Linea d'ombra - anno IX - n. 59 - aprile 1991

CONFRONTI Urbino-Roma,anni '50. Unromanzo d'epoca di PaoloVolponi Goffredo Fofi Dei giovani che attraversano questo romanzo di formazione tenuto per trent'anni nel cassetto -La strada per Roma ,Einaudi, p. 423, L. 30.000 -, uno dei molti, probabilmente, di un autore tellurico, il protagonista è Guido, bello, per l'epoca un benestante piccolo-borghese, con un ectipogrande come una casa e maschilista la suà parte, che smania per pagine e pagine di lasciare la natìa Urbino e alla fine si decide, avviandosi a una bella carriera di dirigente in banca, di nuovo padrone-funzionario. L'amico Ettore è studente di magistero, maestro supplente, assai più di sinistra di Guido senza essere comunista; vota nel '53 per Parri, mentre Guido vota repubblicano e il terzo amico, Alberto, che l'autore tiene sullo sfondo e fa presto finire nel Belgio delle miniere, è proletario e quasi comunista ma soprattutto pieno di malattia e di disagio. AGuido, quando alla fine i due sidistaccano per davvero, Ettore dice, passata l'infatuazione adolescenziale per l'amico più fortunato e sveglio, che lo considera uno "strano animale... un Lucifero...con l'aria del cattolicesimo...un ricco laico, un laico ricco... un libertino egoista" (p. 402), ma ancora un po' lo idealizza, poiché davvero questo Guido ci appare da subito come un non-eroe, un personaggio privo di qualità, un negativo molto normale, un vitellone di quelli che sanno proteggersi e trovare, alla fine; la strada per Roma e per quell' attivismoopaco che è detto carriera (cioè l'accodarsi a carri, qui di presunti "rinnovamenti" para-istituzionali). Questo Guido è insomma decisamente antipatico; è esistito e l'abbiamo conosciuto (continuiamo a conoscerne tanti, e a trovarceli davanti tra i mezzo-arrivati o gli arrivati mezzo-noti, anche nei partiti e perfino nei movimenti!), emblema di quel "progresso senza avventure" o di quel "tutto cambi perché nulla cambi'' çhe sono tutto l'arco del dilemma dei nostri "riformatori" ufficiali. Proprio non riusciamoa vedere in lui nessun fascino, neanche (o tantomeno) perché assomiglia a Tyrone Power. Neanche Volponi lo ama, Guido, ma in qualche modo deve pur riconoscervi qualcosa del sé di un tempo, secosì ostinatamente loscrutae racconta, senza riuscire, come anche Ettore, a prenderne del tutto le distanze. Prolisso sebbene compatto, La strada per Roma non sembra avere vero movimento-e in questo non è un romanzo propriamente tradizionale (come per esempio Il sipario ducale, tutto dentro le mura di Urbino ma in un'epoca che scuoteva anche quelle, o Il lanciatore di giavellotto, appena fuori le mura ma dalla mole ossessiva di Urbino dominato). Guido non è un Bel-Ami, come vorrebbe una sua provvisoria amante nobile e ambita, della schiattadei padroni antichi della città (e a proposito, davvero questi personaggi scopano con troppa facilità, Paolo Volponi fotografai~ do Giovanni Giovonnelti. per quegli anni e per Urbino!) e tantomeno è un Rastignac; e Volponi non vuole essere il Balzac di un'epoca di cambiamenti in cui poco sembra cambiare e, a ritroso, si sa che quanto è cambiato ha finito per volgersi in un nuovo orrore, determinato anche dalle speranze di progresso materiale portate avanti da tanti riformatori travolti poi dal successo di una società di consumo e di conformismo al cui avvento tutti hanno un po' contribuito. · L'assenza di vero movimento nel protagonista porta a µn' assenza di movimentodel libro, a una sua ripetitività. Il passaggioUrbino-Roma non ha la risonanza, mettiamo, di quella, della stessa epoca, tra Rimini e Roma insistita da Fellini in tanti film; il Moraldo felliniano aveva qualche disgusto, la sua ragione cli fuga dallo squallore della provincia era anche morale, determinata dalla ipocrisia e invivibilità della piccola borghesia provinciale degli anni Cinqllanta; e la scoperta della "dolce vita'.', il risucchiamento tlaianiano di Moraldo nel bailamme romano degli anni del boom era sotto il segno di una e più delusioni. Al contrario di Moraldo, Guido non sembra avere ideali che si infrangono ma velleità che riescono, anche se confuse, ed è come se il suo destino sia da subito segnato, senza vere soluzioni di continuità, tagli. I due anni di cui parla Ettore (ap.388: "Qui (a Urbino) si campano due anni: quelli dei vent'anni: la gioventù si consuma a immaginare, a fare scale di giustizia; per due anni brucia che scottano i muri: dopo comincia un periodo di latenza e dopo questo si riconoscono i poteri e si scelgono quelli da servire") offrono a Guido chances che a Ettore (e a maggior ragione ad Alberto) non sono date per motivi di appartenenza di classe; ma la sua vera e sola chance è quella di chi sa istintivamente riconoscere subito i poteri, senza gran periodo di latenza. Questa inerzia che torna su se stessa, questi incontri che non sconvolgono o fanno crescere ma che confermano, che sanno solo rendere più cinici e più astuti, rendono il libro necessariamente plumbeo, e la nebbia che avvolge la "misura" di Urbino, la sua eleganza, sembra avvolgere a tratti anche la pagina, che torna all'immutabilità dello scenario, del sipario mi- •nuziosamente descritto, come a una prigione. Sembra presiederle quella non segreta nostalgia armonica che presiede all'a·moredi Volponi per Urbino, al suo non riuscire a distaccarsene in fondomai, pur nella coscienza della sua miseria (comune oggi a quella di tutto il paese, non più diversa; e oggi anche dentro l'equivalenza provincia-metropoli, sul piano dei consumi e dei costumi). È costante, nel linguaggio del romanzo, nelle descrizioni bellissime della città e del contado, una 1inascimentale idealità di ordine, di armonia e di misura quasi da età dell'oro, negatadalla cultura dell'epoca, dall'accidioso o volgareannaspare dietro ad ambizioni meschine dei suoi abitanti e dei suoi giovani meno depravati, o talvolta, negli eventi più alti o dolenti, qui, in La strada per Roma, solo di sfondo, da una sorta di esterna fatalità che si connota anche come prevaricazione sociale, peso delle norme. Ed è curioso come l'oscillare di Volponi tra iomanzi compatti e romanzi travolti da una sorta di virulento espressionismo, si riconfermi come una divaricazione anche nei romanzi inediti. Le mosche del capitale, bello e irritante nella sua incompiutezza e nella disparità dei suoi risultati capitolo per capitolo, nel rifiuto di controllare una materia troppo convulsa, e pieno di pagine o capitoli di visionaria acutezza, fa così da contraltare a La strada per Roma e riconferma questa dualità non risolta nella vocazione di scrittore di Volponi. Essa aveva forse trovato un puntodi fuga e di uscita-però non più seguito, anche, probabilmente, per le resistenze della critica volponiana "ufficiale" - nel suo romanzo più visionario, filosofico-fantascientifico, Il pianeta irritabile. Ma sappiamo bene come a Volponi giustamente importi la realtà del paese, il suo immediato passato o il suopresente e i suoi destini. La ricerca di un equilibrio sembra, per il paese, vieppiù allontanarsi, una nuova passione civile fa fatica, sempre di più e non solo per Volponi, a trovare strade, modeili, idealità, "tnisure". Aspettiamo così questo scrittore così importante per noi e per il panorama sempre più povero e meschino delle nostre lettere, non solo alla riproposta di manoscritti lasciati da parte, importanti ma per definizione datati, ma anche al varco di imprese "attuali" che è tra i pochi ad avere le forze per affrontare. Alla ricerca difficile e certamente poco gratificante ma, se così si può dire, doverosa, di un romanzo presente, da ritrovare o trovare, da definire, da saggiare e da "misurare".

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