Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

SAGGI/ JOANNUCCI Seguirono anni di deriva esistenziale e professionale. Algren vagò per l'America, unendosi a vecchi amici giocatori d'azzardo o ruffiani, bevendo e gioc·andoossessivamente. Fu ricoverato in un ospedale per una forte depressione, ma scappò dalla finestra. Non poteva neppure lasciare gli Stati Uniti e raggiungere Simone, che lo aveva invitato a Parigi: il passaporto gli era stato ritirato per motivi politici e gli fu restituito solo agli inizi degli anni Sessanta, con il nuovo clima politico. Il suo nuovo romanzo Passeggiata selvaggia (1956, trad. ital. Mondadori 1961) fu stroncato dalla critica. Anche l'ambiente letterario subiva inquegli anni gli effetti della caccia alle streghe e vennero alla ribalta, a dominare la scena letteraria, gli esponenti del New Criticism, una tendenza che rifiutava alla letteratura qualsiasi ruolo d'impegno e di critica sociale. Leslie Fiedler scrisse che Algren era "un pezzo da museo, l'ultimo degli scrittori proletari''. Calunniato come scrittore, perseguitato politicamente, fallito nella vita privata, Algren iniziò in quegli anni, alla fine dei Cinquanta, un lento e strano cambiamento. Decise che la letteratura così come lui la concepiva non aveva più né futuro né pubblico, che doveva smettere di essere "serio", di fare quel faticoso lavoro quasi "sociologico" di ricerca sul terreno con il quale aveva preparato tutti i suoi grandi romanzi; iniziò a scrivere racconti e saggi di ineguale valore, quasi sempre delle satire di quell'America del denaro e del potere che lo aveva distrutto. Adesso si considerava soprattutto un giornalista. Scriveva per soldi, dei quali aveva un continuo, famelico bisogno, poiché era uno straordinario sperperatore, al gioco, con le puttane, nei ristoranti. E assunse - così dicono quelli che lo hanno conosciuto negli anni Sessanta e Settanta - un atteggiamento di continuo scherno, di cinismo anche, di irrisione nei confronti dell 'American way of !ife. Dietro questa nuova identità di cinico e di "umorista", c'era ovviamente la grande sensibilità di un uomo che con coerenza aveva sempre difeso i deboli. Negli ultimi anni della sua vita scrisse reportage dal Vietnam e da altri paesi dell'Asia e lavorò a un libro sul pugile negro Rubin "Hurricane" Carter, accusato di un omicidio di cui si dichiarava innocente. Lasciò Chicago e si trasferì nel New Jersey, dove si erano svolti i fatti di cui Carter era accusato. Sembrava aver ritrovato il vecchio stile di lavoro e con esso la passione giovanile, ma il romanzo non trovò nemmeno un editore in America e fu pubblicato postumo. Algren si trasferì un'altra volta, questa volta a Sag Harbor, un piccolo porto di pescatori al nord di New York e lì morì nel 1981. Gli ultimi anni furono più sereni, perché era iniziato, insieme a un cambiamento di sensibilità in una parte della critica e del pubblico, un movimento di rivalutazione della sua opera, con numerosi riconoscimenti. Ne parla un poco anche Kurt Yonnegut nella sua introduzione a Mai venga il mattino (pubblicata nella nuova edizione italiana). Ma Yonnegut si trovava ormai davanti a un uomo ferito, profondamente amareggiato. Dopo la sua morte, Chicago, la città cui Algren aveva dedicato la sua opera di scrittore, chiamò una strada con il suo nome, West Algren Street; ma poco dopo, 80 facendo seguito alle proteste dei cittadini cui il cambiamento creava confusione, la città di Chicago ridiede alla strada il suo vecchio nome. A conclusione di queste annotazioni biografiche, vorrei cercare di rispondere brevemente alla domanda: "perché il realismo di Algren funziona anc,,ora?", ovvero "perché Òggi possiamo appassionarci alle storie di un gruppo di ragazzi poveri di un quartiere di immigrati polacchi a Chicago negli anni Trenta e Quaranta?" Parlare del realismo di Algren significa intanto parlare necessariamente della sua concezione di vita, dato che in lui i due aspetti sono due facce della stessa medaglia. Questa scelta di vita di Algren, di stare sempre con coerenza dalla parte dei perdenti, non è principalmente né cristiana (come suggerisce Yonnegut nell'introduzione a Mai venga il mattino) némarxista (come pensano, tra l'altro, i suoi detrattori reazionari, che lo hanno bollato come "l'ultimo degli scrittori proletari"). Certo, questi due elementi ideologici ci sono, ma sono secondari. Q4ando Algren esprime la sua preferenza per i poveri non lo fa per spirito cristiano. Questo è evidente intanto per due motivi più superficiali: il primo, che Algren era di origine ebraica; il secondo, che lui tra le puttane ci andava per scopare, non per convertirle, così come con i giocatori d'azzardo condivideva il vizio del gioco. Ma c'è un altro elemento più profondo di distanza dal cristianesimo: ad Algren non interessa salvare questa gente, non ha nessun messaggio da portargli, li accetta per quel che sono (pur riservandosi ovviamente di giudicare questo o quel comportamento). Allo stesso modo e fondamentalmente per le stesse ragioni, la solidarietà di Algren per i deboli non è riconducibile a.un'ideologia marxista: di nuovo, Algren non ha un messaggio da portare, il suo scarso interesse per le ideologie lo ha vaccinato da quella particolare malattia degli intellettuali di sinistra, che porta questi a oscurare la realtà dietro il velo delle loro idee. L'interesse di Algren per i perdenti nasce invece da una simpatia molto concreta e da una curiosità, che ha manifestato fin da ragazzo, per ciò che "sta dietro" le quinte (curiosità che, sia detto per inciso, mi pare più comune negli intellettuali ebrei che in quelli cristiani), una curiosità anticonsolatoria. I s.uoipersonaggi (prendiamo ad esempio quelli di Mai venga il mattino) non sono né specialmente positivi né specialmente negativi. Qui dissento ancora in parte da Yonnegut quando afferma che Algren, a differenza dei riformatori sociali alla Dickens e alla Shaw, non "abellisce" i "suoi" poveri. È vero, ma è anche vero che non cade nemmeno nel tranello opposto: non li "imbruttisce". Il realismo di Algren, se deve essere ricondotto a qualche filone, si posiziona piuttosto ali' interno di una concezione molto americana della vita come lotta per la sopravvivenza. Per Algren, la vita, la realtà, sono come un incontro di boxe, una partita a poker, una lotta tra gang, una quotidiana fatica per I' affermazione. Da qui la crudezza dei libri di Algren ma anche la loro verità: i suoi personaggi hanno poche prospettive davanti a loro, ma sognano comunque, sono capaci di crudeltà (anzi devono essere crudeli) ma ciò non significa che non siano capaci di amore.

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