Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

I CONFRONTI 1nascere e vivere una così grande e sconvolgente esperienza. Tu non vivrai di ricordi, ma di presente, non ti sentirai "inutile", perché quello che sta accadendo dentro di te, quella poderosa e mirabile trasformazione ti rende unica e depositaria di unica ricchezza, ti rende viva e intatta nel cuore del dolore, come quei miracolati che uscivano dalle fiamme non solo vivi, ma con un vivo segno del miracolo nella propria anima. Sta a te fare di questo terribile momento una malattia o un miracolo. Il mondo è pieno di persone che vivono un lutto come una malattia; ma se il tuo non sarà un lutto, se non sarà disperazione, se non sarà malattia, tu troverai in te un che di vivo e prezioso che ben pochi, quasi nessuno possiede. E tu allora diventerai necessaria a tutti coloro che di quel che tu possiedi possono avere un presentimento; noi tutti, che siamo legati alla precarietà, alla angoscia, alle paure dei nostri affetti terrestri, mentre tu potrai unire la dolcezza alla assenza di paura: ciò che tu possiedi è per sempre; ma niente ti sarà regalato, e insieme niente tu potrai acquistare, ora tocca a te ricevere un tributo d'amore, e il tuo modo di farlo tuo sarà di accettarlo. Hai già sperimentato, qualche ora fa, una concava e bianca protezione, uno stemma dell'amore assoluto, qualcosa rispetto all_a quale tu sei minuta e insieme esatta, del tutto conveniente e congrua; è una esperienza di abbandono, di accettazione, di ritrovamento: una esperienza che può essere concessa solo ad una creatura umile ed esatta. Ti aspetta la scoperta che n0n ti è consentito provare dolore senza riconoscerne la dolcezza, che la tua solitudine è fittamente e luminosamente popolata, che i tuoi silenzi sono ininterrotti colloqui. Ad ogni risveglio tu provi i due momenti che provò Gesù nella sua solenne, dolorosa e dolce preghiera: Passi da me questo calice; ed è la frase con cui Gesù conferma e dichiara la propria natura umana, quella natura che deve offrire, e che tu devi offrire, perché non è naturale a nessuno di noi accogliere la sfida del dolore; ma È forse inevitabile, se pur non è accaduto già, che Giorgio Manganelli passi alla storia letteraria innanzi tutto come esponente di spicco della neoavanguardia: come interprete rigoroso ed efficace di alcune idee-chiave di quel movimento, quale ad esempio la nozione di letteratura come artificio, scandalo, "menzogna". Nulla da eccepire, naturalmente: l'adesione di Manganelli al Gruppo 63 fu consapevole, motivata, appropriata, perfino; e non nasconde equivoco o malinteso di sorta, Resta non di meno da sottolineare, sul piano storico, la singolarità forse irripetibile d'una stagione che ha portato sulla prima linea di una battaglia poco men che campale uno scrittore altrimenti (e comunque) eccentrico, votato per elezione e per istinto alla marginalità. Una marginalità plurima, per dir così, che si manifesta in svariati modi, In primo luogo, nella frequentazione della frontiera trafiction e saggistica, già di per sé opinabile, e resa vieppiù malcerta da un fantasia quant' altre mai umorale e imprevedibile; nel gusto della chiosa, della postilla alla chiosa, della divagazione, della digressione, che pare sopprimere le virtù spaziali e costruttive del discorso a favore d'un irrequieto e bizzarro linearismo; nella predilezione per un eloquio artificioso, ampolloso, manierato, quasi da barocco trascendentale o metastorico, assurto a equivalente stilistico d'un senso di pervasiva, onnicomprensiva caducità (o se si preferisce, nell'alternanza e nell'interscambio fra letterarietà, metaletterarietà e iperletteriarietà). E ancora, nei · temi della discesa (la vocazione "discenditiva" della natura umana, celebrata in Hilarotragoedia): nei motivi della partenza, dell'abbandono, dell'annichilimento, della fine; nelle figure dell'assenza, della testimonianza impartecipe, dello la tua frase successiva sia sempre "Sia fatta la tua volontà"; non perché la sua volontà è più potente, giacché allora a che servirebbe dichiararci ubbidienti? Ma perché la sua volontà è saggia e amorosa e può anche lasciarsi disubbidire, ma ciò noi possiamo fare solo togliendo senso a ciò che facciamo, anche a ciò che soffriamo, quale che ne sia la straziante intensità. Nessun dolore è malattia se è secondo la volontà di Dio. Noi non sappiamo che significhi questa parola terribile e antica, davanti alla quale ci sentiamo trascinati nei momenti più aspri e invalicabili della nostra vita. Solenne e sollecito, inaccessibile e onnipresente, risanatore e confermatore del dolore, possiamo forse pensarlo come un luogo, l'unico luogo nelf'universo in cui noi tutti siamo da sempre a_sempre; noi, i vivi e i morti, insieme. È il luogo che_ valica le dimensioni, che ignora il tempo, che è impossibile affollare e impossibile disertare, e nel quale è impossibile perdersi, Quel luogo potrebbe essere un tappeto, una trama infinita di segni, ciascuno dei quali privo di senso, e che tutti insieme foqnano quel misterioso disegno, completo e perfetto, al cui completamento attende l'eternità, da sempre a sempre. Solo il tappeto conosce il proprio intimo disegno, e alla esattezza di quel progetto noi dobbiamo affidarci. La vita di Renzo è stata, grazie a te, un tratto singolarmente preciso di quel disegno; uno ierogramma lucidamente inciso, che noi ora contempliamo con la tenerezza e la devozione che meritano i gesti umani, quando conseguono tanta intensità e bellezza; per questo il segno di quella vita continua a vivere e continuerà a vivere. Ora esso sta nel luogo che gli compete da sempre e per sempre in quel disegno, in quel tappeto, in quel luogo; l'unico che dobbiamo tener ben fermo; e ti ripeto la frase che ascoltai in sogno, qualche mese or sono: "Tra i vivi e i morti non ci può essere rapporto diretto; ogni rapporto tra i vivi e i morti passa attraverso Dio, nella comune preghiera". straniamento. E, di conseguenza, nell'opzione per un pubblico rigorosamente elitario: ovvero, per riprendere alcune delle più icastiche provocazioni dell'autore, per un non-pubblico, composto di "lettori imprecisi, nascituri, destinati a non nascere, già nati e morti". Su questi perigliosi crinali, esibiti come una scenografia drammatica, Manganelli ha apparecchiato la sua personalissima ricognizione dei confini tra serietà e scherzo, verità e menzogna, apparenza e realtà, Protagonista assoluto - anzi, non di rado, personaggio unico -è il linguaggio. L'invenzione linguistica costituisce senza dubbio l'aspetto dominante delle open( di Manganelli: il campo in cui ha più assiduamente esercitato il suo estro funambolico, il suo amore per l'ironico e il grottesco. Come di norma accade, la miglior risorsa dello scrittore ha finito poi per identificarsi con il suo più grave limite, Spesso, troppo spesso le acrobazie verbali sono parse divenire fini a se stesse, compiaciutq,e gratuito sfoggio di bravura. Ma anche qui soccorre l'intelligenza autocritica di Manganelli (che non a caso è stato, occorre ricordarlo, saggista e _lettore di rara finezza). Discorrendo d'un prosatore secentista, egli ebbe una volta a citare una frase di Edmund Wilson secondo cui "un gran rimedio contro il male di vivere" sarebbe "un prospetto di verbi irregolari"; e di suo raccomandava, in difetto di verbi irregolari, l'uso dei lessici. Una boutade, a suo modo, rivelatrice: e non soltanto nel caso di padre Bartoli. Sorto da un nativo edonismo, alimentato da uno spontaneo e contagioso amore del gioco, il virtuosismo verbale di Manganelli tende a trascolorare nel rituale apotropaico. (Mario Barenghi) 37

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