Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

CONFRONTI potuto diventare". Da questo punto in poi è opportuno farsi accompagnare dal più grande esperto italiano di famiglia e piccola borghesia, Leo Longanesi. "La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: Ho famiglia". Questo famoso motto dal diario Parliamo dell'elefante stringe entrambi i termini dell'ultima fase p\lscoliana. 1 Se finora la nevrosi si traduceva in salute e felicità creativa, il Pascoli guarito immaginario va disfacendosi fisicamente nell'alcolismo e imbolsisce la sua poesia in un nazionalismo di cartapesta, una "percezione malata della storia" equivalente per càttivo gusto alle copertine di Beltrame sulla "Domenica del Corriere". Egli, che già nel 1883vagheggia un poema sulla "Nuova Roma" da edificarsi in Oceania e scrive a Severino Ferrari dì "Ricominciare la riostra storia. Giuochi al cielo aperto, e nudi. La religione della natura.", sceglie di diventare "apostolo dei nessuni''. Trattando terni carducciani in linguaggio dannunziano emula insieme i suoi pericolosi concorrenti. Adoperando il "modello Garibaldi", offre ai suoi ideali di "bontà, non-violenza, fratellanza universale, il conforto 'maschio' dei valori che vengono espressi non da chi subisce ma da chi aggredisce, insomma il soccorso dei valori marziali". La poesia di Pascoli, senza cambiare di segno, passa per due fasi d'amplificazione: prima la puerilità si sublima in passione incestuos&,poi degenera in nazionalismo. In Una vita di Longanesi, "autobiografia di un piccolo borghese dei nostri tempi" (orfano, è allevato da due zie), romanzo per incisioni con aforisma a fronte, tutto sembra iscriversi sotto questa frase: "Le mie idee erano vaghe: oscillavo fra il lirismo socialista e il desiderio di epica ...". Non è proprio la situazjone di Pascoli, delle due metà della sua vita riunite nel segno della pubblica missione? Pascoli sarà il vate nazionale complementare aD'Annunzio: questi ad appagare lavelleità italiane di sfarzo ed' avventura (erotica innanzitutto), Pascoli a tranquillare con il ristretto sfondo en pantoufies del focolare. Così andrà interpretato il grido di trionfo libico; "La grande proletaria si è mossa": vi pesa un'idea di corpulenza, privazione, torpidità che sono di Pascoli stesso; vi echeggia una nota stridula, piagnucolante, proprio da bimbo dispettoso. Il monumento alla puerilità è stato eretto da "un uomo che aveva le grandi capacità realizzatrici di un imprenditore delJ.'Ottocento, unite alla vita crocifissa e alla sensibilità piagnucolosa di un bambino del Novecento". Ritratto che quasi combacia con quello della borghesia inesistente di cui Longanesi era nostalgico, cinica e querula come in De Amicis. Con tutto ciò, Pascoli sarà da considerare precursore del fascismo a un livello più profondo di D'Annunzio. Questi fornì al fascismo un set di retoriche, atteggiamenti, iconografie, memorie storiche, ideologie, gridi di battaglia: insomma, D'Annunzio fu il fascismo esteriorizzato. Pascoli ha le viscere protofasciste, possiede già "il 'distintivo' scintillante con orgoglio sul petto del figlio del fattore, del bravo figlio del popolo". Del fascismo, in Pascoli ritroviamo l'interiorizzazione, le radici, i caratteri originali e la continuità con l'oggi. Non il fascismo, ma Pascoli come autobiografia della nazione. Il 19 ottobre 1939, al caffè Biffi, Leo Longanesi ascolta dietro di sé queste parole: "Vede, la perla dell'Impero inglese, cioè l'India, noi ce la papperemo in un baleno". Si volta, "e incontro un ometto sui cinquant'anni, smunto, il colletto sgualcito, gli occhiali di stagno, un povero diavolq. Il nazionalismo è davvero l'unica consolazione dei popoli poveri". Questo è stato e sarà sempre il pubblico dei nostri vati e imbonitori nazionali. E Garboli, riunite arbitrariamente le sue sparse annotazioni, rischia di vederè la sua figura comporsi nel ritratto fuori moda di uno "scrittore civile". È vero che le sue idee, politiche e non, sono anarchiche un po' come quelle di Elsa Morante, scrittore tra i più fraintesi. Ma è meglio non insistere, insorgerebbe probabilmente il pudore di Garboli. Chiediamoci piuttosto cos'ha spinto Garboli a scrivere questo libro. Onnipresente nell'inquadrare i propri personaggi - lo si vede sempre aggirarsi per il set con una camera portatile, come Fellini in E la riave va - sparisce non appena si tratti di precisare le affinità tra sé e il ripreso. O meglio: ammette tranquillamente l'impulso autobiografico all'origine del suo scrivere, ma-lascia al lettore il compito di circostanziarlo. Gariboldi soffre di "egolalia", come diceva Montale di D'Annunzio. Come Rimbaud, si considera uno sconfitto par delicatesse, insinuando che da un momento all'altro potrebbe lasciar perdere i libri, cosa che non accadrà mai. Rimbaud se ne andò a fare il mercante d'armi in Africa ma il nostro secolo, meno innocente, seguita a scrivere. Le prefazioni ai suoi libri sono un'abiura non dtciò che ha scritto, ma dello scrivere e leggere in sé: di "un libro maniacale" bolla i Penna papers; negli Scritti servili mette in guardia contro il raptus della lettura e si definisce "scrittore-lettore", rifiutando la qualifica troppo alla moda di critiscrittore. Quel che è certo è che Garbo li, con autoironia, posa spesso ad enfant raté, e in questo il suo modello pare essereLandolfi: stessa convinzione che il vero giocatore gioca per perdere, stessa dimora di famiglia pronta per i periodi di reclusione volontaria, stessa fittizia dissipazione del proprio talento, stessa pretesa di scrivere "a caso", senza stile, ma con la "maledizione" di scrivere bene. È proprio quella dimora, quel nido versiliese che Gariboldi ha saputo esplorare con giochi di luce e d'ombra degni di Mario Praz, ad accomunarlo a Pascoli. Il percorso dei due è speculare: Pascoli esplode dal nido sentendosi vocato a vate nazionale; Garboli, che aveva debuttato con una scelta di vita pubblica e persino mondana, implode nel suo nido per la duplice spinta di una realtà pubblica incancrenita e della propria privata vecchiaia. "Ogni vita è maestra nel riaggiustar.si. Tutte le vite si ripensano, rammendano e 'si scrivono' come se fossero già delle biografie." STORIADELLACIVILTA LETTERARIA DEGLISTATIUNITI direttada EMORYELLIOTT • Premessadi e LA uo I oGo RLIER • DALLE ORIGINI A HENRY_JAMES Pagine XXXVl-588 con 25 tavole •• IL NOVECENT.O Pagine IV-608 t:on 23 tavole ••• DIZIONARIO·CRONOLOGIA Pagine Vlll-482 UTET EDITORI DALl791

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