformatrice della memoria sulla realtà. Nel frattempo però avevo conosciuto una mia vecchia nonna vivente in Israele, che ha cominc_iatoa raccontarmi delle storie del passato, della nostra famiglia prima del Sudafrica. Era un mondo che per me non era mai esistito, dato che in Sudafrica non avevamo né passato né futuro, per noi contava solo il presente. Questa scoperta del passato mi ha permesso di guardare in maniera diversa a ciò che avevo vissuto in.Sudafrica. Il libro dunque èfortemente autobiografico? 55
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