Linea d'ombra - anno IX - n. 59 - aprile 1991

SAGGI/GAETA definitiva si tratta di costruire una nuova cultura 'in funzione dei bisogni vitali dell'individuo in quanto parte di una collettività, che ha un suo passato e un suo ambiente fisico e spirituale ben definiti. Ma perché questo avvenga, perché in definitiva si pongano i presupposti di una democrazia reale, occorre ripensare a fondo la nozione di diritto, quale si è sviluppata e imposta nella cultura occidentale moderna. Ed è precisamente a tal riguardo che il contributo dell'ultima Weil appare fortemente innovativo. Nelle pagine introduttive de La prima radice, la questione è posta con grande chiarezza. Ciò che qui Simone Weil sottopone a critica impietosa è la nozione di diritto elaborata dalla nostra tradizione giuridica, in forma tale da essere strettamente "legata a quella di spartizione, di scambio, di quantità". "Essa- scrive in un altro dei saggi di Londra - ha qualcosa di commerciale. Evoca in se stessa il processo, l'arringa. Il diritto si sostiene solo su un tono di rivendicazione; e quando questo tono è adottato, vuol dire che la forza non è lontana, dietro di esso, per confermarlo, altrimenti è ridicolo". Il problema è dunque spezzare questo legarne, e innanzitutto sottrarre il diritto alla forza; ma per questo occorre che esso trovi il suo fondamento non più in se stesso ma nell'obbligo, di cui è correlativo. Occorre che innanzitutto vi sia riconoscimento di un'obbligo, e che esso sia rivolto non ad astratte nozioni ma ai bisogni specifici dell'essere umano, nella sua realtà fisica e morale. Solo così viene data efficacia reale ai di.ritti: "L'adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi Io possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa". In definitiva, il problema è per Simone Weil di sostituire al primato dei diritti individuali la prospettiva della giustizia; ali' individualismo della moderna concezione giuridica un reale spirito di comunità, in grado di ispirare e permeare l'insieme della vita sociale; alla pura e semplice rivendicazione di diritti inseparabile da un certo uso della forza, il riconoscimento dei bisogni umani la cui soddisfazione è indispensabile, altrimenti "l'uomo cade a poco a poco in uno stato più o meno analogo alla morte, più o meno simile a una vita puramente vegetativa". Bisogni fisici innanzitutto, a cominciare dal più evidente tra tutti, la fame, ma poi bisogni relativi alla vita morale, la cui individuazione è più difficile, ma possibile, se si. comincia da quelli che "sono per la vita dell'anima l'equivalente dei bisogni di nutrimento, di sonno, di calore per la vita del corpo", quali ad esempio l'ordine, la libertà, l'ubbidienza, la responsabilità, l'uguaglianza, la libertà di opinione, la sicurezza, ' la verità. , Vale a dire che in definitiva diritto e obbligo vanno pensati come identici; essi sono una cosa sola, così come una cosa sola sono per Simone Weil Logos e Eros, cioè l'affermazione della propria ragione e l'amore. Solo così infatti il diritto può affermarsi senza far ricorso alla violenza, avendo costantemente presente il proprio bisogno e quello altrui. Questo non vuol dire che ogni conmttualità debba sparire e ogni identità vanificarsi; al contrario, conflittualità e identità si fanno più nette perché legate a bisogni non immaginari ma effettivi; e tuttavia il diverso, individuo o popolo, non viene umiliato, miscono-sciuto o annientato dalla logica della forza, ma riconosciuto dalla logica dell'amore nella sua alterità, cioè nei suoi bisogni e nelle sue ragioni di esistenza. AA IL GIUDIZIO DI BONHOEFFER SULLA GUERRA Alberto Gallas Sebbene ladistanza che ci separa da Bonhoeffer sia relativarnente ridotta rispetto ali' arco che dovrebbe coprire un'ipotetica storia dei giudizi sulla pace e sulla guerra, non ci si può rivolgere a lui sperando di trovare indicazioni direttamente trasferibili alla nostra situazione attuale, ma piuttosto per trovare un contributo alla migliore formazione del nostro giudizio. Questa, che è una premessa quasi ovvia, acquista una pertinenza specifica per il fatto che il legarne tra risposte ai problemi etici e situazione è uno dei punti forti che caratterizza la riflessione bonhoefferiana rispetto a gran parte della tradizione teologica, non solo cattolica, ma anche rispetto al contesto ecclesiale in cui Bonho'effer si è trovato ad agire. E poiché questo legarne non è solo sostenuto in teoria, ma anche rispettato' nella pratica, troveremo che il ·giudizio di Bonhoeffer sulla guerra si modifica, e anche sostanzialmente, nel tempo, sia a causa della sua maturazione personale, e dell'acquisizione di nuovi materiali e strumenti per il giudizio, che, soprattutto, per il variare della situazione. Non c'è dunque un giudizio di Bonhoeffer sulla guerra, ma c'è l'elaborazione di una serie di criteri per formulare nel modo più adeguato questo ~iudizio. Perciò procederemo cronologicamente, distinguendo tre fasi: I - la guerra come possibilità teorica II - il rischio di una guerra imminente III - la guerra in corso La guerra come possibilità teorica La soluzione etico-teologica al problema della guerra sembra essere una soluzione che si pone tipicamente a livello dei principi; una soluzione inoltre individuabile senza incertezze, qualora si intenda assumere come criterio della riflessione teologica la Scrittura, e non la tradizione o la ragione. La Scrittura infatti propone testi inequivocabili come, per quanto riguarda l'Antico Testamento, il V comandamento, "non uccidere"; e, per il Nuovo Testamento, come il Discorso della montagna, dove l'atteggiamento della mitezza e della non-resistenza al male (Mt 5, 39) viene ulteriormente radicalizzato: "avete inteso che fu detto agli antichi: non uccidere ... Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio" (Mt 5, 21-22). Non solo, ma la non-resistenza al male viene nel NT resa univoca, perché, come notava Erasmo, se è vero che le Scritture d'Israele 1 e, ancor più, le leggi pontificie, non condannano la guerra indiscriminatamente, è vero che le Scritture evangeliche (il Nuovo Testamento) insegnano ovunque che essa deve essere assolutamente bandita2 . Da ciò lo scandalo di un cristianesimo che, pur derivando il suo nome da Cristo, non è riuscito a bandire la guerra nella storia. Ma Bonhoeffer, nel primo testo in cui affronta il problema che ci interessa, obietta che l'apparente univocità di una soluzione che

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