ILCONTESTO Gli Albanesi sono 11 affini'' Oreste Pivetta Dopo le immagini della guerra (poche peraltro e per di più censurate e quindi spesso incapaci di riflettere il dramma di un popolo e di altri popoli vicini), le immagini di un esodo: quello degli albanesi, boat people testimone e testimonianza della fine di un regime e di una speranza rapidamente (forse troppo rapidamente) ·abbracciata, come se tutto e nel meglio si potesse risolvere in una traversata di pochi chilometri di mare. La grande fuga è stata facilmente rappresentabile: storia in fondo piccola e lineare, senza troppi conflitti al suo interno, esemplare del crollo atteso di un sistema (accrescendone gli aspetti oppressivi, di maniacale e totale chiusura) çircoscritta negli spazi materiali che è andata a occupare: la banchina di un portÒ'in uria città del Sud, qualche capannone, piccole imbarcazioni, poi le scuole. Nella memoria rimarranno le distese di teli di plastica, che ricoprivano corpi umani vivi, come in genere si usa con i cadaveri. La telecamera è andata a indagare con curiosità, persino con insistenza, adocumentare miseria, abbandono, disperazione, rifiuti, spazzature, sacchetti che raccoglievano e preservavano la vita passata e presente di ogni immigrato, bambini in lacrime, madri lontane, escrementi negli angoli. Come se appunto non fosse più sufficiente dire e non fosse possibile immaginare, mentre pochi giorni prima, nella guerra, le verità possibili sono state lasciate in balia della sensibilità o delle capacità deduttive di tutti noi. Tranne che all'ultimo, quando i giochi erano fatti, ma soprattutto per mostrare tendenziosamente le fasi di una resa: una resa profferta con gratitudine nei confronti di chi avrebbe dovuto accettarla (così il soldato iracheno può baciare le mani al marines, facendosi carico di una responsabilità non sua e lasciando cadere una dignità proprio sua), una resa ricambiata da una generosità vissuta come un premio, mentre in fondo poteva essere ancora considerata un diritto. ~ Ci sono momenti simili, vicini davvero, se solo si cambiano gli scenari: uguali sono rielladisperazione i volti, gli abiti strappati, sporchi e laceri (se si fa eccezione per qualche colore in più concesso agli albanesi in tempi non ancora di grigioverde militarizzato), le nere facce di barbe o di pieghe, rughe, scavi, di una fame presente che a noi sembra arcaica perché l'abbiamo da un tempo non lunghissimo ma lontanissimo dimenticata, lapazienza in quegli uomini accovacciati ad aspettare, gli occhi di un Sud del · mondo che si sono aperti sul Nord. Tra l'Italia e l'Albania si ripete un conflitto senza morti, senza cannoni, senza Patriot (anche se qualcuno, l'onorevole Bossi, magari li vorrebbe), esploso perché vi è uno squilibrio incolmabile con i mezzi correnti e perché, per fortuna, in alcuni casi, sono crollate barriere poliziesche, mentre un regime dell'oppressione va in fumo, si disgrega sulla spinta della sua incapacità, magari, come seriveva Arbasino, sulla spinta della televisione, che racconta in Albania o nella Rdt coine si vive in Italia o nella Germania dell'Ovest (anche grazie ?gli spot del Mulino Bianco: ma perché essere moralisti nei confronti di chi dalla parte della povertà invidia il consumismo che ci ha premiati? Se mai, per onestà, si dovrebbe essere meno ipocriti e confessare per onestà che il nostro modello non è poi tanto esportabile e neppure condivisibile facilmente: è, pur sempre un premio di minoranza). · La televisione, nella ripetitività delle immagini, può confondere· le idee, accumulando nella nostra memoria assalti ai traghetti cambogiani e fuggiaschi iracheni, profughi albanesi e tedeschi dell'Est prima della caduta del muro, ghetti palestinesi o villaggi kurdi (persino ghetti italiani dove capita di vedere rinchiusi ormai a centinaia i nostri "extracomunitari", marocchini, eritrei, senegalesi, eccetera, eccetera). Ma alla fine, nella confusione, ci insegna una profonda verità: come quèsta (dell'esodo, della fuga, dell'emigrazione di massa) sia una condizione del nostro tempo, sia forse nella sanzione di uno squilibrio e quindi di un dominio (persino attraverso una guerra "trionfale" per l'Occidente come quella in Irak) un vincolo sui futuri anni Novanta. Qualcosa insomma che non ci può cogliere impreparati (non capiterà più magari in Italia, ma la meta sarà comunque qualsiasi Nord ricco e vincente del mondo). Qualcosa al quale dobbiamo abituarci (attivamente, è ovvio, e non per spirito pseudo-evangelico di tolleranza: e quindi con una certa politica, una certa cultura, una certa informazione ...). Fa piacere allora leggere di un atteggiamento "solidaristico" espresso da molta stampa italiana (la solidarietà autentica era stata manifesta dalla gente di Brindisi n~lle solite forme spontanee, volontarie e per questo rapidissime) e persino di alcuni ravvedimenti celebri. Il primo pentimento è stato quello dell'onorevole La Malfa, che aveva tanto strillato contro la legge Martelli, accusata di spalancare le porte al Terzo Mondo, mentre ha bloccato qualsiasi accesso regolare in Italia, come si può facilmente dedurre dalle stesse argomentazioni del segretario repubblicano. L'onorevole La Malfa __: raccontavano le cronache dei giornali - è uscito dai capannoni-dormitorio, invasi dalla puzza, con il "volto terreo", protestando contro l'inerzia del governo (di cui mi pare peraltro sia assiduo sostenitore): è un''altra immagine, non so se ripresa dalla Tv, che può insegnare molto e aiutare molto, a proposito appunto di politica e di cultura (a meno che l'onorevole La Malfa non volesse di fronte a tante tragedie più o meno gravi, più o meno cruente, la guerra, l'invasione degli albanesi, l'arrivo dei cosiddetti extracomunitari, distinguere tra povero e povero, tra Sud e Sud, e preferisse, per ragioni ideologiche di bottega, tanto per dar ragione alle sue tesi, quel Sud che sta il più possibile .a Est). La Malfa - e anche questo è notevole - si è mosso con particolare celerità. È stato il primo tra i politici a presentarsi tra gli albanesi, provocando con la sua faccia allegra l'immediato ritorno di ben duemila a Tirana. Gli hanno preferito persino la statua di Hoxa. Si sono succeduti il ministro Lattanzio, Occhetto, Leccisi, persino la Raffai di "Chi l'ha visto", in cerca di bimbi smarriti e di coniugi separati. Tutti con le loro facce contrite a far spettacolo di sé davanti alla televisione sulle spalle degli albanesi. Il secondo pentimento notevole nella storia albanese è stato quello di Giorgio Bocca, che studia di pensarla sempre al contrario di quel che ci si possa attendere da lui, spirito laico, al di sopra di ogni sospetto, di ogni lacrima, di ogni commozione. SuRepubblica certificava in un ampio editoriale la sua ritrovata vena solidarista. Con la sincerità che gli è propria si interrogava: "Ma perché questi li accoglieresti senza star lì a discutete di leggi e di regolamenti e invece quelli che arrivano ·dall'Africa o dal Terzo Mondo, con altro colore della pelle, altre culture, altre religioni li vorresti contati e controllati?". Per rispondersi e per spiegarsi l'improvvisa generosità Bocca elencava la patria
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