Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

• SAGGI/BICHSEL intendo assolutamente sostenere che la stampa -debba in qualche modo essere uno strumento statale. La stampa non deve soltanto chiarire al popolo quel che è lo Stato, ma anche viceversa, deve rappresentare il pop0lo presso lo Stato. Quando dico "in fondo la 'Neue Zurcher Zeitung' lo fa in nome di chi rappresenta", lo dico come complimento. Un'altra cosa viene richiesta ai giornalisti, ed è la competenza tecnica. Anche questa richiesta, va detto, può essere illuminante. Certo, non c'è niente di male, ed anzi è auspicabile che un giornalista sia competente, ma se è semplicemente un esperto, uno specialista, cessa di essere un vero giornalista. In un certo qual modo il giornalista dovrebbe quasi essere uno che. non sa, sostenere le domande di chi non sa, scrivere in rappresentanza di chi non sa. Dovrebbe, anzi deve serivere di quel che la.gente potrebbe pensare, o vorrebbe pensare, ma non di quel che "deve" pensare. · ' Che razza di diritto umano sarebbe mai - la libertà di opinione - se fosse concessa solo agli specialisti. Chi vuole la libertà di stampa deve correre il rischio che venga utilizzata da tutti, anche da chi non ne è veramente in grado. Chi vuole la democrazia deve accettare di avere a che fare con tutti. Nel 1848 il coraggio di avere a che fare con tutti era ancora diffuso. Son convinto invece che probabilmente oggi non si avrebbe più il coraggio di dar vita alla democrazia, alla vera democrazia diretta. Lo faremmo con molte limitazioni e gradatamente, perché la popolazione non è ancora in grado di farlo. E, appunto, poiché la popolazione non è ancora pronta ma al tempo stesso noi disponiamo della democrazia, la stampa deve cooperare a evitare in tutti i modi che la democrazia prenda una strada trionfalistica e banalizzante. A chi non sta bene la democrazia, di certo non sta bene neppure la stampa. Torniamo ancora a Hollywood. I film americani sui giornalisti non sono una novità, e anzi sono un soggetto tra i più frequenti, e sono costruiti un po' a metà fra polizieschi e western; c'è il giovane redattore capo, fanatico per la verità e per i diritti umani, ci sono redazioni gigant1/sche con giganteschi ventilatori, un capo, un altro capo (superiore al primo), e sopra a tutti un padrone con sigari giganteschi ... confusione, bozze sparse, auto veloci, whisky, libretti degli·assegni, la cravatta slacciata ... Non sono l'unico che ha conosciuto la vita attraverso Hollywood. Non è possibile che questo cliché cinematografico ci si sia stabilmente insediato in testa? · Conoscete meglio di mei vostri colleghi: non ce ne sono forse parecchi che vivono sull'onda di questa sceneggiata da gran mondo, sentendosi metà lords inglesi e metà dei guerrieri, anzi, dei guerrieri veterani"americani? ' Sto insomma parlando del gigantismo. Siamo un paese piccolo, e il "dispiegamento di forze" della nostra stampa non può che esser modesto. Però siamo anche un paese ricco e influente, e i nostri manager, con le loro valigette, girano come trottole tutto il mondo. E i nostri giornalisti non sanno far di meglio che imitarli, preparare affannosamente le loro valigette e far finta di far parte del ·grande carro mondiale della stampa: finalmente, ecco un reportage dal Perù! Fantastico, al congresso di Sidney c'eravamo anche noi: il gran mondo con la nota spese, le agevolazioni, gli sconti speciali e tutto il resto: ·90 insomm·a·,qui non si parla più di specialisti, ma di veri e propri intenditori! Ci troviamo ai fronte a dei prodotti-stampa che puntano a un milione di lettori in un paese con quattro milioni di persone che parlano il tedesco; fra questi, diversi ancora non sanno parlare, mentre una gran parte no'nlegge. Così i giornalisti solidarizzano - vestiti, bevande, modo di pensare - con lo staff dìrigenziale della casa editrice, il quale pensa che la smania di crescita industriale possa applicarsi pari pari anche al settore dei giornali. Quando si trasforma in un manager della stampa, un giornalista ha cessato di esercitare la professione. Ma è suo diritto farlo. Insomma, non intendo parlare della non-indipendenza della nostra stampa. Perché, una volta per tutte, è già evidente. Preferisco parlare del gigantismo. Nel mondo della stampa svizzera non tira aria buona, non molto tempo fa però le cose andavano meglio. Solo le piccole testate possono cavarsela; intendo dire: possÒno stampare qualcosa di decente. Cosa pensate dell'espressione: "nel mondo della stampa svizzera c'è aria pulita"? Parliamoci chiaro, in uno stato come il nostro c'è una sola cosa che è peggio del suo essere monopolistico: il fatto che sia ànche "monogiornalistico". Gli editori non sono più giornalisti. Hanno smesso di scrivere e si son portati dietro, al piano-dirigenti, la libertà di stampa. Scrivere e libertà di stampa sono ormai due cose aistinte (tranne qualche piccola testata di sinistra.e - un po' controvoglia - la "Neue Zurcher Zeitung"). , Gigantismo: l'unico rimédio possibile per contrastarlo si chiama "ridimensionamento", un rimedio utopico. Non so neppure bene da che parte si potrebbe cominciare. Ma chi vuole che nel "mondo della stampa svizzera" torni a circolare aria davvero pulita, dève aprire delle piccole testate, e cioè non deve far altro che ridimensionare le testate svizzere sulla base dell'effettiva dimensione del nostro Stato. Certo, non voglio sminuire l'influenza dell'economia sulla nostra stampa. Ma non sono solamente-l'economia, gli inserzionisti e il disinteresse del pubblico a uccidere la nostra stampa, ma anche questa loro strana dipendenza dal gigantismo, e ai giornalisti non si può certo dare attestato di innocenza: il giornalismo da valigetta e nota spese non è migliore di quello da "libretto degli assegni". È ora di tornare alla nostra piccola Svizzera, è ora di tornare coi piedi per terra! Che almeno la stampa se ne stia al di fuori dalla .fama che si è fatta altrimenti la Svizzera a livello internazionale. Provate ad appendere dietro la scrivania la fotografia del fondatore del vostro giornale. Molto probabilmente sarà stato una specie di ras del paese con un grosso sigaro sempre in bocca, sarà stato un grande conservatore, ma ha fondato una piccola testata e ha esercitato un certo influsso in una piccola regione della Svizzera. Troppo facile dire tutto questo, lo so bene. Le condizioni economiche e tecniche sono cambiate. Solo una cosa non cambia mai: noi scrittori continuiamo a produrre nella stessa maniera arcaica di duecento anni fa. E un editore deve fare i conti con questo dato di fatto. Siamo sostituibili praticamente in tutto, tranne che come scrittori. La tecnica non cambierà mai un principio giornalistico, sarà solo un principio economico a farlo, e

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