Linea d'ombra - anno IX - n. 59 - aprile 1991

CONFRONTI L'oltraggio di cui parla Bacon potrebbe essere la forma in cui prende corpo un vero e proprio rapporto ·sadomasochistico fra l'artista e la cosa dipinta - fra l'artista e il dipingere. Come se, ponendosi a rappresentare - ponendosi a rappresentare un personaggio, il mondo - l'artista non potesse non assumere la parte dell'insensatezza. Come se il pittore mettesse in scena l'insensatezza impersonandola, letteralmènte, facendola apparire nei propri gesti-in quei gesti duramente aggressivi nei confronti di un corpo che sembra, proprio per come è fatto, disperatamente proteso verso un senso. E, nello stesso tempo, come se il pittore ritraesse se stesso identificandosi con il corpo-vittima: con quella figura sacrificata nell'attimo e nell'atto in cui.è dipinta. L'oltraggio di cui parla Bacon potrebbe essere l'oltraggio che viene portato a una cosa o a una persona per il fatto stesso di "registrarla", di rappresentarla. Come se registrarla o rappresentarla, quella cosa o quella persona, volesse dire costringerla a uscire al buio in qualche modo protettivo, per venire a mettere in mostra, sulla scena illuminata della pittura, la propria forma martoriata. Ci sono stati momenti, o epoche, dice implicitamente Bacon, in cui era possibile rappresentare la realtà senza oltraggiarla. "Dipingere è un'attività dominata dal caso." "La pittura è legata al caso." Bacon parla spesso del caso, in queste conversazioni. E descrive come, molto spesso, lui getti una manciata di colore sul dipinto - per dare forma al caso, e per seguirne, magari, i suggerimenti. Il ricorso al caso sembra, in Bacon, un tentativo per l)SCire dall'insensatezza attraverso l'insensatezza - un tentativo per produrr~, mediante l'insensatezza, qualcosa che assomigli a un senso. (E, in fondo, il meccanismo del gioco d'azzardo. Bacon ha sempre praticato con passione il gioco d'azzardo. Lo aveva fatto anche Dostoiewski). Bacon, in una di queste conversazioni, dice: "L'uomo, oggi, è, e lo sa, un essere puramente contingente, del tutto futile, costretto a un gioco estremo e senza senso." "La brutalità delle cose": questo è il -titolo di questo libro nell'edizione italiana. Il titolo originale è "The brutality offact". La brutalità delle cose in quanto "fatte". La brutalità del farsi delle cose. La brutalità con cui "l'essere in quanto fatto" appare e ci si mostra e si fa conoscere da noi. La brutalità della "natura". La brutalità dello stesso fare - come se ogni fare, per noi, volesse dire, comunque, aggredire e come se ogni "esser fatto" volesse dire, comunque, "patire". La brutalità della tecnica. La pura e· semplice brutalità del niente davanti ai nostri occhi, la concretezza brutale del niente ... (Perché forse è proprio la parola "niente" che in qualche modo rivela il senso della parola "brutalità" come è usata in questo titolo-e come Bacon la usa parlando, a proposito di Picasso, di "brutalità realistica"). Certo che in un momento come questo, di arte neo-minimalista e neo-concettuale e neo-qualsiasi cosa, a dare un'occhiata a questo libro si prende una bella scossettina. Ma forse farebbe bene a ]110lti. A volte, sembra che le facce dei personaggi di Bacon siano alterate da una specie di trucco di scena. Viene da pensare a certi personaggi del teatro di Beckett. Cosmesi del clown ... Effetto comico ... I bianchi siamo noi Balla coi lupi: più che un film Paolo Mereghetti Con le sue tre ore di durata, Balla coi lupi s1 impone immediatamente come un caso a parte nella produzione cinematografica dell'anno, da affrontare con un po' più di attenzione di quella, distratta, messa in mostra dalla maggior parte dei critici italiani, tutti più o meno appiattiti sull'idea che il film di Kevin Costnerè un "falso capolavoro", "un filmmanicheo ... che dopo tante demonizzazioni degli indiani ne propone il rovesciamento con ingenuo fervore da canzonetta", "facile da amare se ilcopione avesse resistito alla tentazione degli stereo ti pi", e così di se·guito. (Bisogna aggiungere che questa supponenza sarebbe stata certamente diversa.se il film non avesse ricevuto 12 nomination all'Oscar? Che la più inossidabile delle idee critiche nazionali è ancora quella per cui un film americano che ha tanto successo e che rischia di conquistare qualche statuetta deve per forza essere brutto, falso e ideologicamente dubbio? E che queste pseudo-idee sono sostenute dalle stesse persone che applaudono i premi tutti italiani dati a Berlino e scambiano l'abilità dialettica e diplomatica di un membro della giuria per "la conferma che il cinema nazionale è uscito dalla crisi"?) Comunque, proprio il livello dell'ideologia è quello che permette di affrontare meglio il senso del film e il suo funzionare da cassa di risonanza dell'immaginario cinematografico di questi anni Novanta. Di fronte alla macchina produttiva hollywoodiana (che ha contrastato questo progetto e non ha voluto esserne coinvolta economicamente obbligando la quotatissima star a rischiare del proprio) e al suo universo mitologico il regista Costner si è comportato come avrebbe fatto fare al protagonista del suo film, il tenente Dunbar: ritagliarsi un atteggiamento minimale, tutto in sottrazione, davanti all'incontro con l'altro. Star a guardare, cercare di imparare, sforzarsi di comunicare: non arrivare con la sicurezza delle proprie idee e della propria cultura, ma in punta di piedi, disposto a rimettere in discussione tutto· quello che aveva significato fino a quel giorno la sua vita (e in questa ottica si può capire il vero senso delle scene iniziali, fatte solo di guerra, di sangue, di violenza sugli altri e soprattutto su se stesso). A cominciare (per Costner) proprio dalla tradizione cinematografica che aveva sepolto definitivamente il western sotto la s_tessamontagna di ideologie che lo avevano rivitalizzato sul finire degli anni Sessanta: vedere il fallimento di Silverado se mai ce ne fosse bisogno. Balla coi lupi, invece, taglia decisamente con la tradizioi;iedel western "democratico e progressista", quella dei Penn e dei

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