Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

CONFRONTI MEMORIA lettera in morte del frate Ilo Renzo Giorgio Manganelli Quandomorì, non ci siamo occupati diManganelli. Cerchiamo di rimediare ora, ricordandolo con la pubblicazione di una delle due lettere alla cognata scritte da Manganelli dopo la morte del fratello maggiore Renza, ingegnere, cui Giorgio era molto legato. • Le due lettere sono apparse in una plaquette f~pri commercio dell'editore Adelphi, per cura di Ebe Flamini: Ringraziamo l'editore e la nostra amica Ebe per la possibilità che ci hanno offerto di tornare su un autore importante e una persona di rara intelligenza e di rara simpatia. (G. F.) Giorgio Manganelli. • Carissima Angiola, 21 marza 1973 ti serivo perché questo è l'unico modo che noi umani abbiamo per porci in una condizione di colloquio ininterrotto, un'offerta di parole che in ogni momento può essere presa, abbandonata, ritrovata; in realtà, io vorrei poterti sempre parlare o tacere, e parlarti anche tacendo. Tu sai che questo, che non è possibile a noi, è possibile ad altri. Ci sono silenzi aperti e senza reticenza, assenze che ci accompagnano ininterrottamente, distanze infinite che ci prendono per mano. È quello che noi tutti, e tu in primo luogo, stiamo sperimentando in questi giorni. Non sapevamo di poter sperimentare in modo così violento e abbagliante tutti i paradossi estremi della vita e della morte; almeno, io non lo ·sapevo; non si possono sapere certe cose, senza averle vissute e averle consumate, non si può conoscere la grazia terribile e celeste della morte senza esserne stati lacerati, senza averla accarezzata. Da sempre vi sono stati uomini che l'hanno saputo e l'hanno detto, ma forse è una esperienza che non può essere trasmessa, una rivelazione che si riconosce solo dopo averla vissuta, ustionante e luminosa; al/ora diciamo "Ecco, è così, ed è sempre stato così". Vi sono morti caliginose ed enigmatiche, che aprono o piuttosto confermano piaghe durate una vita; tale fu la morte di mia madre, una misteriosa piaga che posso solo consolare, cullare come un bambino querulo e malato, ignaro di parole; una piaga_ che 36 concede una vaga fosforescenza, e chiede lacrime di cui non so il senso. Vi sono morti che svelano con un gesto tinale una dolcezza rimasta lungamente segreta, e che cancellano tutti i ricordi precedenti, e smentiscono e dolorosamente, senza far lamento, offrono una riconciliazione, una pace colma di lacrime, ma questa .. volta di riconoscenza, della tenera vergogna di essere stati -perdonati: tale fu la morte di mio padre. Ma questo vi è di comune in queste due esperienze, ed è ciò che le fa insieme non risolte e vive: mia madre e mio padre non sono, assolutamente, un ricordo, ma un problema, una interrogazione, un agire; ininterrottamente, la mia vita passa attorno, davanti a quelle immagini, quei volti, intatti e indeperibili, e così sarà finché sarò vivo. Cara Angiola, io volevo, pensavo di scrivere quello che tu mi chiedevi, un "viatico"; ma, lo vedi, il tuo viatico è il mio viatico, e non posso dire nulla a te se non lo dico a me, e a me posso dirlo solo per tuo tramite. Ed eccoci ora davanti a qualcosa di nuovo ed ignoto; qualcosa di più difficile di qualsiasi altra esperienza, una terribile e abbagliante prova, un fuoco che oscilla tra il calore e l'ustione, una assenza che fa sì che tutti i nostri sguardi siano in essa confitti, una scomparsa che è intensa come una apparizione, un silenzio che ci dice tutte le parole che nella vita sono state alluse; la scomparsa di Renzo, del tuo, del mio, caro, dolcissimo Renzo, ha scatenato in noi tutti, in tutti coloro che lo hanno avuto vicino, una coscienza d'amore che ci ha svelato a noi stessi; non sapevo, molti non sapevano, di essere così vicini alla sorgente originaria dell'amore, di quell'amore che tutti gli altri imitano e ripetono. Così, quel posto che doveva restare vuoto, quell'assenza umana, è stata colmata da un impetuoso, doloroso e dolcissimo atto d'amore: una restituzione quale mai ho vista, giacché quell'amore che abbiamo consegnato a colui che ne era il signore, era quello che egli aveva saputo creare e far crescere in tanti, che senza saperlo pagavano il loro dovuto tributo a questo re in incognito, senza sudditi che non lo fossero per predilezione. Non ho mai sperimentato una morte così viva e vitale, così sconvolgente ma datrice di vita, lacerante e affettuosa; privilegio rarissimo, questo di saper fare della propria scomparsa un punto di incontro, un appuntamento, un luogo in cui ci si riconosce, e ci si ritrova, noti gli uni agli altri da un comune segno, qualcosa che ci si svela nel momento in cui ci stringiamo le mani, tutte mani segnate dalle sue mani, e nei nostri volti intrisi in una luminosità che non è nostra, ma ci è venuta dalla generosità, dalla tenerezza di un suo sorriso. Quale terribile ricchezza ci ha, non lasciato, ma consegnato; e l'ha fatto silenziosamente, improvvisamente, e insieme pacatamente; ma ora noi siamo àngosciati, perché sappiamo quanto sia difficile questo dono, quale angoscioso privilegio; ma pur sempre e in primo luogo privilegio. La sua scomparsa ha moltiplicato la coscienza dell'amore che egli aveva generato e che gli veniva portato; ma ora questo amore, come è consentito e comandato a ciascuno di noi, deve essere vissuto, usato, amato, cresciuto; come se la lingua in cui ci era consentito di esprimerlo fosse ora dichiarata inidonea, ed un'altra ci venisse subitamente proposta, che dobbiamo imparare, e che impareremo, giacché il contrario è l'afasia e la perdita dell'amore. Bisogna educare il nostro orecchio di terra a cogliere i messaggi infiniti e indiretti che a noi giungono per un lungo e istantaneo itinerario; e bisogna resistere alla tentazione del dolore. Cara Angiola, carissima, non cedere alla tentazione del dolore, la più agevole e persuasiva delle tentazioni, che ti porterebbe a .vedere solo la ferita e non il suo difficile senso. Vi è un dolore che è male, perché tinge del suo nulla ogni gesto, ogni parola, e ci popola di ricordi e ci rende ciechi e sordi a quello in-noi che fa

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