Linea d'ombra - anno IX - n. 59 - aprile 1991

è che una tale adesione al "movimento di classe" (e dunque di massa), lungi dal costituire di per sé il raggiungimento di una pienezza vitale in cui si adempiono le aspirazioni profonde del l'individuo, rappresenta piuttosto lo sbocco e la chiarificazione di un risentimento. Sono due cose molto diverse. D'altra parte, un uomo così sincero, il cui essere è stato ferito in modo così irrimediabile, non potrà mai trovare nell'azione politica quel pieno riscatto che cerca.L'organizzazione di partito, i comizi e le sfilare in massa, gli slogans della propaganda, le campagne elettorali, e persino la cospirazione e l'insurrezione armata, possono essere mezzi ottimi e necessari nel pensiero utilitario dei dirigenti, ma non mai esaurire il significato della sua esperienza. In fin dei conti, sono dei surrogati. E questo spiega, fra l'altro, la sproporzione penosa fra i sublimi sacrifici degli "elementi di base" e i risultati che si propongono o riescono a ottenere, i capi. Qui, la politica appare come un surrogato spesso irrisorio del sociale, ossia di quella comunione spontanea fra uomini coscienti del proprio destino la cui realtà sostanziale nozioni come "civiltà", "dignità", "eguaglianza", "fratellanza", "gentilezza di costumi" non fanno che indicare approssimativamente. Ora, si vorrà pure ammettere che nell'idea di "socialismo". c'è l'idea di "società". Fin dai suoi primordi, nelle concezioni dei grandi pensatori come nel sentimento delle comunità oppresse, "socialismo" ha significato anzitutto annettere un'importanza preminente all'uomo che vive in una trama di rapporti sociali spontanei, egualitari, "civili": solo per un tale uomo, infatti, i problemi della giustizia e della felicità hanno un senso. Le istituzioni, le attività governative, le lotte di fazione che SAGGI/CAFFI costringono, e spesso soffocano, la società, sono sempre apparse ai veri soc"ialisti o come escrescenze maligne da eliminare, oppure come un male necessario da limitare e circoscrivere al massimo. È d'altrà parte evidente che non c'è società la quale non sia "completata", sostenuta, o schiacciata, da una struttura politica, e per la quale quindi le questioni di governo come quella della guerra e della pace non abbiano un'importanza vitale. Una fusione completa del "sociale", del "politico" e del "religioso" fu realizzata solo nella città greca e, forse con minore armonia, nelle città fenicie, etrusche, latine. Mentre, in Occidente, il Comune medièvale s'è costituito come unione essenzialmente sociale e laica, e non ha raggiunto che in prosieguo di tempo, e solo in una minoranza di casi, la forma di corpo politico (Repubblica). Ed è anche la preminenza del fenomeno "sociale" nel carattere personale del rapporto fra signore e vassallo che distingue, tra il secolo IX e l'XI, il feudalismo occidentale da formazioni molto più "politiche", o anche "teocratiche", che s'usano designare con lo stesso termine: da una struttura sociale come quella del Giappone, per esempio. Platone ha naturalmente adattato la sua visione di una società "perfetta" alla forma di una città ellenica; diciamo pure che, di tali forme, egli adottò iItipo "laconizzante", conforme a certi pregiudizi degli ambienti aristocratici da cui proveniva. Ciò gli ha valso, fra le altre, le severe ramanzine del professor Arnold J. Toynbee. Ma ci deve pur essere un malinteso, quando si arriva a immaginare il maestro dell'Accademia come una specie di conservatore ten-orizzato che avrebbe concepito il poco intelligente progetto di fissare una volta per sempre la vita dello Stato e della società, imponendole la tetraggine di una disciplina immutabile. Si può discutere se Platone abbia avuto ragione o torto di diffidare della felice concordanza fra la socievolezza più libera, più civile e più umana da una parte e, dall'altra, il regime democraticò ateniese quale lo elogia Pericle nel suo famoso discorso. Comunque, dopo le terribili prove e il disastroso bilancio della guerra detta del Peloponneso, non era certo irragionevole pensare che il fiorire .della società attica era troppo legato ali' espansione imperialista e ai contrasti di ricchezza che avevano provocato sia i massacri di Corcira e d'Argo sia il regime di terrore instaurato da Crizia ad Atene. Ora, la preoccupazione che anima la Repubblica (il cui tema, non dimentichiamolo, è la "giustizia") è come si possa preservare la civiltà ellenica dai funesti effetti della volontà di potenza, della sete di guadagni, della troppa ricchezza e della troppa povertà. Ma prospettive ancor più vaste e minacciose assillavano la mente di Platone: sotto i suoi occhi, la polis si disgregava; i costumi, le istituzioni politiche, la vita spirituale non si accordavano piu che a gran pena; gli interess.i particolari si opponevano al bene comune; l'alta cultura filosofica perdeva il contatto con le credenze popolari. In un passo della famosa V/I Lettera, Platone poteva scrivere: "La legislazione e i costumi erano a tal punto corrotti che io, che dapprima ero stato pieno d'ardore e di desiderio di lavorare al bene pubblico, riflettendo sulla situazione e vedendo come tutto andava alla deriva, finii col rimanere come stordito ... Alla fine, 37

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