Linea d'ombra - anno IX - n. 59 - aprile 1991

SAGGI/GAETA nel cu.i nome venivano bandite le crociate ed a cui si fa fatica a sottrarsi, è di nuovo uno strumento potente per impedirci di pensare a fondo la nostra reale condizione nei rapporti sociali, economici, politici e persino spirituali; perché niente sfugge di fatto, malgrado la buona volontà, ali' inquinamento dell'ideologia soprattutto se sostenuta dall'esercizio della forza. 2. L'adesione al cristianesimo e il rifiuto della Chiesa. Simone Weil ebbe già nel '33 il coraggio di avvertire i suoi compagni di lotta del fallimento del progetto rivoluzionario, a cominciare da quello intrapreso inUnione Sovietica. Naturalmente non le si diede ascolto, con le gravissime conseguenze che tutti noi oramai conosciamo bene. Non per questo smise di battersi con il corpo e con la mente. Si fece operaia per un anno agli altiforni e alla catena di montaggio, partecipò brevemente alla guerra civile spagnola, cercò con le sue Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale, di definire possibilità e limiti del marxismo, e quindi di porre su base nuova i fondamenti di una autentica scienza sociale. Ma intanto sempre più cresceva in lei la ,pel"cezionedi un divario incolmabile tra ciò che c'è di più alto nella vita umana: il pensiero e l'amore, e l'ordine sociale. Così scriveva nel '37, dopo la caduta del governo socialista di Léon Blum e m~ntre l'incubo della guerra si andava facendo sempre più prossimo: "La forza sociale è inseparabile dalla menzogna. Così tutto qùanto c'è di più alto nella vita umana, ogni sforzo di pensiero, ogni sforzo d'amore è corrosivo per l'ordine. [...] Da una simile situazione ogni uomo desideroso del bene pubblico ricava una lacerazione crudele e senza rimedio. Partecipare, anche da lontano, al gioco delle forze che muovono la storia non è possibile senza sporcarsi o senza condannarsi in partenza alla disfatta.[ ...] L'ordine sociale, benché necessario, è essenzialmente cattivo, qualunque esso sia". Da questa impasse apparentemente insuperabile, Simone Weil è uscita attraverso un duplice percorso, di cui i Quademi ci offrono una mappa straordinari amente puntuale e illuminante e su cui noi, oggi, dovremmo attentamente riflettere: interiore l'uno, intellettuale l'altro. L'esito primo e decisivo di questo percorso è per lei la certezza interiore che il dominio della forza in questo mondo non è illimitato, che anch'essa è sottoposta al la necessità, che essa trova il suo limite precisamente nella giustizia, indistruttibilmente reale in fondo al cuore degli uomini: "Questa - scriverà ne La prima radice - è la garanzia accordata ali' uomo, l'arca dell'alleanza, il patto, lapromessa visibile e palpabile su questa terra, il fondamento . certo della speranza". Certezza che, come ci suggerisce il linguaggio biblico di questa formulazione, coincide con la sua adesione piena al cristianesimo. Ma un cristianesimo dai tratti a tal punto nuovi da rendere impossibile la sua adesione al cattolicesimo. È questa, nella vita di Simone Weil, una seconda e forse più dura impossibilità, dopo quella che le aveva imposto di abbandonare il campo rivoluzionario oramai coperto dall'ombra del totalitarismo. Per altro la natura dell'ostacolo è sempre la stessa: nell'un caso come nell'altro la sua sensibilità e il suo pensiero· si scontrano con una concezione totalizzante della verità. Più precisamente si evidenza nelle sue implicazioni intellettuali, morali e sociali la contraddizione nella nostra cultura 42 ' . e civiltà tra giustizia e verità, tra individuo e società, nella misura in cui all'aspirazione alla giustizia, "indistruttibilmente reale in fondo al cuore degli uomini", si contrappone il monopolio della verità assunto da un corpo sociale; poco importa se questo si chiama Stato, Chiesa o partito, ea prescindere dalla denominazione che ciascuno- di questi si dà: democratico, socialista, -fascista, cattolico, protestante, ecc. Posta in questi termini, la contraddizione non è più tanto di ordine morale, come appariva nello scritto del '37 sopra citato, bensì di ordine innanzitutto storico e politico. E dunque la lacerazione morale che ne consegue se non è mai completamente eliminabile, è, almeno rispetto al grado della sua intensità, relativa; relativa al modello spirituale e sociale di società in cui ci troviamo a vivere, a pensare, ad agire. Così l'impasse personale del '37 appare a Simone Weil, ali' inizio degli anni Quaranta, come l'impasse storica della civiltà occidentale. Storica e strutturale, perché essa è stata lungamente gestita sin dall'antichità, e dunque il cattolicesimo ne porta una responsabilità primaria. Ai suoi occhi il cristianesimo ha subìto sii1dai primi secoli una muta7.ione radicale. perché ha inteso la sua vocazione cattolica, cioè universale, in senso estensivo piuttosto che intensivo: Ha ritenuto perciò di dover conquistare tutti a sé, vale a dire alla propria verità, piuttostcr che costituirsi come "ricettacolo universale", capace di "contenere in sé tutte le vocazioni senza eccezione". Di qui la concezione della Chiesa, già a partire da Agostino, come un corpo sociale portatore esclusivo della verità. E di qui nasce, a suo avviso, lo spirito totalitario che informa di sé gran parte della civiltà occidentale, e quindi il predominio in essa della società sull'individuo, e l'estrema difficoltàarovesciarequesto rapporto, malgrado i reiterati tentativi sempre di nuovo sfociati in nuove forme oppressive sia di tipo sociale sia di tipo economico. Simone Weil non aveva dubbi che capitalismo e socialismo rappresentassero le due facce di una stessa concezione della vita sociale, dal momento che in entrambi l'individuo resta una funzione della società, e più precisamente una funzione di quell'entità eminentemente astratta quanto onnipresente e onnipotente a cui abbiarno dato il nome di Stato e delegato il legittimo uso della violenza. A questi modelli sociali, tutti, tendenzialmente o attualmente totalitari, Simone Weil contrapponeva una concezione della vita sociale in senso

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