SAGGI/ENQUIST cupazione. Esprime tutto questo attraverso la violenza, la passività, l'apatia, la distruzione, attraverso l'irrazionalità del movimento piuttosto che attraverso la sua forza di espressione verbale. Inoltre, è privo di una leadership. Può darsi che una leadership o dei leader emergano, ma questa sicuramente non è la tendenza principale, che è essenzialmente anarchica. La base emotiva fondamentale, il sentimento che fa da·minimo comun denominatore, è l'ansia. Ansia per il futuro (così evidentemente lontano dalla.fiducia degli anni Cinquanta in cui io sono cresciuto), ansia per la violenza, per la disoccupazione, per l'inquinamento, per la decadenza, la guerra, la devastazione. Risponde a quest'ansia non per mezzo dell'analisi, dell'organizzazione o del lavoro - che sarebbe il normale modello socialdemocratico svedese - bensì per mezzo di sentimenti, disorganizzazione, fuga, violenza. Esprime la sua ansia metaforicamente, per così dire, trasformando la sua vita in una metafora: altri dovranno interpretare e verbalizzare questa metafora. Scrive una poesia sull'ansia, ma senza parole, solo attraverso il suo comportamento nella vita. , Il movimento è chiaramente anti-statale, anti-governativo: prende le sue premesse ideologiche dall'anarchismo di fine Ottocento, anche se si può dubitare che un solo esponente del movimento abbia mai sentito nominare Bakunin o Herzen. Lo stato è il loro nemico, non vogliono averci niente a che fare; vogliono solo vivere in pace. Al contrario dei loro più propositivi predecessori, però, non si esprimono per mezzo del terrore, di piccoli omicidi o di attentati; la presa di distanza dallo stato oppressivo si verifica piuttosto attraverso la fuga. Per questo, hanno sottoscritto l'ammutinamento totale. E qual è il modello fondamentale? L'unica filosofia che il movimento esprime è il pessimismo. "Ieri eravamo sull'orlo dell'abisso. Oggi abbiamo fatto un altro passo in avanti." Sommersi in questo pessimismo, scoprono che sopravvivono, anche nella Scandinavia degli anni Ottanta, che non assomiglia a quella dei miei Cinquanta. Ma vorrebbero passare questa sopravvivenza in una zona autonoma che si sono creati da soli piuttosto che in solidarietà con la "società". In questo modo essi esprimono un cambiamento di atteggiamento che non è solo marginale. Negli anni Quaranta, ogni scolaretto svedese imparava a pen~are che l'état, c'est nous. Era l'ideologia fondamentale della socialdemocrazia, che non solo apriva la strada alla solidarietà con i più deboli, ma rendeva anche possibile il più alto livello di prelievo fiscale al mondo - sopportato, inoltre, senza lamentele. Ma nessuno più pensa che Io stato siamo noi. ·Passeggiando nella Norrebro degli anni Ottanta, non vedo solo gli slums, gli edifici occupati, le masse di giovani senza qualifica o emarginati; vedo anche un significativo cambiamento nella mia società. Vent'anni fa il problema era come potevamo cambiare il futuro; oggi c'è il sospetto che non abbiamo alcun futuro. Allora ci fu un attacco contro i poteri dominanti; oggi c'è disinteresse, fuga. A volte mi dico che il problema è privato: sono solo un uomo di mezza età, fermo agli anni Sessanta, incapace di capire le prospettive per una nuova idea di resistenza. È una fervida speranza, e mi consola: non sarebbe allora un fascismo incipiente ciò che vediamo, bensì una nuova e più dolce società che troverà spazio per l'esercito di coloro che sono stati resi inutili. Quando finì il sogno 60 della crescita ininterrotta e fu chiaro çhe si verificava invece un ininterrotto declino, anche il fenomeno del declino divenne evidente. I figli della crisi sono nostri figli, anche se non ci piacciono. C'è in ogni epoca e in ogni società un certo "naturalmente" che per un certo periodo viene accettato senza discussioni. Questo "naturalmente" può essere concretizzato in alcune affermazioni: per esempio, che la socialdemocrazia è, naturalmente, il "lacchè del capitalismo" (dai primi anni Settanta); che, naturalmente, "lo stato siamo noi" (dagli anni Quaranta, come ho detto); e così via. Se si dovesse cercare un "naturalmente" nel dibattito pubblico svedese dell'autunno 1983, quasi senza dubbio esso sarebbe: "naturalmente", la Svezia è forbudsstat (uno stato di divieti) o formyndarsambiille (una nazione gendarme). Questo "naturalmente" esprime un'opinione comune, un'opinione che nasce improvvisamente, come un punto di vista condiviso nei discorsi in pubblico, e forse quasi altrettanto improvvisamente sparisce. Il "naturalmente" del 1983 parla di crisi dello stato forte, del fatto che la gente è stufa dei divieti, e della sua ribellione contro il potere. È il "naturalmente" del nuovo anarchismo. Ci sono davvero così tanti divieti, in Svezia? Non ne sono sicuro. In ogni società si vedono i divieti a cui non si è abituati. Vicino al lago di Copenaghen, dove vivo, c'è un cartello che dice "Non camminare sul ghiaccio", il che è normale in un paese che ha pochi laghi; questo non è certo il caso della Svezia, dove invece il cartello avrebbe detto "Attenzione: ghiaccio sottile". A Berlino Ovest, vicino allo Havelsee, ho letto "Schwimmen ist fii.r Nichtschwimmer strengt verboten", una massima profondamente filosofica dato che il divieto di fare ciò che non si sa fare attenua il dolore dell'incapacità ("Il lavoro è severamente proibito ai disoc- ·cupati"). Nella strada sotto di me c'è una corsia per l'inversione di marcia, al cui centro si trova un cartello che dice "È severamente proibito parcheggiare in questa corsia". Il cartello non solo rende fisicamente impossibile il parcheggio, ma anche, purtroppo, la stessa inversione di marcia - dimostrando così la propria efficacia. Chiunque abbia visto questo cartello, o altri simili, capisce molte cose del funzionamento della politica interna danese. Io mi accorgo facilmente dei divieti in Danimarca, nella Germania Ovest o negli Stati Uniti. In Svezia non li vedo~Improvvisamente la Svezia sta cominciando a vedere i propri divieti. La gente è stufa dei divieti, e questo si esprime in un interessante cambiamento di atteggiamento nei suoi rapporti con l'autorità: lo si vede in molti campi; forse è un aspetto di un'interessantissima corrente intellettuale che potremmo chiamare neo-anarchismo europeo. Ma sostanzialmente è un sintomo della crisi del modello svedese. O della crisi della macchina, del conflitto tra l'atteggiamento protettivo e le esigenze della responsabilità personale. In breve: una reazione al dilemma che nasce quando l'apparato governativo sviluppato dalla socialdemocrazia per difendere i deboli - i senza diritti e senza potere-, senza quasi che nessuno se ne accorga, diventa preda dell'egoismo e della sete di potere, e comincia a espandersi. A volte è vantaggioso, per illustrare i problemi centrali di una società, scegliere un aspetto marginale: chiunque voglia capire questo dilemma della Svezia, per esempio, farebbe bene a considerare l'organizzazione del traffico a Stoccolma. È lì che troviamo,
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