SAGGI/ENQUIST Questa mattina passo in rassegna ancora una volta le foto di famiglia. Me le sono fatte mandare. La maggior parte le ho già viste prima. Vengono tutte dalla nordica Vasterbotten, dové sono nato, circa mille km a nord di Stoccolma. C'è anche la vecchia foto di morte del papà. È morto quando avevo solo sei mesi, nel marzo del 1935. Un grande boscaiolo, giovane e forte, trentadue anni, scaricatore di porto d'estate e taglialegna d'inverno, che all'improvviso si sente un dolore allo stomaco e muore. Comunque, c'è l' abitudine di fare foto di morte, lassù nell'estremo Nord, foto del cadavere nella bara. Alcune hanno i corpi allineati su un tavolone speciale, una lunga fila di persone orizzontali con gli occhi chiusi. Le bare sembrano tutte uguali, spesso anche i cadaveri, ma non il papà. Avevo quindici anni e guell'estate lavoravo in segheria la prima volta che vidi la foto del papà nella bara. Fu come vedere me stesso. Trovai la foto in un mucchio che conteneva altre due foto di morti, la madre di mia madre e mio fratello- strangolato alla nascita dal cordone ombelicale (si vede solo il musino rotondo della faccia). Ma la foto del papà nella bara era diversa. Mi assomigliava, e per un momento pensai di essere io e non riuscivo a capire che cosa ci ·facevo in una bara. Per un secondo pensai che ero io quello che giaceva là: mi ricordo che sentii un brivido gelato e il cuore prese a battermi con violenza. Poi vidi che era lui. Era la foto più bella di tutto l'album. Era come vedere me stesso in futuro. Adesso vivo a Copenaghen e osservare la Svezia da qui è come guardare le foto in un album: si riconosce tutto, niente è come in passato e in tutto c'è qualcosa di me. Per molto tempo la Svezia è stata il membro beneducato della famiglia nordica: quello ammirato, quello che la gente rispettava, quello di successo, e quello che faceva sempre le cose prima degli altri. In questi ultimi anni l'atteggiamento è cambiato: il modello è in crisi, le critiche aumentano e al di sotto delle critiche c'è una sorta di compiacimento che nessuno svedese in realtà riesce a capire. Prima, tutto andava in avanti. Adesso va all'indietro. Perché? Le nostre intenzioni erano così buone. In Svezia sognavano di riuscire a produrre l'essere umano buono per legge; o più precisamente, di escludere per legge il male dall'esistenza. Non era il sogno malato di alcune persone cattive. Nasceva da un senso di responsabilità cristiano, luterano: Non sono forse il custode di miofratello? Il problema nacque quando il senso di responsabilità per il proprio vicino di casa portò la società a privarlo di responsabilità in maniera eccessiva: così lui si trovò senza responsabilità, e la società accrebbe il suo potere. È difficile dire quando si venne al punto di rottura, ma a un certo momento esso venne superato. Adesso si sente continuamente parlare di una Svezia di divieti. Negli anni Trenta e Quaranta la Svezia fu un esperimento sociale che sollevò l'interesse internazionale. Oggi l'esempio della Svezia è da più parti condannato, disprezzato, ridicolizzato. Questa reazione nasce da conclusioni molto frettolose e, secondo me, sbagliate, che si basano su una situazione ormai mutata. Cercherò di presentare alcuni esempi delle contraddizioni del "modello scandinavo". 58 Nella notte di Capodanno, a Norrebro, Copenaghen, ci sono fuochi accesi dappertutto: barricate, incendi, lanci di pietre, spari, scontri fra gruppi di giovani e polizia. Ho già assistito in passato a rivolte e disordini: vivevo a Berlino Ovest tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, ho visto personalmente la crescita, la frammentazione e la disintegrazione della sinistra berlinese. Questa, però, è una gioventù diversa, una rivolta diyersa. Gli occupanti aqusivi sono là, rinchiusi nella loro fortezza incredibilmente fragile, ma rispetto al '68 qualcosa è cambiato. Cinque giorni dopo la battaglia è decisa, anche se naturalmente il problema rimane identico. La polizia ha vinto, gli edifici occupati sono stati rasi al suolo; dentro di me registro uno strano sollievo, di cui mi vergogno. Non ho riconosciuto l'insurrezione. Non era mia, non era riconoscibile, non era la rivolta della mia generazione. E la violenza non era la stessa di quindici anni fa, quando assistetti da vicino alla scissi@ne del gruppo Baader-Meinhof dal resto della sinistra a Berlino. Copenaghen all'inizio degli anni Ottanta: la seconda rivolta giovanile, il primo seme della crisi scandinava gettato sulla crosta terrestre. La viòlenza si fa più dura; gli antagonismi diventano acuti. E ci sono distinzioni politiche terribilmente poco chiare. Per un certo tempo, gli occupanti di Norrebro hanno avuto un grandissimo sostegno popolare; ma ora questo sta declinando rapidamente. Norrebro, situata a no~ddel centro di Copenaghen, è l'unica grande area superstite di slums, affascinante e repellente, piena di immigrati, lavoratori stranieri e operai danesi, un tempo focolaio di Rossi a Copenaghen - e adesso? Un caso esemplare dei problemi degli anni Ottanta in Scandinavia. C'è una differenza tra la Danimarca e la Svezia, dicono tutti. Anche in questo campo. È vero, Norrebro è diverso dalla Vasterbotten della mia infanzia, coi suoi piccoli villaggi di campagna e il suo senso luterano di dovere morale e devozione cristiana. I paesi nordici - un gruppo di isole che cominciano a mostrare dei segni di spaccatura:- sono diversi l'uno dall'altro. Le rivolte giovanili degli anni Ottanta semplicemente non esistono, in Svezia. Non ancora. Ma arriveranno. Abbiamo la tendenza a essere sorprendentemente lenti, infatti, in Svezia. Nel 1975 il "movimento di agitazione degli slums" cominciò in Olanda, poi seguì l'Italia, e nel 1980 questa rivolta giovanile stranamente elusiva era presente in paesi diversi tra loro come la Germania Occidentale, l'Inghilterra e la Danimarca. E un numero sempre crescente li sta seguendo: la diffusione è potenzialmente grande; il movimento è giovane in molti sensi (a volte con una predominante di quattordici-sedicienni). E la base di classe è ciò che più sconcerta: come dobbiamo chiamare questi disoccupati, punk, ecologisti, drogati, equivalenti anni-Ottanta degli hippy, semplici emarginati - questi bambini? Il nuovo Lumpenproletariat, ha suggerito qualcuno: un fenomeno davvero improbabile nella Scandinavia della terz~ via - almeno fino a dieci anni fa. André Gorz ha tentato due definizioni: la nonclasse dei non-lavoratori o il neo-proletariato post-industriale. Un marxista danese ha lanciato l'espressione "il terzo stato". Non so. Nessuna di queste espressioni centra il nocciolo di questo fenomeno della crisi del benessere. Azzardo l'espressione "l'esercito di coloro che sono stati resi inutili", ma il termine
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