porta via altri.•E resta il silenzio: di un pazzo, di un rinchiuso che grida la sua rabbia al mondo traditore, alla vita che non rispetta le sue promesse (e dovrebbe anche gridare a quell 'infinito che non si rivela, che si nasconde) e il lamento: di una ragazza, un personagg_ionuovo e doloroso- che ha solo un rapporto marginale con la storia ma che, prima o poi, ha creduto, anche lei, nella diversità di Quinnipak -, una ·puttana che paga col corpo il suo biglietto di sola andata. per un continente nuovo e già corrotto per il modo in cui si popola, un mondo che suscita voglia e paura: l'America. Più che trionfo del sogno, rinvio, o rinuncia. O soltanto CONFRONTI il moderno, il macabro malinconico moderno che accetta solo i sogni rimunerativi e scambia l'infinito con il potere e il denaro e il successo (tutte cose che Baricco non dice, ma che mi pare figurino _nel suo libro all'appendice che non c'è, dopo quella parola America che è la parola fine). Si è sempre divèrtiti e presenti, alla lettura di questo romanzo; se ne è sempre avvinti anche quando si sente scricchiolare qualcosa di minimo ma non poi troppo: certe aggettivazioni superficiali, una scrittura talora facile, che rimanda a un quotidiano no~ benvenuto, e dovrebbe, e non gli riesce, di sollevarsi o far TanJIOe galera. Chr1stopliHeine il passatodella Ddr Chiara Allegra L'ultimo libro dello scrittore dell'ex Ddr Christoph Hein, Il suonatore di tango, è stato pubblicato da E/O nel 1990 (con traduzione e postfazione di Fabrizio Cambi) e scritto l'anno precedente. La data non potrebbe essere meno casuale: la grigia colata di cemento socialista che seppelliva i paesi dell'Est europeo non scricchiolava ancora nemmeno, e di lì a pochi giorni si sarebbe sgretolata, improvvisamente e inaspettatamente per quelli che vi stavano sotto, che vi stavano sopra e che vi stavano accanto. La testimonianza di Hein appare quindi in una certa misura anacronistica, superata in senso stretto dagli eventi. Penso tuttavia che ci siano dei buoni moti vi per leggere Il suonatore di tango: a prescindere da quelli di carattere letterariò, è vero che l'esperienza della dittatura, dello squallore della vita quotidiana in una dittatura, non è scomparsa, non solo perché ne restano molte altre (anche nell~st europeo), ma anche perché gli uomini e le donne che l'hanno provata e che ne sono rimasi inevitabilmente condizionati ora vivono tra di noi più fortunati occidentali, che abbiamo bisogno anche di libri simili per sapere, per capire, per riflettere. La vicenda di Hans-Peter Dallow - il protagonista di quest'ultima opera di Hein; già noto in Italia per L'amico estraneo e La fine di Horn - è comunque sfasata storicamente rispetto al 1989. Siamo infatti nella Ddr del 1968, e Dallow è appena uscito di prigione, dove ha scontato una condanna a ventun mesi per aver accompagnato al pianoforte una canzonetta satirica nei confronti del regime - di cui egli tuttavia ignorava il testo - in un cabaret di studenti. Non è un tipo simpatico questo Dallow, come non lo sono i protagonisti dei precedenti libri di Hein. La prigionia, la frustrazione per l'ingiustizia subita, ma anche più globalmente un senso di squallore profondo che si è 28 impadronito di lui di fronte alla propria esistenza, lo rendono arido. Come molte vittime. Esemplari sono da questo punto di vista i suoi rapporti con le donne, che Dallow cerca per una notte, lasciandole prima del lòro risveglio, per non doverne vedere il viso; esemplare è la vicenda finale del romanzo, quando Dallow sente alla radio che il governo della DDR, con un improvviso voltafaccia rispetto alle posizioni sostenute fino al giorno prima, ha mandato anche le proprie truppe a reprimere la Primavera di Praga, e l'unica sua reazione è il desiderio erotico nei confronti della "studentessa un po' grassoccia e bassa" che con lui ''ascoltava le notizie sconcertata" e "sconsolata si asciugava le lacrime con la mano" (p. 154). Squallore e freddezza sono evocati anche dalla tecnica narrativa, che si sofferma sui dettagli materiali di un mondo sporco, incolore, scrostato, fatto di oggetti ripetitivi e fuori moda e di persone rassegnate o ciniche o ·impaurite o anche strambe, imprevedibili. Le migliori sono comunque le figure femminili, che si riservano la facoltà di dire di tanto in tanto quello· che pensano, di essere sincere, Christoph Hein !foto di lucindo lombton). tutt'uno con l'ambizione del resto, poiché I' autore non ha trovato ancora la sua grazia e i I suo peso in mezzo alle parole ma se li porta appresso da altrove, e non riesce a trasfonc;lerebene le idee e le note in armonia di parole, mentre gli riesce benissimo di trasfonderle in azioni, come riesce a qualche solitario sceneggiatore provetto e ispirato. Ma certo pochi scrittori hanno (e son mossi da) questa molla, questa rivolta proprio giovane, dei giovani (rari) toccati dall'insoddisfazione dei "matti" di Quinnipak. Nei confronti non di questa o di quella ingiustizia ma dell'ingiustizia prima ed essenziale, sociale e metafisica, del l'esistenza. anche sgradevolmente, o idealiste, o sentimentali. La prosa è arida e secca, a tratti anch'essa sgradevole, allinea frasi brevi e fortemente pausate con il tono della cronaca distaccata·, e assume maggiore drammaticità - ma non minor sconforto - nei dialoghi. I sentimenti che dominano Dallow sono quindi tutti di segno negativo: la paura e il fastidio per i due poliziotti della Stasi con le loro untuose proposte di collaborazionismo; il senso di vuoto interiore di chi non sa più riabituarsi a una "libertà" che consiste nel non fare una serie di cose vietate e nel fare invece necessariamente la serie di quelle obbligatorie; il rancore verso il giudice che lo ha condannato in fondo casualmente, perché, come gli spiega l'ex collega Roessler: "È stata una storia stupida (._..),mandarti in prigione per quello che è stata una reazione inutile e sproporzionata. Era un periodo di grande tensione quello, si fiuta.vano nemici dappertutto e si reagiva in modo isterico" (p. 29). Ma anche l'allineatissimo Roessler, che è subentrato a Dallow sul posto di lavoro, sarà vittima a sua volta di "una storia stupida", perché sosterrà incautamente la linea politica valida fino al giorno prima, giudicando "una nuova provocazione degli occidentali" (p. 157) la notizia dell'intervento delle truppe tedesco-orientali a Praga: e quando, subito dopo, andrà ad autodenunciarsi, scoprirà che il direttivo sa già tutto e ha già preso provvedimenti contro di lui. Il destino degli essere umani lo decide la stupida casualità, per cui uno affonda e l'altro inaspettatamente risorge calpestando il primo (come accade a Dallow nei confronti di Roessler alla fine del libro); e non potrebbe essere altrimenti se "evidentemente l'intero paese sta con un piede in carcere. Fatta eccezione per i detenuti e per gli ufficiali giudiziari" (p. 66). Il carcere è la metafora per indicare un intero paese; ma è soprattutto una condizione di vita di cui Hein dichiara che non si può riuscire a fare a meno: "Avvertiva la mancanza di quel particolare senso di protezione, di quella vita che ammetteva,.eccezioni, in cui si provvedeva a ogni cosa, tutto compreso.( ...) Eora'sentiva la mancanza di quell'ordinata scansione quotidiana e di quelle norme, sentiva la mancanza della routine che non richiedeva né di pensare, né di prendere decisioni. E forse la mattina non si alzava solo perché non c'era nessuno che sbattesse le porte e glielo ordinasse con comandi rochi e incomprensibili" (p. 89). ·
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