E dunque se un poco ci eravamo illusi di poter infine agire per costruire, liberando energie da sempre costrette nelle maglie delle ideologie contrapposte, dello spirito di parte, dell'arroganza del potere, dell'istupidimento del benessere fine a se stesso, della sordità all'immensa miseria che opprime gran parte del mondo, oggi ci troviamo di nuovo costretti a dover scegliere tra la resistenza e la resa. E cioè se abbandonarci al corso degli eventi e al puro gioco delle parti - parti più o meno già previste dal copione-, oppure resistere sull'ultima linea, quella oltre la quale non resta che l'incoscienza. Resistere; cioè innanzitutto comprende il più a fondo possibile le ragioni culturali e storiche che hanno fatto e seguitano a fare di questo nostro molto progressivo secolo una rappresentazione tragica di cui non si riesce vedere lo scioglimento. E non certo una comprensione accademica o da salotto televisivo, ma che si traduca necessariamente in comportamenti e azioni, tali da rendere quanto meno difficile ogni giustificazione alla cultura della violenza. Non dobbiamo sottrarci a nessuno sforzo per capire, e fare della nostra _comprensione, da soli o insieme, un'azione efficace. Una lettura di Simone Weil. Il percorso, esistenziale non meno che intellettuale, di Simone Weil credo possa esserci al riguardo prezioso. Se è yero, come essa scriveva, che "la guerra è la realtà più preziosa da conoscere, perché la guerra è l'irrealtà stessa", quella stessa irrealtà di cui è tessuta gran parte della nostra esistenza in questa società, rileggere oggi quel percorso in questo nuovo tempo di guerra dovrebbe insegnarci alcune cose importanti per illuminare la scena sulla qu·aJestiamo recitando. 1. Rivoluzione e totalitarismo: la crisi tedesca. Tra il 1931 e il 1934, l'esistenza e la riflessione di Simone Weil si svolgono, come per tanti militanti e intellettuali della sinistra, nel cerchio dalle due concezioni che dominano la questione sociale e la politica internazionale negli anni tra le due guerre: la rivoluzione e il totalitarismo. Concezioni nominalmente opposte, ma di fatto destinate a sovrapporsi e infine ad intrecciarsi, fino a · costituire il nodo strutturale della nostra epoca, il nodo che un anno fa sembrava infine in procinto di sciogliersi. È indubbio che la responsabilità maggiore di questa sciagurata contaminazione ricade storicamentf;! sullo stalinismo e sulla conseguente politica della Terza Internazionale. E tuttavia non va dimenticato, come per lo più si fa, che l'operazione intesa a disinnescare la spinta rivoluzionaria fu portata a termine all'inizio degli anni Trenta con il contributo decisivo sia della Terza Internazionale sia delle democrazie occidentali, grazie al loro convergente intervento nella soluzione della crisi tedesca, con la conseguente vittoria del nazismo. La disfatta d!'!llaclasse operaia tedesca fu immediatamente percepita da Simone Weil, che potè seguire da vicino Io sviluppo degli eventi in Germania nel '32, come l'infrangersi di ogni possibilità di dare forma a un nuovo e più giusto assetto sociale inEuropa. Gli interessi ideologicamente opposti ma politicamente convergenti del socialismo staliniano e del capitalismo - questa la diagnosi di Simone Weil - avevano ottenuto l'effetto di paralizzare la carica rivoluzionaria della classe operaia tedesca, "la più matura, la più disciplinata, la più SAGGI/GAETA colta al mondo", come essa la definisce. Si perdeva così un'occasione unica, d'importanza capitale per tutto il movimento rivoluzionario. Date le condizioni storiche in cui sarebbe potuta avvenire e come esito dell'unità di azione tra comunisti e socialdemocratici, la rivoluzione in Germania sarebbe stata per il futuro dell'Europa persino più importante della rivoluzione di Ottobre; avrebbe inoltre potuto sortire il salutare effetto di bloccare e invertire il processo di crescente burocratizzazionedell' apparato di Stato sovietico. La conseguenza fu non solo di bloccare definitivamente la possibilità stessa di un processo rivoluzionario in senso democratico e socialista nell 'Europaoccidentale, ma altresì di trasformare radicalmente la nozione stessa di rivoluzione, non più associata ai concetti di libertà e di giustizia, bensì a quello di potere totalitario sotto la veste del socialismo reale come pure dei regimi fascisti. In questo senso è corretta la cinica affermazione che si poteva leggere sul quotidiano tedesco Die Zeit al momento del crollo del muro di Berlino: "La lotta si è infine compiuta: soltanto adesso il destino iniziatosi nel 1933 arriva a termine: il vero futuro arriva adesso"; vale a dire che il nazismo, l'olocausto, una guerra mondiale e decenni di guerra fredda sono stati il prezzo da pagare per sconfiggere il movimento operaio in Germania prima, e quindi in Europa. Ma una terza e più grave conseguenza è derivata dalla sconfitta della classe operaia tedesca fino ai giorni nostri. Cioè il trasferimento della lotta dal piano dei reali conflitti sociali a quello dei conflitti tra Stati, ovvero tra blocchi ideologicamente contrapposti. Di fatto quarant'anni di conclamata alternativa tra capitalismo e socialismo è sostanzialmente servita a mascherare la contraddizione reale comune ad ambedue i sistemi, quella tra individuo e società. Non è certo per caso che noi oggi assistiamo al riproporsi dello stesso modello, ed in forma se possibile ancora più rozza e violenta. Quello che era in apparenza un conflitto tra sistemi politici alternativi è diventato un conflitto ancor meno credibile tra civiltà, la civiltà del diritto e della ragione illuminata contro quella del sopruso e del fanatismo religioso. Ebbene, questa spaventosa semplificazione, che ricorda da vicino quella 41
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