Linea d'ombra - anno IX - n. 59 - aprile 1991

si fondi su questi dati della Scrittura soffre di un vizio fondamentale, e cioè della mancanza di concretezza. E che cos'è "concretezza"? È misurarsi con la necessità della decisione in una situazione data, che può essere drammatica come nel caso in cui si debba decidere se lasciare i propri cari e il proprio popolo indifesi davanti all'aggressione del nemico o alzare la mano armata contro di lui. È il caso classico, l'obiezione comunemente mossa contro il "pacifismo", già utilizzata da Lutero per sostenere che il Discorso della montagna insegna sì che non si deve resistere al male inflitto alla nostra persona, ma non insegna che non si possa e non si debba resistere al male che i malvagi infliggono al nostro prossimo3 . Anzi Lutero dice che, in favore deg)j altri, il cristiano "può e deve cercare vendetta, giustizia, protezione ed aiuto". Rispetto a questa posizione tradizionale Bonhoeffer si differenzia però - e dovremo valutare se in questo modo nasca un'impostazione veramente nuova del problema - perché lega la decisione ali' istinte in cui essa deve essere presa. È infatti nell'istante concreto, non prima, che secondo Bonhoeffer mi è possibile discernere chi è il mio prossimo e se l'uso della forza e delle armi in suo favore vada o non vada contro il comandamento di non uccidere. La Chiesa stessa non deve predicare principi, che sono veri sempre, ma comandamenti, che sono veri qui e oggi. Ciò che è vero sempre è, come tale, non vero oggi. Questa affermazione verrà poi fondata cristologicamente: Cristo non è idea, che abbia valore al di là dello spazio e del tempo, ma è l'interpellante, è parola viva4 : la sua verità nòn è perciò verità atemporale, ma verità detta dentro l'istante concreto (GS III, 185). Si intravede facilmente, sullo sfondo di questa prospettiva, la tesi di Lutero, per cui il cristiano - ma in particolare il principe - ubbidisce ai comandamenti non rispettando la lettera del decalogo, bensì creando nuovi decaloghi 5 ; con i diversi esiti che questa impostazione può avere, se si pensa alla tesi di Schmitt per cui il Ftihrer, nel momento del pericolo, può creare il diritto6 • Ma ora dobbiamo porre in termini più precisi la domanda appena accennata sopra, a cui potremo tuttavia rispondere solo in seguito, e cioè: se la situazione-modello è quella che mi vede scegliere tra i miei cari e il mio popolo da una parte, e lo stranieronemico dall'altra, la decisione è lasciata veramente all'istante, o non è già pregiudicata in anticipo? La risposta non è forse già ipotecata per il fatto che il mio prossimo è determinato per sangue e per natura (i miei cari, il mio popolo), in modo che non resta più uno spazio reale, non retorico, alla domanda: "chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?" (Mt 12, 48)? Il testo da cui siamo partiti risale al 1929. Allora Bonhoeffer aveva solo 23 anni. In Germania sopravviveva faticosamente la repubblica di Weimar, e ancora in questa fase preterminale della sua parabola per un tedesco era più vivo il ricordo della I guerra mondiale e della "ingiusta" pace di Versailles, con il consegu'ente desiderio di riscattare i torti subiti dalla Germania, che il timore di una seconda futura guerra mondiale - anche se le due cose sono evidentemente collegate, addirittura da una relazione genetica. Dopo pochi anni, con l'avvicinamento di Hitler al potere, il quadro cambia sostanzialmente. Nel l'entourage familiare di Bonhoeffer il giudizio sul nazismo è di condanna radicale fin dall'inizio. Ma, più interessante per noi, è il fatto che già nel 1933, quantomeno, si fosse SAGGI/GALLAS affermata in quell'ambiente la convinzione che "Hitler significa guerra" 7 • Per Bonhoeffer stesso ci è documentata l'affermazione, risalente al 1934, per cui non si può collaborare con Hitler senza essere corresponsabili della prossima guerra (GS I, 43) Bonhoeffer si misurerà perciò d'ora in avanti non col problema teorico della guerra, ma con il pericolo imminente di essa. Ci sarà poi una terza fase, abbiano detto, in cui dovrà fare i conti con una guerra in corso. Altro dato nuovo è il collegamento che ora viene stabilito tra pace ed ecumenismo: qu~sto colloca il problema in una dimensione sovranazionale, anzi planetaria. Davanti alla guerra imminente La fase della minaccia dello scoppio delle ostilità è quella in cui il giudizio di Bonhoeffer sulla guerra assume la forma più radicalmente negativa. E ciò attraverso due tappe. La prima consiste nell'individuare la pace internazionale, o "pace esterna" (la pax gentium), come voluta dal comandamento di Dio, pernoi oggi. Ciò sta adire due cose: 1) la pace internazionale, il supertamento del rischio della guerra, non è la realizzazione della pax prufunda, della pace evangelica legata all'idea veterotestamentaria di shalom, non è un'anticipazione del Regno. Dunque ha un valore relativo. 2) Questo valore relativo può però diventare assolutamente vincolante in un determinato momento e in una determinata situazione, cioè "per noi oggi". Compito del cristiano e della Chiesa è discernere quando questa situazione si dia. Che cosa comporterebbe disconoscere questa distinzione tra pace e pace, considerando la pax gentium stessa un'anticipazione del Regno? Comporterebbe pensare che la pace, per il fatto stesso di esserci e anèhe intesa come semplice assenza di guerra, realizza la salvaguardia della verità e della giustizia. Se la pace internazionale è valore assoluto, essa non può essere messa in discussione per motivi di verità e giustizia. Questa prospettiva, sostenuta a quel tempo soprattutto dalle correnti pacifiste anglosassoni, è per Bonhoeffer una pura illusione (GS I, 154). Il comandamento della pace non ha una cogenza sovratemporale, ma temporalmente condizionata. Per difendere verità e giustizia la pace può essere infranta, e può essere necessario passare dalla pace alla lotta. La lotta ne esce così giustificata, e con essa la rottura della pace internazionale. Ma con una precisazione subito aggiunta: giustificazione della lotta non significa giustificazione della guerra. Così come la giustificazione del diritto penale non comporta la giustificazione delta tortura. La guerra nari è un mezzo accettabile di lotta in vista della verità e della giustizia (dove va rilevato che Bonhoeffer lascia però nel vago in che cosa possa consistere concretamente la lotta sul piano internazionale). Non lo·è oggi, perché la guerra odierna significherebbe - lo prevedeva allora - annientamento di ambedue i contendenti. Annientamento non solo fisico. La guerra moderna è la guerra che nasce dalle fabbriche e dall'industria, è_laguerra-macchina. La tecnologia che partorisce guerra produce annientamento fisico, non produce quella che in questi giorni è stata chiamata "precisione chirurgica". Ma essa annienta l'uomo anche nella sua dimensione interiore, ne requisisce non solo il corpo, ma anche l'anima. Qui non ci sono vincitori e vinti, perché tutti sono perdenti. L'alternativa perciò non si pone tra essere a favore della guerra e del ristabilimento della giustizia da 45

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