SAGGI/ENQUIST Dubito che l'esperimento sociale chiamato Scandinavia si sia mai trovato in una fase più interessante, drammatica e cruciale di oggi. ritratto con eccezionale chiarezza, il manicomio - ma anche la reazione a esso. Troviamo un modello che ci permette di studiare la macchina amministrativa. Ma che tipo di modello sociale stiamo osservando? - tutti questi ponti e queste strade che portano verso il centro di Stoccolma le auto, che poi vengono perseguitate e punite, non perché le auto siano indesiderate, o perché le multe producano un guadagno (i Servizi Municipali di Stoccolma, con tutti i loro parcheggi a contatore, controllori e poliziotti, sono un'impresa in perdita), o allo scopo di svolgere il compito proprio dei vigili urbani di altre capitali; no, a Stoccolma le cose sono diverse. L'organizzazione del traffico sembra finalizzata a qualcos'altro, a dare una lezione; a istillare nell'essere umano l'idea della supremazia delle forze che governano e puniscono, la presenza del sistema gerarchico, la vicinanza dello stato. In nessun altro paese al mondo questi corpi protettivi particolari sono così terribilmente sviluppati, e con una funzione ideologica così chiara: la multa come lezione morale. Imponendo alla vita quotidiana dell'individuo una gamma sempre presente di punizioni, gli si ricorda che lo stato esiste, che l'autorità detiene il potere e che l'essere umano è sog~etto a questo stato. E interessante il fatto che non solo questi modelli di punizione intrinsecamente strani si trovano così vicini tra loro (tanto vicini che oggi nelle strade di Stoccolma non esiste parcheggio che sia privo di contatore), o che il numero di persone impiegate in questi corpi protettivi e unità penali è cresciuto a grandi balzi negli ultimi dieci anni, o che l'intera operazione, tutta questa sovrastruttura kafkiana, opera in perdita, o che ali' organizzazione è stato dato un carattere paramiUtare, con strategie di caccia, movimenti a tenaglia, mezzi per il traino, e spedizioni che sembrano dirette a una battaglia - no, ciò che è notevole è la rassegnazione muta, quieta, paziente - la sottomissione - che per tanto tempo ha reso possibile tutto questo - ma ora non più. È successo qualcosa. È possibile che non esista niente di simile a un "carattere nazionale". Ma non c'è dubbio che esistono dei modelli di valori acquisiti e di reazioni apprese, insieme a un grande "naturalmente" societario che prima o poi lascia la sua impronta in tutti i campi. Il "naturalmente" svedese riguardante il problema della qualità della vita è particolarmente interessante. Immagino che questo "naturalmente" (in una frase che comincia: "qualità della vita, naturalmente, significa ...") sia notevolmente diverso da quello delle altre società. Per esempio, noi tendiamo a scegliere la purezza piuttosto che il calore, a connotare positivamente termini che non solo riducono la sporcizia della vita, ma anche il suo calore. E per lungo tempo questo valore fondamentale, questo "naturalmente", ha guidato velocemente la società svedese su una strada che conduceva a un'altissima qualità della vita. Ma in questa lunga scalata c'è stato un momento in cui si è perso qualcosa. Andava bene sognare di respirare l'aria pura della vita, nella misura in cui non ci si dimenticava che in quest'aria pura si doveva vivere. E la vita, a volte, comporta della sporcizia: ecco il doloroso paradosso. Non si può avere amicizia e calore tra la gente in un mondo completamente organizzato e sterilizzato. · Malgrado ciò, le celle con aria condizionata, fiori, opere d'arte e pareti imbiancate di fresco vengono spesso criticate per la loro mancanza di vera qualità della vita da detenuti miopi e ingrati che hanno notato un piccolo dettaglio: la porta è chiusa. Tanto strano e sfaccettato è il loro punto di vista sul concetto di qualità della vita. La Svezia non è una cella sbarrata, ma il problema è sostanzialmente lo stesso. Le foto del vecchio album di mio padre mostrano un taglialegna svedese negli anni Trenta; di solito è seduto su un prato, sotto un albero, quasi sempre vestito elegantemente di nero, a volte con un assurdo papillon sotto il mento. Sembra irritantemente a posto;quasi alla moda - non si accorda affatto con la mia immagine jnteriore del mio giovane padre taglialegna e scaricatore prematuramente morto. In verità, è solo la sua foto da morto che mi piace davvero. La guardo a lungo. Fuori dalla mia finèstra ci sono i gabbiani che volano all'indietro, e alle mie spalle c'è questa degradata Norrebro con i suoi tossici e abusi vi e tutto il resto; e intorno a me ci sono parecchi paesi scandinavi, costruiti sulla vecchia concezione socialdemocratica della crescita permanente, che adesso si trovano ad affrontare il declino permanente senza sapere cosa fare; e mi colpisce il fatto che il mio continuo guardare nel vecchio album di mio padre esprime un qualcosa che probabilmente non è solo mio: la nostalgia e il desiderio di ritornare nella Terra Santa. Gli Svedesi hanno in realtà una sola fede religiosa, che è fondamentalmente sionistica: essi vivono in una diaspora nelle loro grandi città moderne e sognano di ritornare nella Terra Santa, le piccole città di campagna da cui in passato sono venuti. Noi siamo tutti bonnljyvar(nostalgici artisti di campagna) nella diaspora, mi scrisse una volta un amico in una lettera. Allora ne duqitavo, ma c'è del vero in questo. Indietro, al papà sul prato a Hjoggbole, con davanti la tazzina di caffè e un indecoroso lampo çlamonello negli occhi: aquestovogUamotornare. Ungiorno torneremo tutti; la voce del coro di prigionieri sale al cielo nella crisi degli anni Ottanta. Ma non potremo mai ritornare, naturalmente. Possiamo solo vivere dove viviamo. E scriverne, cosa che purtroppo quasi non facciamo. Dubito che l'esperimento sociale chiamato Scandinavia si sia mai trovato in una fase più interessante, drammatica e cruciale di oggi. Ma in letteratura non ne parliamo. Scriviamo della foto del papà morto. Stiamo seduti in esilio a Hallonbergen o a Rosersberg o a Norrebro, e l'esilio ci circonda e ci riempie i polmoni: ma scriviamo della foto di morte del papà. Scriviamo anche del boscaiolo sull'erba nel suo elegante vestito nero, perché lì si trovano le radici della nostra società, e le nostre. Ma c'è qualcosa di sostanzialmente strano in una letteratura che assomiglia a un albero con la chioma fatta di radici puntate verso il cielo: le radici visibili, ma il fogliame verde sprofondato sotto terra. Ieri'attraversavo a piedi un isolato in cui stanno abbattendo un edificio a Sorte Firkanten e sono entrato in un cortile; due giovani occupanti si sono immediatamente fatti avanti e mi hanno chiesto cosa facevo lì. Credo che mi abbiano preso per un poliziotto in borghese. Ho detto che ero uno scrittore. Allora mi hanno detto di filare, cosa che ho fatto, perché anch'io avevo paura e capivo che se non l'avessi fatto mi sarei preso una catena di bicicletta sulla faccia. Era una situazione perfettamente normale: mi sono presentato come uno scrittore, e loro mi hanno detto di andarmene. Sono convinto che mi abbiano creduto e che per questo mi 61
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==