Linea d'ombra - anno IX - n. 59 - aprile 1991

CONFRONTI tregua, ma una persona' adulta a cui chiedere uno sforzo di intelligenza. A cui mostrare finalmente le cose e non più i discorsi. sulle cose. Da troppo tempo il cinema sembra voler abituare lo spettatore a guardare solo alle regole e ai meccanismi che possono rendere qualcosa desiderabile, dimenticando così la concretezza tutta quotidiana di quello che pòtrebbe essere davvero un oggetto del desiderio. Da quando il gioco della rappresentazione cinematografica è diventato il nucleo portante del cinema degli anni Ottanta, ci si è preoccupati sempre meno di utilizzare i film per aprire gli occhi sul mondo. La scommessa adulta di Costner è proprio questa: quella di riuscire a costringere lo spettatore a guardare ancora una volta al west e al western, a riscoprire con occhio nuovo qualcosa su cui sembrava si fosse già detto tutto, si fosse già fatto vedere tutto. E non mi riferisco solo alla carica dei bisonti filmati al chiaro di luna o ai volti dei sioux finalmente senza fondotinta da pelle rossa. È un atteggiamento più generale, che rimette in di cussione alcune (false) certezze post-moderne e che riporta in gioco la possibilità di usare il cinema per la sua forza di lavorare sulle immagini e non solo sui meccanismi di questo processo, recuperando in un film proprio la forza delle immagini (utilizzate per rappresentare realmente e concretamente qualcosa d'altro:-qui addirittura l'Altro stesso-senza dover rispecchiare narcisisticamente il propio Io). il procedimento più estremo e propositivo (dimostrare, cioè, la possibilità di un rapporto con lo spettatore diverso da quello codificato dal sistema produttivo) Balla coi lupi porta il suo contributo alla possibilità di riaprire un nuovo rapporto del cinema con il realismo, con quel fondo di credibilità fantasmatica che i film possono rischiare di perdere. Per esempio, riallacciando un rapporto con una certa tradizione americana del cinema;quella che si può esemplificare, per restare al western, soprattutto con certi film di Vidor (l'aspetto materiale e vivente della natura, l'attaccamento agli sforzi quotidiani e concreti dell'uomo). Dedicando quasi due terzi del suo film a riprendere la · concretezza delle cose, i volti dei sioux e il colore del cielo, lo scorrere .del tempo e la bellezza dell'erba, la difficoltà della · conoscenza e la gioia dell'amore, Costner sceglie di utilizzare il suo film per ridefinire (con tutto il pragmatismo della tradizione culturale americana) non tanto la realtà, ma l'approccio che si può avere con questa realtà, cominciando proprio dal fare piazza pulita di tutto quel gioco di griglie, ideologiche·Ò sentimentali, che sempre di più interferiscono tra la percezione e· la rappresentazione, riproponendo con forza il nodo centrale del cinema, quello di scegliere tra una possibile funzione distraente e una più realistica, più lega~a al mondo in cui si vive. Senza pensare che il cinema possa più essere un testimone di questo mondo, ma sperando che possa aiutare a riflettere su come certe Sottolineando la crisi della cultura hollywoodiana attraverso idee prendono forza. • Storie per dovere e storie per piacere: la letteratura italiana secondoDossena Paolo Giovannetti Sono proprio convinto che ai lettori di "Linea d'Ombra" ben poco importi del di)Jattito che inquesti ultimi arini(diciamo: da unaquindicina , a questa parte) si è svolto intornoali' opportunità e all'utilità della storia letteraria, e della storia della letteratura italiana in particolare. E meno male che le cose stanno così, dopo tutto: se è vero, come credo, che raramente un argomento è stato affrontato con tanto impegno teorico, e con risultati pratici (leggi: prodotti effettivi, c.ioè stqrie letterarie realmente scritte e stampate) a tal puntoscadenti ocomunquediscutibili,capaci miracolosamente di lasciare tutti insoddisfatti: addetti ai lavori in senso stretto, studenti e fantomatici lettori comuni. Non sto scherzando: lo sforzo di sintesi ideale è stato in effetti alto, e abbiamo assistito a discussioni molto belle e dotte e esaustive, ad approssinJazioni teoriche che sulla carta erano inaccepibili; ma insomma provate pure, uno di questi giorni, a studiarvi o a leggervi da soli una storia letteraria di quelle nuove, e mi saprete dire. Si potrebbe a lungo discutere della faccenda; magari anche per scoprire che in realtà a n·e·ssuno(studiosi studenti lettori) le storie letterarie realmente interessano, e che sono viceversa re caseeditriciad appetiresimiliopere,giacché gli editori sannochecomunquequellaè roba che si vende, che un mercato ce l'ha sempre. Infatti, comepermiracolo, lagrandeoperapuntualmente ha il suo smercio: un po' come le enciclopedie, evidentemente, la storia letteraria è quella cosa che si mette in bella vista dentro una libreria, la si. lascia lì a troneggiare - amorevolmente spolverata a intervalli regolari - per qualche decennio, forse proprio per assaporare lungamente il piacere di non averne assolutamente bisogno.Tanto, si sa, "servirà ai figli". E sarebbe pure sbagliato fare del moralismo sull'argomento: grazie alla prassi del libro-soprammobile tante emerite case editrici riescono a sopravvivere,e così almeno lo specialistapuòusufruire (ma gratis, in biblioteca) di repertori di consultai.ione, come tali spesso utilissimi. Giampaolo Dossena, da parte sua, non ha cercatodimistificare,dal momentochele ragioni editoriali della sua storia letteraria le ha dette fin dall'inizio, senza ipocrisie: "La casa editrice Rizzali mi ha chiesto di provare a scrivere una storia confidenziale della letteratura italiana...". E poi a nessuno, guardando la copertina; il formato, la veste, appunto della Storia confidenziale della letteratura italiana, verrebbe da credere che si tratti di un'opera scientifica, metodologicamente agguerrita, innovau·ice. Subito si pensa a una stupidaggine alla De Crescenzo, ai dilettantismi insopportabili e Sllpponenti di Enzo Siciliano. Insomma a quella incapacità di divulgare tipica della cultura italiana, che non riescea togliersi di dosso i pannidell'accademia, se non per ricrearne una minore, su·acciona e involontariamente parodica (come nel caso di Siciliano), oppure per produrre vacuità tanto narcisistiche quanto cono·scitivamenteinutili, e nemmeno u·oppo divertenti (il filosofume decrescenziano). Infatti quasi tutti sanno (il progetto è ormai giunto al terzo volume, Il Quattrocento, pp. 326, L. 30.000) che la Storia confidenziale della letteratura italiana è sotto molti punti di vista un'opera scientifica, metodologicamente agguerrita, innovatrice. Intanto, dobbiamo tenere presente che Dossena è uno che della letteratura italianaha un'ottima conoscenzadi prima mano, non dilettantesca e anzi proprio filologica, rinforzatadal fatto che l'autore nel tempo libero, da un quarantennio a questa parte, si occupa attivamentedi critica a livello anchemolto alto. NienterozzebanalitàallaMontanelli,insomma:dietro i giudizi anche più paradossalie umorali, non c'è affatto un atteggiamento riduttivo, un orecchiamento un po' becero, ma il fiuto pressoché infallibile di chi ha titoli pari a quelli di uno specialista universitario. Ma molto più importanti sono due altri fattori, ben documentati dal lavoro di Dossena, e invece clamorosamente trascurati da una parte notevole degli storici letterati italiani di ruolo (almeno da quelli che hanno lavorato negli ultimi anni). Qui, nella Storia confidenziale della letteratura italiana, c'è un punto di vista critico bendefinito, con i suoi valori,con lesue passioni e le sue idiosincrasie; e contemporaneamente c'è un'idea - altrettanto ben definita- di che cosa significhi parlare di storia, disporre in una serie diacronica i fatti e le opere di una civiltà letteraria. Sembrano ovvietà, si pou·ebbe obiettare, e infatti lo sono: per fare storia della letteratura bisogna comunque esprimere un punto di vista tispetto ai valori estetici e rispetto alla storia, bisogna avere un'idea di ciò che in letteratura e nell'arte vale (di ciò che val la pena leggere), ed è necessario possedere aicune opinioni o con-

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