Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

L'OCEANO DEL RACCONTO Christina Stead traduzione di Alessandra Contenti Mi piace il titolo L'Oceano del racconto di una raccolta di storie indiane; è così che mi immagino il narrare e ciò che ne fa parte, lo schizzo, 1'aneddotto, storielle argute, filosofiche e graffianti, leggende e frammenti. Di dove vengono? Chi li inventa? Tutti noi forse. Chi li trasmette, così da farli passare incessan~emente nella vita delle città? Conosco meravigliosi "narratori" che trasformano la loro. esperienza quotidiana in storie; che poi vengono dimenticate e diventano favole, indicazioni misteriose. Ogni raccolta di storie è residuo del passato e traccia di una giornata; ànche noi, come nei raccqnti dei fratelli Grimm, abbiamo storie di folclore antico, allegorie a sfondo religioso e racconti del terrore che sono chiaramente eventi locali terribili, realmente accadutL Il rac<::ontoha di unico che tutti ne possiamo dire uno, viverne uno, e persino scriverlo; quella storia è intrisa del nostro modo di vedere e delle nostre emozioni. Il passante che guarda in su e si chiede perché una certa finestra sia illuminata in una certa città alle tre del mattino, l'invalido che guarda dalla finestra e si domanda perché quella donna esca da un portone a tarda notte, seguita da un tizio che sembra più un carceriere che il suo amante. Un racconto -è ciò che ciascuno ha dentro di sé e perciò è sempre nuovo e irreprimibile. Non intendo condannare nessuna specie di racconto, nemmeno quell'immondizia sbocconcellata che si vede in Ty o la roba luccicarite fatta su misura per le riviste di moda (ma come vedete lo sto facendo). Uno scrittore capace riesce sempre a imbastire qualcosa di buono (per un po') anche se passa un momentaccio ed è costretto a scrivere per pagare l'affitto (curioso che quest'ultima storià non venga mai creduta). C'è un altro motivo per cui questo titolo mi attrae così fortemente. Io sono nata in un mare di racconti, o meglio sulla sua rivà. Ero la prima figlia di un giovane e vivace scienziato che amava la sua terra e la sua zoologia. Mia madre morì e lui mi fece da madre. Andavo a letto presto e alla luce del lampione stradale che filtrava tra le strisce della veneziana, con un piede appoggiato allo strano letto che avevo, lui mi raccontava le sue favole. L'intenzione era di farmi addormentare, invece mi svegliavo del tutto. Un bambino più piccolo, orfano di padre, si era preso il mio lettino, così mi avevano approntato un letto sopra una gran cassa da imballaggio dentro la quale c'erano gli esemplari di mio padre, i giocattoli del naturalista, cose provenienti dal!' oceano attorno a noi e dal nord, dall'Indonesia, dalla Cina, dal Giappone. C'era una testa di•coccodrillo con una pallottola conficcata sopra l'occhio sinistro; un dente di balena, magnifico avorio con un'escrescenza anch'essa d'avorio nel canale della radice; un ragno di mare gigante; delle .teste umane essiccate, rattrappite, dipinte e con i capelli in fibra di cocco; un disco osseo grande come un piatto 74 raccolto in una spiaggia vicina, la rotula di un qualche mostro estinto milioni di anni prima; lo scheletro bellissimo di un serpente. "Chè cosa c'è nella·cassa?" Prima lo dicevo io, e quel che dimenticavo lo diçeva lui. Poi vennero i racconti dell'interno, la vita di quel popolo dalla pelle scura cui apparteneva la terra, sebbene anch'esso fosse arrivato in un secondo momento, nessuno sapeva da dove: coraggiosi vogatori, portati alla deriva dai venti e le correnti; e poi venivano gli eventi d_elleere geologiche ("Siamo un paese molto antico, dove le montagne, corrose dal vento, sono diventate collinette e rocce; e i vulcani spenti non ci danno più noia, mentre continuano a esplodere al di là della fossa, in Nuova Zelanda"); e perfino eventi storici per lo· più relativi alla vita del Capitano James Cook: mio padre, da giovane, gli somigliava. l)evo escludere tutte le favole delle tante, mille sei-atetra i due e i quattro anni e mezzo, che hanno formato la mia visione del mondo - un interesse per gli uomini e la natura, una sensazione che siano tutti uguali, il mostro estinto, l'insetto del corallo, l'uomo di colore e noi, gli uccelli e i pesci; e un'altra sensazione curiosa, che ancora mi porto dietro, come di eternità terrestre, di un sole che non tramonta mai. E ciò pe~ché insisteva molto su quell'aspetto logorato dal tempo, "vissuto" e giallo-rossastro della nostra terra. bruciata dal sole, forse a causa dei suoi mari scintillanti: e anche la totale assenza del concetto di morte. Per milioni di anni tutte quelle creature erano vissute ed erano morte, gli insetti del corallo, architetti delle barriere, le antiche foglie e i sauri che avevano lasciato solo una lieve impronta sulla roccia petrolifera; e sapevo che la morte era necessaria "perché si verificasse l'evoluzione". Ma c'era -la loro fragile impronta, essi erano esistiti. In un racconto di Cekov un padre noioso porta la sventurata figliola a fare lunghe passeggiate, indicandole la grandiosità delle distanze stellari e la nostra vita infinitamente piccola, e se ne gloria e si compiace di spaventarla. Ciò può accadere forse in un tetro paese nordico, dove si sente il freddo estremo e il senso della morte: ma non accadde certo a me. A me ciò procurava piacere; era come se un grande mantello mi coprisse e mi consentisse di vedere senza essere vista: il mantello dell'oscurità. E andammo avanti così, una sera dopo l'altra, per due anni, finché quel giovane si risposò ed ebbe altri figli a cui pensare. La sua specialità erano i pesci. Teneva talvolta una conferenza intitolata "Giganti e pigmei degli abissi". lo la conoscevo. Ma ce n'erano altre. C'era il "bunyip" 1 • il leggendario baubau degli uomini neri-ce n'è uno in ogni paese: che altro era se non "tronchi d'albero rotolanti nella corrente" e la sua·voce ia voce del "bull roarer"2 degli. uomini neri, e finanche il tarabuso in mezzo alle canne. Quando in quelle notti mi lasciava per andare a chiacchierare con la sorella come un uomo felice che parla con una donna felice, subito cominciavo a sentire altre·voci; altri esseri parlanti cominciavano a raccontarmi la loro vita; e la cosa curiosa. è che, a differenza dei mostri estinti e delle infinitesimali creature del1'oceano, che erano o sarebbero morte tutte, quegli esseri si lamentavano. Nella nostra casa, con un marito perduto e una moglie perduta, nessuno si lamentava. Deve essere stato a causa

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